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PITTURA: I MAESTRI: Solitudine di Morandi20 Giugno 2014
di Dino Buzzati Con una « Testimonianza per Morandi » si è aperta in via Bigli 21 una sala per piccole mostre, soprattutto di grafica, che la Galleria del Milione ha dedicato alla memoria di Gino Ghiringhelli, suo fondatore. Ghiringhelli era legato a Morandi da profonda amicizia. Non ultimo motivo della sua morte, nel 1964, la scomparsa del pittore, avvenuta un mese e mezzo prima. Anche per questo i figli hanno voluto che fosse il nome di Morandi a battezzare la nuova galleria, ricavata in una fetta di antico portico, che serviva ai suoi tempi da stalla padronale. Nelle vetrine centrali è raccolta una documentazione varia e piena di sapore: fotografie dell’artista nel suo studio di Bologna, fatte da Lamberto Vitali; dei suoi leggendari vasi e bottiglie disposti a simulare le famose nature morte (Leo Lionni); di angoli del paese di Grizzana coincidenti con le non meno famose acqueforti (Ugo Mulas). Poi, i libri dedicati alla sua opera da Vitali, Brandi, Raimondi, Arcangeli. Alcune rare incisioni. E quattro dei pochissimi rami morandiani non conservati alla Calcografia dello Stato, di cui soltanto tre biffati (appartengono alle sorelle). Sulle pareti, — e costituiscono, di questa « testimonianza », la parte più importante — oltre trenta acquerelli, eseguiti in gran parte, gli ultimi anni, nella casa di Grizzana, sull’Appennino bolognese. In questa casa, che era appena terminata, andai a trovarlo nell’estate 1960. Prima, non lo avevo mai incontrato. Mi parve assai meno orso spinoso di come molti me lo avevano descritto, anzi amabilissimo. Però stanco, profondamente malinconico, distaccato dal mondo e anche da se stesso. In quella casa, del resto, si sentiva ancora spaesato… Ci volevano almeno due anni — mi disse — perché si sentisse a proprio agio in un nuovo ambiente. Era lassù per « riposare e forse anche per lavorare un poco ». Ma non c’era un quadro, un disegno. Soltanto due piccoli telai, ancora intatti, poggiati per terra. Non era insomma ancora nato lo studio che le sorelle conservano intatto, così come il pittore lo lasciò l’ultima volta, perfino con alcuni acquerelli stracciati, sparsi sul pavimento. I soggetti sono classicamente morandiani: i vasi, le bottiglie, qualche paesaggio. (« In fondo non è vero — mi diceva — che io dipinga sempre gli stessi soggetti, come si dice. Di stagione in stagione, di ora in ora, le cose e i posti cambiano profondamente, diventano delle altre cose, degli altri posti »). Vasi, bottiglie, paesaggi sono ridotti all’essenziale, in certi casi a diafane ombre, a macchie quasi trasparenti. Eppure è straordinaria, anche nei quadretti più embrionali e laconici, la suggestione poetica, a parte la meravigliosa eleganza grafica che ricorda l’antico oriente. Al punto che mi sono chiesto: se questi esili fantasmi di cui si è intrisa la carta mi sembrano così belli, non entrerà anche in gioco l’influsso del mito, che alle volte agisce nell’inconscio senza che ce ne accorgiamo e per cui un’opera altrimenti trascurabile o insignificante ci risulta un capolavoro? In genere, bado a stare sempre in guardia, di fronte a tali occulte sirene. Anche questa volta. Ma, fatta dentro di me la controprova, ho dovuto concludere che questi lievi barlumi di immagini sono davvero deliziosi. E che vi è contenuto, sia pure in dosi meno massicce che negli olii e nelle incisioni più ispirate, il tipico segreto di Morandi, costituito secondo me da una precisa situazione: cose o luoghi solitari, visti da un uomo che in quel momento è, e si sente, solo, (solitudine esistenzialista, si intende, che non esclude il calore degli affetti familiari). Possiamo benissimo immaginare Picasso nell’atto di dipingere mentre gli sono accanto due o tre amici; lo stesso con Matisse, per esempio, o anche con Braque. Con Morandi l’ipotesi, pur ammesso che in qualche caso si sia realizzata, ci appare rigorosamente assurda. Soltanto all’uomo solo le cose possono raccontare certe storie, riescono a concedere la loro anima. E a Morandi, appunto perché più solo degli altri, hanno fatto confessioni così importanti. (Perché non entriamo volentieri da soli in una vecchia casa deserta? Proprio per lo stesso motivo, per paura che le cose ci dicano tutto, ci conducano nel pozzo dei loro pericolosi segreti). Gli acquerelli esposti appartengono nella maggioranza a collezionisti. Solamente cinque sono in vendita. La loro attuale quotazione media sul mercato artistico è di due milioni e mezzo. (Sarà autentico l’aneddoto di quel signore che andò a Bologna da Morandi per farsi autenticare un quadro comprato a peso d’oro, e Morandi gli disse che era falso, e allora lui domandò di poterne comprare uno da lui, e il pittore glielo diede, chiedendo settantamila lire — si era nei primi anni dopo la guerra —, e alle proteste del collezionista che, sbalordito, non voleva ricevere un regalo ma compensare l’opera al giusto prezzo, Morandi replicò: «No, signore, non badi a quello che dicono, a quello che scrivono. Settantamila è il suo valore reale. Se poi gli altri… »? Glielo chiesi, quel lontano giorno, se era vero. E lui disse di no. Ma potrebbe darsi che negasse perché era l’uomo più costituzionalmente nemico della pubblicità e del pettegolezzo. E che invece il fatto fosse veramente accaduto. Comunque, gli assomiglia). Letto 1244 volte.
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