|
STORIA: MUSICA: I MAESTRI: Ludwig II di Baviera. Sovrano e regista31 Ottobre 2015
di Gioacchino Lanza Tomasi Monaco di Baviera, settembre « Quando noi, da tempo non saremo piĂą, la nostra opera servirĂ ancora ai posteri qual luminoso esempio, e incanterĂ i secoli, e con entusiasmo i cuori arderanno per l’arte divina, di origine, eternamente viva ». Così scriÂveva l’8 agosto 1865 il ventenne Luigi II di Baviera a Wagner, uno fra i cirÂca seicento documenti della loro corrispondenza. Vissuto in un secolo « oĂą les rois se font si peu de chose », come disse Verlaine nel sonetto scritto sotto l’impressione del misterioso suicidio del re nel lago di Starnberg, Luigi II era stato « le seul vrai roi de ce siècle » per avere posto l’arte al di sopra della politica e della realtĂ , avere cerÂcato la fuga dalla banalitĂ quotidiana nell’avventura estetica. Cosa fosse questa avventura lo possiamo cogliere ancora piĂą che nella biografia del Pourtalès o nei tre volumi del Röckel sui suoi rapporti con Wagner, visitanÂdo la mostra « Luigi II e l’arte » recenÂtemente aperta nella Residenz di MoÂnaco. La sensazione di trovarsi al centro di un palcoscenico tridimensionale che si trova percorrendo le sale dei suoi castelli: Neuschwanstein, Linderhof, Herrenchiemsee — ricordo soprattutto nel primo come anche l’ambiente naÂturale di fronte a cui è piazzato il maÂniero di Lohengrin e di Tannhäuser, la spaccatura profonda della gola del Pollät, sembrasse opera degli scenoÂgrafi di re Luigi — si ritrova alla moÂstra nella fase di progettazione, siamo per cosi dire nel laboratorio di questo travestimento melodrammatico della natura. Disegni, schizzi, piante di fabÂbriche che soltanto in minima parte giunsero a compimento, integrati da alcuni pezzi fra i piĂą caratteristici tratti dall’arredamento dei castelli stessi, illustrano la parabola creativa di re Luigi, diremmo la sua regìa esteÂtica: molti progetti recano infatti anÂnotazioni autografe del sovrano, rettiÂfiche e prescrizioni mediante le quali gli esecutori manuali del suo mondo fantastico erano sollecitati a sempre meglio uniformarvisi. Secondo il re un mecenate esercita una vera e propria professione artistiÂca e nel suo caso non era vanteria: visitando la mostra pare di assistere a una strana costruzione teatrale, diretÂta da un regista fornito di mezzi illiÂmitati, dedito tutta la vita ad allestire spettacoli di cui egli è l’autore e al tempo stesso lo spettatore solitario. Due erano i chiodi fissi della sua fanÂtasia: riprodurre al vero l’opera di Wagner e ripristinare la regalitĂ borÂbonica di Versailles; Luigi II desiderò alternativamente essere Lohengrin e il Re Sole. Osservando a posteriori l’inevitabilitĂ di un delirio artistico del sovrano, un uomo rimasto sostanzialmente inÂfantile, incapace di tracciare un solco fra sogno e realtĂ , possiamo anzi dire che Wagner abbia cercato di arrestare la corsa del re verso la follia, che proÂprio la resistenza del musicista a tufÂfarsi in progetti eccessivamente diÂspendiosi, la sua concezione dell’arte come professione e non come avventuÂra, abbiano prodotto la misantropia creativa di Luigi di Baviera. E il re, rimasto inappagato nel suo sogno di essere elevato al di sopra del volgo qual puro eroe di una saga nordica, decise di rinchiudersi in un’isola deÂserta dove potesse risplendere al di fuori del mondo borghese la perfezioÂne di una ideale Versailles. IN ALTO VERSO DI VOI Il mese seguente Massimiliano moÂriva, e il primo pensiero del sovrano, giovane e bellissimo, fu di incontrare l’uomo prodigioso. Fu così che il 2 maggio 1864 Franz Pfistermeister, seÂgretario del Gabinetto Reale, rintracÂciava dopo lunghe ricerche il musiciÂsta a Stoccarda, di nuovo costretto a una clamorosa fuga per sottrarsi ai propri creditori. Lo storico incontro è di due giorni dopo e l’indomani WaÂgner riceveva la prima ardente prosa del re. Luigi non era stato conquistato dal musicista ma dall’estetismo verbaÂle dei libretti wagneriani, le lettere soÂno redatte nello stile dei libretti e diÂvennero man mano piĂą accese; dopo una audizione antologica di musiche wagneriane s’incontrano queste espressioni: « LĂ il messaggero celeste, Lohengrin!