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PITTURA: I MAESTRI: F. F. scoprì il genio di Seraut

26 Gennaio 2019

di Leonardo Sinisgalli
[dal “Corriere della Sera”, domenica 2 agosto 1970]

F.F. Felix Fénéon è stato il primo e inequivocabile per­sonaggio che ha avuto le ini­ziali celebri — prima dunque di H.H. e di B.B. — poco più che ventenne, essendo quasi coetaneo di Seurat e di Laforgue, ma di una ge­nerazione più giovane di Mal­larmé, il Maestro, l’idolo. Quando comincia a scrivere nel 1883, a 22 anni, la critica d’arte ufficiale era accademi­ca, tradizionalista, mediocre, anche se i suoi adepti non erano tutti anonimi e tra lo­ro spiccava uno scrittore for­tunato come Anatole France. Huysmans e Mirbeau hanno avuto certo coraggio nel di­fendere qualche uomo nuovo. Ma spetterà a Fénéon la re­sponsabilità e l’onore dei giu­dizi più espliciti.

Fu lui a capire il senso della pittura simbolista e il valore di Puvis de Chavannes, che Mallarmé e Moréas stimavano ma per ragioni di affinità letterarie: ragioni er­metiche, come le chiamava Fénéon che ne aveva indivi­duato le origini nella risen­tita tradizione primitiva.

Il vero titolo di gloria di F.F. è di aver capito e di aver difeso il genio di Seurat. Egli scrisse la prima volta di Seurat nel 1886: aveva 25 anni, ma aveva scoperto la sua pittura due anni prima, al primo Salone degli Indi­pendenti del 1884 dove Seu­rat aveva esposto La baignade. « Ebbi subito piena co­scienza dell’importanza di quest’opera » scrisse F.F. a J. Rewald molti anni dopo « e la serie di capolavori che ne furono la conseguenza lo­gica non mi sorpresero più ». (La baignade mi fa pensare alla Sirena di Scipione che fu per noi a Roma, ancora più giovani di Fénéon, come un’apparizione).

La tela di grandi dimensio­ni, tre metri per due, fa spic­co più di tutte le opere espo­ste oggi alla National Gallery di Londra, e neppure Morandi, che mi pare possedesse un disegno di Seurat, ricor­dava che fosse così imponen­te. La conosceva a memoria, ma non l’aveva mai vista. Ci sono in tutto sei uomini, quattro in primo piano, due un po’ più indietro; uno è sdraiato davanti, di spalle, con un cagnetta a ridosso, l’altro è in mutande seduto ai bordi dell’acqua; due stanno seduti sull’erba della spon­da appoggiati coi gomiti ai ginocchi; gli altri sono appe­na scesi in acqua, metà bu­sto in fuori, il primo chiama facendo tromba con le mani, il secondo è sul punto di tuf­farsi. Il quadro è diviso in due da una diagonale che corre da sinistra in alto a destra in basso. La metà a destra è quasi sgombra: c’è un’imbarcazione distante, con­fusa, una vela, un gruppo di alberi; all’orizzonte le case chiare, le ciminiere, due pen­nacchi di fumo arancione, il ponte.

Frangoise Cachin ha dedi­cato a F.F. uno dei bei li­bretti della collezione « Miroirs de l’Art » pubblicati da Hermann a Parigi. Mi è ca­pitato da poco sotto gli oc­chi in una vetrina intorno alla Sorbona. Gli scritti d’ar­te di F.F. erano noti soltan­to a una stretta cerchia di eletti. Si sa che erano pia­ciuti oltre che ai letterati anche ai pittori. Remy de Gourmont lo riteneva infal­libile. E Jean Paulhan che nel 1948 scrisse la prefazione al volume delle Oeuvres lo considerava un « sourcier », un rabdomante. Ma faccia­moci subito un’idea del suo modo di approccio: « Ahimè, il brutto è pratico, l’esteti­smo sgradevole, solo l’aneste­sia è riposante ». La difesa di Seurat si affida soprattutto al metodo che era il contrario dell’improvvisazione e al va­lore delle forme ragionate contro le convulsioni del­l’istinto. Nel panorama del­la pittura postimpressionista egli stacca nettamente Gauguin e Seurat da Gustave Moreau e da Odilon Redon che tratta con leggera ironia pur essendo preferiti da Huysmans e da Mallarmé, nientemeno. Non c’è un pre­ciso riferimento ai nuovi si­stemi di fotoincisione che vennero come conseguenza delle teorie di Helmholtz e di Huyghens sulla scomposizio­ne della luce e subito dopo la scoperta della fotografia.

Ma Fénéon non trascura i meriti di Charles Henry e della sua estetica scientifica. Gustave Kahn dirà per tutti e tre, lui, Laforgue e F.F., a proposito di Seurat: « Noi fummo colpiti dalla sua arte matematica. Le sue ricerche sulla linea e sul colore of­frivano precise analogie con le nostre indagini sul verso libero ». Non spetta a Fénéon il paragone tra Seurat e Pie­ro della Francesca che ha fatto le spese di tutti i pa­negirici: allora erano poco noti i rigorosi studi di Piero sulla prospettiva. I primitivi di Fénéon non erano Ma­saccio e i Quattrocentisti ma Benozzo Gozzoli e Gaddo Gaddi che cita a proposito di Puvis de Chavannes.

A tanta distanza, circa un secolo, noi possiamo leggere meglio di Fénéon la paren­tela di Seurat con Mallarmé.

Non il Mallarmé di « Hèrodiade » ma quello dell’« Après- midi d’un faune », di « Tristesse d’été », di « L’azur », « Brise marine » tutte scritte in provincia, a Tournon. La poesia di Seurat è più dimes­sa di quella di Mallarmé, in cambio è più sincera, meno astratta. La stilizzazione è più palese e fastidiosa in cer­te contorsioni del Poeta che nel piumoso, schiumoso, esta­tico universo del Pittore. Seu­rat accettando di lavorare dietro un compenso di 7 franchi al giorno produsse dal 1884 al 1891, quando mo­rì a 32 anni di età, una die­cina di capolavori che Fé­néon ebbe modo di vedere e ammirare uno per uno.

A meno di trent’anni, Fé­néon che visse ancora 53 an­ni, smise di scrivere, dichia­rando nelle rare apparizioni di non avere altro gusto che il « farniente ». Ma bisogna ricordare che ebbe tra le ma­ni e lesse e pubblicò in ante­prima le Illuminations di Rimbaud nei cinque numeri consecutivi di « La Vogue » (di cui era redattore) dal 13 maggio al 21 giugno 1886, e i Derniers vers di Laforgue in una « plaquette » di cinquan­ta esemplari numerati, nel 1890. Gli amici lo chiamava­no Budda, Mefisto, per via della sua figura spiritata, e fu anche coinvolto negli at­tentati anarchici che lo por­tarono nel 1894 sul banco de­gli accusati. Mallarmé chia­mato a testimoniare disse che era un onest’uomo e un critico « aigu et subtil ».

 


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Bart