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STORIA: I MAESTRI: Risorgimento senza eroi3 Novembre 2015
di Ferdinando Vegas DENIS MACK SMITH Denis Mack Smith, lo storico inglese che in Italia si è procurata, non del tutto a torto, la fama di enfant terrible della storiografia risorgimentale, si ripresenta con un nuovo volume, cerÂtamente destinato anch’esso ad agitare le acque. Il Risorgimento italiano, coÂme semplicemente s’intitola l’opera, esce da Laterza, nella collana « Storia e società », complementare nella soÂstanza e identica nella « confezione » editoriale alla « Collezione storica », nella quale era apparsa, nel 1959, la Storia d’Italia dal 1861 al 1958: dati esteriori, che potrebbero indurre, a colpo d’occhio, a pensare a una recidiÂva dell’autore. In realtĂ le due opere sono molto diverse, sia per il periodo che ciascuna copre sia per la differenÂte struttura interna: il Risorgimento, infatti, tratta gli anni dal 1790 al 1861 ed è una raccolta di testi dell’epoca, mentre la Storia è una compatta narÂrazione del Mack Smith. Abbiamo così, nell’opera piĂą recenÂte, la documentazione delle premesse dalle quali parte e sulle quali è coÂstruita l’opera piĂą antica; in un certo senso, quindi, l’una completa l’altra, offrendoci globalmente una storia delÂl’Italia moderna e contemporanea dalÂla fine del secolo XVIII alla metĂ del secolo XX. Un unico filo conduttore guida il Mack Smith, stringendosi nel nodo del 1860-61 (rispettivamente, terÂmine di arrivo e di partenza dei due lavori), intorno a quei problemi della costruzione del nuovo Stato unitario, che giustamente l’autore reputa cenÂtrali alla storia della nuova Italia. Da Garibaldi e Cavour. L’insurrezione dei contadini siciliani nel 1860 ai saggi e articoli ora raccolti nel volume Da CaÂvour a Mussolini (ed. Bonanno) queÂsta è il terreno sul quale lo storico inÂglese si muove meglio, con sue partiÂcolari predilezioni e con interpretazioÂni anche discutibili, ma certamente con innegabile competenza. Ora, appunto riguardo a questo punÂto nodale e quindi alla valutazione dell’opera di Cavour, ci sembra che stia la vera differenza, nel merito, tra la Storia e il Risorgimento. Lo scandaÂlo suscitato in Italia dalla Storia deriÂvava, come si ricorderĂ , dalla sua « teÂsi centrale », così sintetizzata dallo stesso Mack Smith: « Se a un grande successo politico conseguito nel secolo decimonono fecero seguito nel venteÂsimo la crisi e la disfatta, ciò fu dovuÂto in larga misura a errori di politica estera risalenti a loro volta a vizi conÂgeniti della costituzione politica interÂna ». Primo responsabile di tali vizi, e non solo in ordine cronologico, era fatÂto, precisamente, Cavour, al quale in sostanza si addebitava il perenne traÂsformismo della vita politica italiana, sfociato infine nel fascismo. Il vizio congenito, anzi, continuava ancora doÂpo la restaurazione della libertĂ , tanto che il Mack Smith riteneva di poter concludere la Storia con queste paroÂle: « A dieci anni dalla Costituzione reÂpubblicana nessuna certezza c’era anÂcora che fosse possibile trovare una soluzione entro il sistema politico traÂdizionale risalente a Cavour ». Il giudizio così ingiusto e inaccettaÂbile sullo statista piemontese è profonÂdamente rivisto nel Risorgimento: forÂse perchĂ©, come ha giĂ osservato A. Galante Garrone, « l’autore, con granÂde onestĂ , ha tenuto conto delle critiÂche mossegli e ha cercato di penetrare piĂą a fondo, e con maggiore equanimiÂtĂ , nei difficili meandri della politica cavouriana »; forse perchĂ© la formula antologica del lavoro ha portato il Mack Smith, di necessitĂ , a uno studio molto piĂą ampio e quindi a una conoÂscenza molto piĂą accurata dei testi e dei documenti. Ne risulta una valutaÂzione complessivamente positiva del ruolo svolto da Cavour nel RisorgiÂmento; si potrebbe dire che nell’« odi et amo » dell’autore verso Cavour ora l’accento cade, sia pure con riserva, sull’« amo ». Così, nell’introduzione premessa alla raccolta dei testi, dopo il riconoscimento dell’abilitĂ di CaÂvour quale finanziere, parlamentare e organizzatore politico, « quasi altretÂtanto notevole » della « sua intuitiva comprensione della scena diplomatica europea », il Mack Smith giunge a questo giudizio conclusivo: « Cavour imbrigliò con successo la forza del paÂtriottismo italiano che Mazzini si era tanto prodigato a promuovere; e, imÂbrigliando anche le spinte aggressive del Piemonte e del suo sovrano, fu inÂfine capace di sfruttare il gioco degli equilibri di forze in Europa e di creaÂre, pochi mesi prima della sua morte, il Regno d’Italia ». Può sembrare un giudizio non pereÂgrino, ma l’importante è il modo come l’autore vi giunge, facendo emergere la sintesi cavouriana da un processo quanto mai complesso e contraddittoÂrio, il cui esito finale non era affatto scontato e nemmeno prevedibile. Il merito maggiore di questo RisorgiÂmento del Mack Smith, infatti, consiÂste nel restituirci finalmente un RisorÂgimento fuori da ogni consunta