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MUSICA: LETTERATURA: I MAESTRI: Cronaca bizantinissima25 Aprile 2012
di Alberto Arbasino M’apparì — se non « tutto amor » — almeÂno tempestivo, segnalare una svolta abbastanza precisa nella sensibilitĂ … Quanti « operatici » rimanevano sbalorditi, « quella notte a Santa Maria degli Angeli » (la notte del MosĂ© di RosÂsini diretto da Sawallisch), sentendo arrivare — sinuosa (finora) come una sensiblerie — un’ondata di gusto rossiniano passionale, trionÂfante anche tra i verdiani dell’ultimo giorno… Solo, impressionante, finalmente liberato, il capolavoro di Rossini si espandeva inquieÂtante e immenso fra le vaste arcate dioclezianee della Basilica, monumentale come un Raffaello, e isolato nel semibuio: solo con un fondo grigio leggero, pochi tòcchi di giallo, e tanta, tanta aria intorno. Oltre l’impressione della riscoperta, però, ancora piĂą decisivo, The Shock of Recognition! Ci si accorgeva che — ormai — il disturbo della cattiva acustica è un nemico della muÂsica assai meno fastidioso e inconveniente dell’irritazione derivante, irrefrenabile, dagli allestimenti pacchiani. Certo, lo si era giĂ sentito, il MosĂ©: ma in teatro. Cioè, non lo si era sentito affatto, soffocato da specchi e porporine e altri addobÂbi nel piĂą esemplare San Pietro all’Orto… Un MosĂ© in casino, insomma. Così come il NaÂbucco: finchĂ© viene riproposto sotto forma di padiglione degli orrori, tanto varrebbe (a fin di successo) farlo cantare al pugile BenveÂnuti… Però, criticamente, potrĂ sollecitare, al massimo, riflessioni come questa: a cosa serÂve, a chi, un simile Ă©talage di faraonismo neo-milanese, una volta che siano morti gli abbonati di settant’anni, e siano passati di moda i parrucchieri Vergottini e la sarta Mila Schön?… Intanto, però, il Nabucco, continua a restare un’opera « da scoprire ». La musica moderna potrĂ anche invecchiare moltissimo, e prestissimo; o per lo meno, affaÂticarsi vivamente, lungo tutta la strada fatta per allontanarsi ostinatamente dalle sedi traÂdizionali e pubbliche della Musica, e poi torÂnarvi a tratti carica di presupposti e di preÂgiudizi… Però, gran parte del repertorio melo- drammatico sta diventando drammaticamente inascoltabile. Le esecuzioni saranno (organizÂzativamente, sindacalmente, burocraticamente) piĂą serie che non nelle epoche « eroiche »: epoche, probabilmente, sovente vergognose, abbandonate come ci appaiono al « sacro »(?) principio de « l’opera deve andare avanti ad ogni costo »: malinteso fòmite d’orchestrine ridotte e di direttori alcoolici, di cavernosi baritoni e di soprano bronchiali (v., ancora nel ” Giorno ” del 6-3-68, un titolo: « Salvò1’ “ Aida ” sostituendo il maestro ubriaco », come se il Maestro Luigi Mancinelli fosse un precursore del Dottor Bamard…). Infatti, la ripugnanza per le mostruositĂ in scena riesce ad annullare qualunque ricettivitĂ musicale, distruggendo l’attenzione molto piĂą molestaÂmente di un mucchio di ciacoloni spettegolanti nel retropalco. Numerose opere, si sa, sono nate con una funzione di entertainment socialmente speÂcifico: provvedere un’abile ripartizione fra recitativi durante i quali si cucina nel palco. Il risotto e si gioca a tric-trac nel ridotto, e arie che richiamano banchettanti e giocatori alla balaustra, e concertati che sollecitano il moto fisico: mani addosso o tambureggiar di ventagli… Però, senza essere nĂ© francescano, nĂ© puritano, nĂ© bayreuthiano, mi auguro d’avÂvicinare, per qualche tempo, sempre piĂą opere sotto forma d’oratorio, per intenderle meglio, che non sepolte in scena sotto cumuli d’adÂdobbi triviali e repellenti. (Forse, infatti, cĂ pita in realtĂ all’Opera ciò che secondo Pasolini sarebbe accaduto in letÂteratura: « la bomba di carta fatta esplodere dagli avanguardisti sotto il fortino codificato dei valori letterari, vi ha fatto sciamare denÂtro attraverso la breccia un bel gruppetto di letterati di second’ordine: sicchĂ© la letteraÂtura italiana è retrocessa in serie B ». Ma le cose non stanno davvero così; e Pasolini lo sa. Un decennio d’attivitĂ critica generalmente