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STORIA: I MAESTRI: L’attentato di Sarajevo. Quella curva fatale29 Ottobre 2013
di Carpendras (Manlio Cancogni) Si è parlato poco della morte di Carlo Cirillo Diviak, ex-autista di casa d’Austria, che guidava l’automobile dell’arÂciduca Francesco Ferdinando, erede al trono, il giorno di Sarajevo. Eppure fu un testimone oculare dell’avvenimento; e forse qualcosa di piĂą di un testimone. Ricordiamo come si svolse il fatto. Quella mattina, il 28 giugno 1914, una domenica, quando l’automobile che portaÂva l’arciduca e sua moglie Sophie, imboccò il Quai Appel (il lungofiume che corre sulla riva destra della Miliacka, e oggi si chiama Obala Voivoda Stepe) gli attentatori, sei, erano sul posto da un pezzo, distribuiti nel tratto, un cinÂquecento metri, che va dal ponte Cumuria al Konak, il paÂlazzo del consiglio municipale dove l’arciduca era atteso per il ricevimento. Uno, Mohamed Mehmetbasic, stava appostato prima del ponte; altri tre, Svietko Popovic, Vaso Ciubrilovic, e Nedeleiko Ciabrinovic, subito dopo; il quarÂto, Gavrilo Princip, duecento metri piĂą giĂą, vicino al ponte Latino, oggi ribattezzato Principov niost; l’ultimo, Trifko Gabrcz, davanti al Ponte Imperiale, a qualche passo dal palazzo dove l’ospite era atteso. Erano tutti ragazzi sotto i vent’anni, tranne Mehmetbasic, armati di bombe e di pistole. Erano passate da poco le dieci. Le tre automobili (quella pilotata da Diviak procedeva nel mezzo) avanzavano a veÂlocitĂ moderata. Insieme all’arciduca, in grande uniforme, col cappello piumato, e alla moglie Sophie, in bianco da capo a piedi, viaggiavano, seduti dirimpetto alla coppia imÂperiale, il generale Potiorek, governatore militare della BoÂsnia (gran guerrafondaio, nemico dell’arciduca per la sua politica pro-slava) e il conte Harrach, della corte di VienÂna (ostile anch’essa all’erede) accompagnatore ufficiale. Al passaggio del corteo, Mehmetbasic, Popovic e CiubriÂlovic non si mossero: furono presi da scrupoli, forse mancò loro il coraggio. Ciabrinovic scagliò la bomba mancando il bersaglio (esplose davanti alla terza macchina) e saltò nel fiume. Mentre davano la caccia all’attentatore (preso menÂtre tentava di avvelenarsi) le prime due automobili, dopo una breve sosta, proseguirono fino al Konak. Princip, che sentendo l’esplosione e vedendo correr gente, aveva creduÂto che l’attentato fosse riuscito, se le vide passare davanti, veloci, e non ebbe il tempo di reagire. Avvilito (era il capo del gruppo benchĂ© avesse solo 19 anni) si allontanò dal ponte, indugiando dietro l’angolo della Franz Joseph, traÂversa perpendicolare al lungofiume. II sesto attentatore, Crabrez, era fuggito. La cerimonia al Konak fu molto breve e agitata (ce n’era il motivo) e subito dopo, l’arciduca ripartì da SarajeÂvo. Lui veramente avrebbe voluto recarsi all’ospedale dove erano ricoverati i feriti dell’attentato ma lo sconsigliaroÂno. Il conte Harrach che aveva insistito per riprendere senza indugi la via del ritorno, quando l’automobile pilotaÂta da Diviak s’avviò, sempre in seconda posizione, invece di accomodarsi, come all’andata, a fianco del generale PoÂtiorek, rimase in piedi sul predellino, tenendosi con una mano allo sportello. In quel modo credeva (è la spiegazioÂne ufficiale) di proteggere meglio la coppia imperiale, nel caso di un nuovo attacco dalla parte del fiume. Era da quel lato che avevano scagliato la bomba. Le due automobili percorsero i primi duecento metri, poi Diviak, giunto all’altezza del ponte Latino, invece di proseguire diritto, come la macchina che lo precedeva, voltò a destra nella Franz Joseph. PerchĂ©? Il generale PoÂtiorek, arrabbiato, gridò a Diviak di fermarsi e di fare marcia indietro. Mentre Diviak si apprestava alla manovra, Princip, che se ne stava sull’angolo, estrasse la pistola e senza fare un passo dal marciapiede, sparò sull’arciduca. In quel momento l’automobile era quasi ferma, rasente il marciapiede (largo sì e no un metro) e Princip non poteva mancare il bersaglio. PerchĂ© Diviak invece di proseguire diritto lungo il Quai Appel, voltò nella Franz Joseph offrendo a Princip un’ocÂcasione ch’egli ormai non si aspettava piĂą? Da chi ricevetÂte l’ordine? Probabilmente, come lui disse, dal generale PoÂtiorek. E perchĂ© allora il generale gli gridò di tornare inÂdietro, pur sapendo che con quella manovra esponeva a un nuovo pericolo la persona che, ufficialmente, si preoccupaÂva di portare in salvo al piĂą presto? Se colleghiamo questi particolari ai fatti che tutti sanÂno (la scarsa sorveglianza della polizia benchĂ© a Vienna sapessero che a Sarajevo si stava organizzando un attentaÂto — li aveva avvertiti il governo serbo da Belgrado — la dubbia lealtĂ di Potiorek; l’ostilitĂ della Corte, comincianÂdo dall’imperatore, che si augurava la morte dell’erede) c’è materia di che riflettere. Diviak, morto pochi giorni fa a Trieste, fu probabilmenÂte l’ultimo anello, inconsapevole, di una lunga catena, non altrettanto involontaria, di responsabilitĂ . Il suo errore poÂtrebbe essere rivelatore. Lui, poveretto, aveva completamente perso la testa. Era così frastornato che in seguito dette una versione molto confusa dell’accaduto, che nessuÂno si preoccupò di controllare. Fra l’altro scambiando Princip per il conte Harrach disse che l’attentatore, per sparare, era salito sul predellino dell’automobile imperiale. Racconto che fece testo tantochĂ© nelle illustrazioni storiche dell’attentato si vede lo studente serbo in quella posizione. Con Diviak è scomparso forse l’ultimo testimone del tragico avvenimento. Fino a poco tempo fa ne viveva un altro a Belgrado, l’unico degli attentatori superstiti, Vaso Ciubrilovic, che all’epoca aveva 16 anni, sopravvissuto al carcere di Theresienstadt dove gli austriaci avevano chiuÂso i congiurati. Era un uomo piccolo, pallido, chiuso. Non parlava mai di Sarajevo. Lui che probabilmente la conoÂsceva, non voleva dire la veritĂ . Era professore di storia. Letto 3202 volte.

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