… dal cielo ogni anno una colomba… Tannhäuser liberato da ogni vincolo terreno. L’amore redime il peccatore! — o esso può tutto! — In alto verso di Voi!… Oh io posso soltanÂto scrivere: in Te Tutto, fuori di Te Nulla! Indifferenza e vuoto ». L’avvio alla costruzione dei castelli prese lo spunto dai grandi allestimenti monacensi delle opere wagneriane. Anni di soddisfazioni tempestose per il musicista, cui la buona borghesia della capitale non perdonava l’ascenÂdente sul re, concretatosi in folli spese per gli allestimenti delle sue opere, e ancora piĂą l’interferenza nelle scelte politiche. E’ noto che Luigi II fu coÂstretto a licenziare il musicista alla fine del 1865 e potĂ© riaverlo a Monaco soltanto dopo la caduta del ministero Pfordten, seguita alla sconfitta militaÂre bavarese della guerra austro-prusÂsiana. Una prima divergenza attorno alle mete dell’arte, fra musicista e mecenaÂte, si determinò nel 1867 in occasione della rappresentazione del Lohengrin. Identificatosi col cavaliere del cigno, Luigi li non potĂ© tollerare la scelta di un tenore sessantenne, e invano WaÂgner cercò di ricondurre il regale amiÂco a una visione dell’arte piĂą poetica e trascendente: « Quando paragonai il canto del Titatsheck a una pittura del DĂĽrer, il suo aspetto a un’immagine del Holbein, vi avevo esortato ad ascoltare il cantante, non a guardarlo con occhio analitico… Voi non mi aveÂte ascoltato, avete centrato su di lui lo sguardo armato di binocolo; egli non poteva resistere alla prova e l’illusione poetica svanì ». Divergenza di opiÂnioni che indicava giĂ l’incapacitĂ del re a fronteggiare la realtĂ : compito dell’arte era di sostituirla, essa era la sola realtĂ , piĂą nobile del contatto quotidiano con il mondo cui lo costringeva il suo posto di sovrano borghese, Luigi chiedeva all’arte la veritĂ , non l’illusione. Reso prudente dall’esperienza Wagner non volle quindi tirare troppo la corda: malgrado il successo trionfale dei Maestri Cantori (maggio 1868) fu ben felice delle difficoltĂ finanziarie che si opponevano alla costruzione del Festspielhaus, progettato da Gottfried Semper appositamente per la rappreÂsentazione dell’Anello. Egli avvertì che l’edificazione di un suo teatro perÂsonale, preventivato in 5 milioni di gulden, sarebbe stata una perenne pietra dello scandalo e patrocinò fin dall’inizio la soluzione di una sala provvisoria in strutture lignee. Ma non appena Luigi si vide costretto ad abbandonare il progetto del teatro ideale egli intraprese la sua via di coÂstruttore solitario: l’idea di riedificare la rovina medievale dei conti di Schwangau sull’Alpensee risale apÂpuntò all’estate del 1868, da allora, pur perdurando l’amicizia fra sovrano e musicista, essi separeranno sempre piĂą le proprie vie creative. UN TEMPIO DEGNO DEL DIVINO AMICO Il 13 maggio 1868 Luigi II descrisse a Wagner il progetto: « … un tempio degno del divino amico, dal quale è fioÂrita al mondo l’unica salvezza e beneÂdizione. Vi saranno anche reminiscenÂze del Tannhäuser (sala dei bardi) e del Lohengrin… questo castello sarĂ sotto ogni punto di vista piĂą bello e confortevole di quello dabbasso di Hohenschwangau, quello sconsacrato ogni anno alla prosa di mia madre, gli dei profanati si vendicheranno e viÂvranno con noi sulla vetta scoscesa, avvolta nell’aria celeste ». Seguirono « i giorni d’estasi di Hohenschwan- gau », (11-18 novembre 1865, la settiÂmana in cui Wagner fu ospite nel caÂstello), coronati il 21 novembre dalla messa in scena dell’arrivo di LohenÂgrin trainato dal cigno sulle acque del lago alpino, e questa volta Lohengrin, con sua piena soddisfazione, era il belÂlissimo principe Paolo Thurn und Taxis, aiutante di bandiera del re. La passione edilizia wagneriana diÂvampa e il musicista è subissato di letÂtere in cui gli si chiedono dettagli sulÂl’armatura, il mantello, gli sproni, i motti dell’eroe; lo scultore Caspar Zumbusch riceve la commissione di una diecina di raffigurazioni marmoÂree del cavaliere