rigorosa e spregiudicata avrĂ avuto almeno un effetto: risistemare i valori. Certi equivoci si sono dissipati, e non si scambia piĂą per Arte ciò che era soltanto midcult: tanto vero che oggi lui stesso può parlare con naturaÂlezza di « serie B », e venire istantaneamente capito da qualunque pubblico, senza bisogno di aggiungere chiose, nĂ© di far nomi. ImpreÂcisa sulla letteratura, la sua diagnosi conserva invece tutto il suo peso, come s’è detto, appliÂcata al teatro). Forse, in fondo, si potrebbero chiudere tutti, per qualche anno, i teatri: come le universitĂ in Cina. Ne ricaverebbero solo vantaggi, non è una novitĂ : è un’esperienza giĂ verificatasi (come sempre) in Inghilterra, molti e molti anni fa; e in seguito, le cose sono poi andate benissimo, come ognun sa. Il Maestro Gavazzeni non deve sentirsi troppo d’accordo con queste osservazioni. Mi invia infatti, con un cortese bigliettino (non so se agrodolce), il suo saggio « La possibilitĂ di un discorso critico su Giordano »; ma fin dalle prime righe m’impunto su un raffronto polemico. (Esiste, infatti, in qualche misura, una verÂtigine del mediocre? Me lo domando, con qualche angoscia, innanzitutto per cercar d’inÂtendere le radici della mia costante repulsione per tanti aspetti della cultura italiana « fra i due secoli ». SarĂ una revulsione psicologica, una barriera del gusto, una disperazione inÂdotta dai paragoni con le culture che stavano dando Yeats e Pound e gl’impressionisti e i viennesi? Oppure, piĂą semplicemente, non giĂ una stizza, ma un mero disinteresse per la rigatteria dei « minori »?… Non che non tenti: leggo ogni riga dei racconti-saggi di Giulio Cattaneo, li ammiro anche vivamente, ma non posso riconoscermi neanche per un momento nelle famiglie di quei personaggi lì, e torno immediatamente a letture magari inatÂtuali, ma « familiari », come gli epistolari di Joyce o di Strachey). Gavazzeni dice: si allestiscono mostre di Boldini, e nessuno dileggia Enrico Piceni. Carlo Dossi non è Proust, nĂ© Gide, neanche Larbaud… PerchĂ© mai si ignorano invece GiorÂdano, Catalani, Cilea, e se ne svillaneggiano gli affettuosi esegeti? Proporrei a mia volta altri esempi, tentando di ricacciare nel subconscio quello della ChiÂnina Nligone, dopo tutto non spregevole riÂspetto a Beardsley… Ma un esempio, per avventura, sarĂ lo stesso: il caso Boldini. SolÂtanto, qui preferirei rinviare al saggio di Eco, « Il kitsch come boldinismo » (appunto, apÂpunto) in Apocalittici e integrati. In quanto a Dossi, si tratta di statura: a me è sempre parso un eccellente scrittore, molto piĂą imÂportante e inquietante di quei mediocri musiÂcisti « liberty » che m’hanno sempre fatto schifo anche durante i piĂą accesi ed erratici (e per fortuna, presto estinti) trasporti per il Liberty medesimo. E in quanto alla filologia, preferirei spostare il discorso alla saggistica: il libro di Sanguineti su Gozzano può risultare un godimento anche per chi non si cura affatto di Gozzano. Così come si può restare affasciÂnati dal saggio di Starobinski sull’Anatomia della Melanconia senza averla mai letta. Ma eseguire il Ratcliff o i Rantzau, come del resto « ripristinare » Faldella o Cagna, temo forteÂmente che equivalga — neanche alle indagini (del resto eccellenti) di Renato de Fusco sul « Floreale a Napoli » — ma proprio all’attivitĂ di quelle buone signore degli anni scorsi, tanto brave nel raccogliere nei loro negozietti dei falsi vasetti Galle che ormai nessuno comÂprerĂ piĂą — dal momento che (così come c’è una Giustizia al mondo) esiste anche una Porta Portese, oltre che del soprammobile, anche della letteratura e della musica… anzi, una Fiera di Sinigaglia delle piĂą tetre… e del resto la vita umana non è poi troppo lunga: si è giĂ perso tanto tempo, a fare gli spiritosi (e io, per esempio, non ho ancora fatto in tempo a leggere nĂ© tutto Tolstoj nĂ© tutto StenÂdhal, e vedo l’al di lĂ come un immenso Novissimo Melzi che mi rimprovera d’aver fatto troppe collezioni di scatole di fiammiferi e di etichette d’acqua minerale…). Letto 2035 volte.

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