oleoÂgrafia e agiografia, ma invece come si è effettivamente svolto: sconsacrando miti ed eroi, sostituendoli con fatti realmente accaduti e uomini in carne e ossa. L’impostazione dell’autore, democratico-radicale nella linea portanÂte, è, metodologicamente, tipica della storiografia anglossassone, eminenteÂmente pragmatica; si iscrive, cioè, in una concezione della storia affatto diÂversa da quella prevalente nella cultuÂra storica italiana. Applicata al Risorgimento, siffatta concezione significa mettere risoluta- mente da parte non solo la visione orÂganica complessiva (il Risorgimento come una trama nascosta, che infine rivela il disegno unitario preordinaÂto), ma anche ogni privilegiamento aprioristico d’un determinato signifiÂcato o aspetto. Per esempio, al Mack Smith è indubbiamente molto piĂą conÂgeniale Garibaldi (il suo « eroe », sul quale sta scrivendo un’attesa biografia completa) che non Gioberti; ma la toÂtale estraneitĂ allo spirito del neoguelfismo e la caratterizzazione dell’abate come « enfatico, egocentrico e astioÂso » non gli impediscono di riconosceÂre l’importanza che ebbe il « Primato » e di riportarne un lungo brano. Nel 1843, quando nessuno poteva prevedere l’intervento rivoluzionario di GaribalÂdi nel ’60 e la conclusione unitaria, il federalismo moderato di Gioberti rapÂpresentava un elemento positivo; e questo, sul concreto terreno storico, conta per il Mack Smith, non l’enuÂcleazione d’un astratto neoguelfìsmo, ancora oggi politicamente esaltato o combattuto. Il metodo dell’autore, di collocare nel loro preciso contesto i fatti e le idee, indipendentemente dalla diversa luce che su di essi sarebbe poi stata riÂflessa dagli avvenimenti successivi, trova la migliore applicazione in una raccolta antologica, qual è, come si è detto, il Risorgimento. Così il lettore può ascoltare, autentiche, le voci piĂą diverse, degli attori maggiori e minoÂri, degli artefici del Risorgimento, deÂgli avversari, dei vinti, anche degli osÂservatori piĂą o meno interessati, francesi e inglesi; voci che provengoÂno dalle fonti piĂą disparate, private e pubbliche, lettere, articoli, opuscoli e libri, documenti diplomatici, resoconti parlamentari, atti di governo, rapporti, corrispondenze fra autoritĂ centrali e periferiche: il tutto sicuramente domiÂnato dall’autore, che ha collegato e ilÂlustrato, mediante suoi « cappelli », i vari argomenti e i testi prescelti. Ne viene fuori un Risorgimento viÂvo e mosso, veramente inedito, anche quando si tratta di testi editi e noti agli studiosi. Così il garibaldino AlberÂto Mario descrive l’incontro di Teano in maniera tanto realistica quanto irriÂverente, altro che il quadro di manieÂra tramandatoci dalla « storia patria » ufficiale: nel momento solenne, scamÂbiato il saluto, il re « favellò del buon tempo e delle strade cattive », mentre Garibaldi era « alla tortura » perchĂ© i paesani si ostinavano a gridare « Viva Galibardo! » e non «Viva il re d’ItaÂlia: », da « villani antipolitici », e il miÂnistro Parini, dal canto suo, aveva non poca pena e difficoltĂ a stare a caÂvallo (« le brache aggroppavansigli alÂla volta delle ginocchia »). Segue imÂmediatamente la descrizione dell’enÂtrata di Vittorio Emanuele II a NapoÂli, affidata alla penna avvelenata del borbonico De Sivo: i trofei di cartapeÂsta rovinati dalla pioggia, il re « tapiÂno, sgradevole… Faccia scura, occhi gonfi, baffoni, tozzo, sporco… », i « lazzaÂroni scamiciati », e i « camorristi plauÂdenti e saltellanti » che gli facevano corteggio. Certo, per questa via si scende sino al pettegolezzo e al livore impotente dei vinti; ma qualche tocco del genere può essere un utile corretÂtivo alla visione aulica. Ben piĂą importante, per comprendeÂre il Risorgimento anche attraverso l’antirisorgimento, è che il Mack SmiÂth faccia parlare Metternich e Radetzky, presenti la giustificazione del propÂrio operato dell’inquisitore Salvotti, lasci esporre a Solaro della MargheriÂta le sue idee politiche, soprattutto dia il dovuto rilievo a quell’antagonista assiduo che fu, di massima, il mondo cattolico. Un tutt’altro aspetto, quello relativo alle condizioni e ai problemi sociali ed economici, ci sembra pure che sia convenientemente illustrato: dall’aneddotica sull’inaugurazione delÂl’illuminazione a gas a Torino o sull’aÂpertura della prima ferrovia a Napoli agli scritti impegnativi d’un Cavour o d’un Cattaneo, ai capitoli sulle condiÂzioni delle diverse regioni. Esplorato sotto ogni angolo, il RiÂsorgimento rivive dunque nei pensieÂri, negli intendimenti, nel concreto operare, di volta in volta, degli uomini che allora lo vissero e, per l’una o l’alÂtra via, infine lo realizzarono. Che l’accadimento finale e totale sia riuscito come riuscì, alla creazione dell’Italia unita, il Mack Smith c’insegna che deÂve attribuirsi, molto semplicemente, al corso umano della storia, non a miraÂcoli o ad arcane confluenze provvidenÂziali. Letto 1300 volte.

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