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PITTURA: I MAESTRI: il Tiepolo: un fiume2 Febbraio 2019
di Raffaele Carrieri Giambattista Tiepolo è l’ultimo dei grandi pittori-fiume. Non di Venezia soltanto, ma di tutte le Scuole e Nazioni. Dopo Tiepolo ci saranno bellissimi ruscelli. Ci saranno laghi. Ci saranno cascate. Le acque organizzate e filtrate diventeranno acquedotti. Diventeranno fontane, e fontane pubbliche dove ciascuno potrà, immergere il bicchierino. Tiepolo non è prendibile, non è avvolgibile: pesa anche quando è leggiero. Troppo ampio, troppo affollato, troppo mosso, troppo cangiante, troppo sdrucciolevole. Somiglia a tutto ciò che si muove e fa luce. Lo vedi nuvola e neve: invece ha la resistenza dell’argento. Una bolla di sapone che nessuno scioglierà. Una miniera dentro una perla. Si abbandona all’aria come un altro al vino. E’ ebbro per calcolo ed astuzia; con pazienza, con perseveranza. Studiosissimo si lascia credere improvvisatore. Uno sgobbone che conosce tutti i segreti della freschezza. Un erudito dell’istante! Deve ogni giorno e ogni ora correggere la sua abbondanza: un fiume infinitamente ricco di affluenti, di vene, di insenature, di ruscelli e polle. Vi si bagnano intere popolazioni di sultane e cherubini, turchi a non finire, e donne talmente ubertose che da una ne puoi ritagliar tante: tutte latte e miele, tutte gagliarde, tutte illuminate a giorno. La storia di Tiepolo potrebbe cominciare come la leggenda di un libro per ragazzi. Figlio di un capitano marittimo nasce a Venezia il 1696. Nel 1697 il capitano muore e lo lascia orfano di un anno insieme a cinque fratelli. Sei orfani e una madre vedova! Nato quattro anni in anticipo sul secolo che sarà suo: un anno più anziano di Canaletto e ventuno più giovane di Rosalba. Dal firmamento della Pittura Veneziana al tramonto del Cinquecento sono scomparse le costellazioni maggiori: nel 1576 Tiziano, nel 1588 Veronese, nel 1594 Tintoretto. Chiunque voglia essere qualcuno a Venezia deve ricominciare da quella luce. Deve imparare ad amarla. Deve imparare a capirla. Deve imparare a diffonderla. Quando Giambattista entrò nella bottega di Lazzarini era appena l’orfano di un capitano di mare, un bambino povero che doveva diventare Giambattista Tiepolo. Dovette apprendere in fretta se all’età di diciotto anni lascia il maestro e si mette da solo. Dietro i suoi occhi cerulei ci sono eserciti di figure in attesa. Eserciti cristiani composti d’apostoli, di martiri e profeti. Eserciti che tornano da Cartagine e dall’Egitto dopo la conquista dell’Africa. Eserciti mitologici. Eserciti allegorici. Eserciti di veneri. Eserciti di Angeli e di Arcangeli nella vasta planimetria del Paradiso come solo un veneziano del ‘700 poteva sognarla e farcela vedere. Sui troni terrestri tutte le allegorie: Fortuna, Forza, Sapienza, Giustizia, Gloria. E tutti gli imperatori, le regine, i principi con il seguito di cortigiani in damaschi e turbanti, coi pappagalli e gli altri volatili. Le cariatidi sostengono damaschi e nubi. I portici conducono nei vasti teatri celesti nei quali si accede attraverso immense gradinate di madreperla. E se sono portici lagunari direttamente al mare. Da qualunque parte giri lo sguardo lo splendore diurno o pomeridiano ti fa battere le palpebre. E’ il suo genio solare pieno pieno di frastagliamenti, di illuminazioni, di scorci, di cadute, di galleggiamenti e risurrezioni. Una cavalleria leggiera sfiora appena l’azzurro. Gli zoccoli dei cavalli nell’aerea galoppata fanno strappi e la luce gronda simile ai diamanti. In ogni angolo trafficanti di pietre preziose. Sono i pascià ottomani con le facce di meringa. Che boria, che infingarda maestà in questi pigri venditori di riflessi. Il piccolo Settecento dei duetti, delle tazze di cioccolata, dei minuetti continua altrove coi suoi flauti e campanelli: Giambattista continua, invece, il suo solare Concerto Grosso.
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