del Gral, Luigi si fa fabbricare alcune armature argentee per il suo uso personale, gli scenografi Angelo II Quaglio e Christian Jank soÂno incaricati di schizzare la futura diÂmora di Lohengrin e Tannhäuser. PreÂventivato in poco piĂą di tre milioni di marchi Neuschwanstein ne costò alla cassa reale oltre sei. Il lavoro di progettazione, cui il re soprintendeva personalmente, accenÂtua il distacco dall’estetica poetica del musicista. Luigi II vuole per la sua diÂmora di Lohengrin e Tannhäuser il riÂspetto della veritĂ storica e non si contenta delle ambientazioni medievaÂli in cui Wagner colloca i propri eroi sulla scena. Così il re si fa promotore di un piĂą severo « storicismo », intraÂprende ricerche personali, visita i reÂsti della sala dei bardi alla Wartburg, esige dai suoi esecutori una precisione calligrafica nella riproduzione dell’anÂtico. LE PREMESSE DELL’ART NOUVEAU Assillato dal culto del vero scarÂta le scenografie gotiche adottate da Wagner per la sala dei bardi e si fa approntare dallo Jank un progetto roÂmanico, conforme allo stile della WarÂtburg. Ai pittori creativi preferisce gli esecutori manuali, obbedienti alle sue direttive tanto nei dettagli stilistici che nella regìa degli atteggiamenti. Ma per nostra fortuna la realtĂ di Neuschwanstein, ispirata a epopee germaniche e a un Medioevo remoto, rimane fantastica: l’alienazione del re sa ancora considerare veritĂ il sogno di una scenografia permanente. Fra le scenografie delle famose rapÂpresentazioni wagneriane monacensi riprodotte alla mostra, i progetti e la realtĂ del Neuschwanstein, non vi è alcun salto stilistico. L’idealizzazione del mito tedesco, sia che si tratti di gotico o di romanico, conserva in ogni caso il fuoco del romanticismo. Percorrendo i pezzi d’arredamento provenienti da Neuschwanstein osserÂviamo come a istigazione di Luigi l’artigianato Biedermeier perda ogni ingeÂnuitĂ e si trasformi in delirio scenoÂgrafico. Il re ama vedere affastellati i simboli dei propri eroi, rami e cigni si diffondono per ogni dove, l’equilibrio di forze del disegno architettonico vieÂne respinto. Gli architetti reali Dollmann e Hoffmann saranno infatti solÂtanto i progettisti tecnici di fabbriche la cui idea figurativa è stata redatta da scenografi teatrali. Così gli elemenÂti costruttivi si riducono a ornato, si giunge all’assurdo di una architettura senza strutture, cioè dove le strutture vanno celate sotto l’ornato vegetale; nascono le premesse dell’Art Nouveau giĂ attuato nei disegni dello Jank per la sala dei bardi, dove le contorsioni di corpi della scultura romanica, la stiÂlizzazione vegetale di capitelli bizantiÂni si trasformano in grovigli di tralci e radici fra cui s’aggirano gnomi nibeÂlungici alla ricerca dell’oro. Abituati a scorgere repliche di queÂsto storicismo bavarese nelle paccotiglie diffuse alla fine del secolo scorso nei salotti borghesi, la sua tracotanza decorativa può provocare un attimo di repulsione. All’analisi si resta però sorÂpresi dalla qualitĂ dell’artigianato reale: i lampadari a fascie di bronzo e pietre della sala dei bardi, ideati sulla corona di ferro, i servizi da scrittoio, o lo stupendo lavabo col cigno argenteo da cui l’acqua zampilla, non esauriscoÂno il loro effetto nell’illusione scenoÂgrafica, tentano un’assurda, impossibiÂle ricostruzione del vero, insistendo sul dettaglio di oreficeria, sulla qualitĂ del prodotto artigianale. A differenza di altri arredamenti reali ottocenteschi, sontuosi e freddaÂmente estroversi, si osserva come queÂsti serbino un particolare rapporto umano: la decorazione non fa soltanto lusso ma tenta di fissare nell’uso quoÂtidiano una illusione scenografica, donÂde la selezione dei materiali, l’artificio della ricostruzione storica, l’intelligenÂza e fatica con cui si cerca di dare loro evidenza corporea. Luigi non si rifuÂgiava a Neuschwanstein per esaltare pubblicamente la regalitĂ ma per convincere narcisisticamente se stesso di essere l’uomo della missione divina, il redentore dei melodramma wagneÂriani. NON SOPPORTAVA LA VISTA DEI SUDDITI Accanto agli altri progetti wagneriaÂni di Linderhof: la famosa Venusgrotte per cui il re inviò due volte a Capri il connestabile Hornig onde riferisse sull’atto colore e trasparenza della grotta azzurra, la capanna di Hunding e quella di Gurnemanz, Luigi II si apÂpassionò progressivamente all’assoluÂtismo regale impersonato da VersailÂles. Si accentuava per questa via la misantropia politica del sovrano, diÂsgustato dalla retrocessione del suo rango a seguito della restaurazione bismarkiana dell’impero tedesco. La reÂsidenza in stile Luigi XV di Linderhof pesò sulla cassa reale per 8 milioni e mezzo di marchi e non doveva essere che il Trianon della nuova Versailles, iniziata nel 1878 sull’isolotto dello Chiemsee. Fin dal 1872 il re aveva cominciato a schivare il contatto del pubblico nelÂle sale teatrali. Non sopportava di esseÂre turbato dallo sguardo dei sudditi mentre assisteva a fatti per lui talÂmente vitali quali quelli che venivano rappresentati sul palcoscenico; prese allora l’abitudine di fare allestire nei teatri annessi alla Residenz delle rapÂpresentazioni private, cui assisteva al buio e in perfetta solitudine. Fra il 18T2 e il 1886 furono montati per l’uso privato del re ben duecentonove spetÂtacoli di prosa e quarantaquattro opeÂre liriche. Luigi aveva un debole per i lavori encomiastici sull’ancien rĂ©gime, ne feÂce comporre appositamente dai suoi poeti di corte con l’obbligo di seguire minutamente i memoriali di Versailles di cui era un appassionato lettore. I bozzetti di questi allestimenti privati raccolti alla mostra sono condotti nelÂlo stesso gusto analitico, e in parte freddamente riproduttivo, che osserÂviamo nei pezzi di arredamento proveÂnienti da Linderhof. La misantropia tenne lontano Luigi persino dalla priÂma del Parsifal (1882), cui sognava da tanti anni di assistere. Vide l’opera soltanto nel 1884 dopo la morte di WaÂgner, unico spettatore nel teatro della Residenz e se la fece replicare tre giorni di fila; le scene erano state traÂsportate da Bayreuth su dodici vagoni ferroviari. VOLEVA COMPRARE TUTTE LE ISOLE Nel 1873 aveva incaricato il suo archivista di segnalargli, e possibilmenÂte acquistargli, tutte le isole, anche diÂstanti ed esotiche, dove la sua regalitĂ potesse continuare a risplendere senza essere sminuita dalla egemonia impeÂriale prussiana. Si concretò soltanto l’acquisto dell’isolotto sullo Chiemsee. Quattro anni piĂą tardi decise di edifiÂcarvi il palazzo di Meicost-Ettal, anaÂgramma di l’état c’est moi, dove si saÂrebbe elevata, come scrisse a Wagner, la sua « ideale, poetica, monarchica grandezza e solitudine ». Era il 1878 e l’86 la nuova Versailles ingoiò sedici milioni di marchi senza giungere a completamento. VisitandoÂla si passa dalle frenetiche dorature della galerie des glaces e del grande appartamento alle disadorne mura di cotto delle fabbriche incompiute: ne ho tratto l’impressione di passare da un palcoscenico, dove l’ancien rĂ©gime è isolato in una specie di olimpo di boiseries, alle mura nuda che ci attenÂdono dietro le quinte, quella nuditĂ appunto che Luigi avrebbe consideraÂto con disgusto nei suoi ultimi anni, ormai dedito soltanto alla realtĂ della chimera. L’arredamento neobarocco proveÂniente da Herrenchiemsee è di una sontuositĂ funeraria: il letto da parata col simbolo solare e le sue tappezzerie, cui le officine monacensi lavorarono ben sette anni, sono il pezzo piĂą sgoÂmentante della mostra. L’aria vi è irÂrespirabile, pervasa da una megalomaÂnia che supera la stessa convenzione teatrale. Esaurita ogni possibilitĂ di indebitaÂmento della cassa reale, Luigi II era costretto a sospendere all’inizio del 1886 i lavori dello Herrenchiemsee, seÂguiva pochi mesi dopo la sua interdiÂzione, ancora sei giorni e la morte nel lago di Starnberg. Il sonetto commeÂmorativo del Verlaine avviò la diffuÂsione della miniatura del re diciottenÂne tratta dal quadro del Piloty: al sorÂgere del nuovo secolo essa era il simÂbolo di ogni cultore della religione estetica. Letto 1343 volte.

Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. |
![]() |
|||||||||