PITTURA: Cristofani, l’albeggiare di un universo diverso7 Agosto 2011 di Dino Carlesi Un pittore colmo di problemi e di inquietudini: come deve essere, del resto, se il pittore vuole essere credibile e non desidera che tutto finisca nel gioco più sterile. La sua è una pittura “di necessità”, intendo dire, liberatrice e accorata e vissuta. All’inizio non passò come la solita esperienza toscaneggiante e post-impressionistica, ma, per dare consistenza al suo autobiografismo e non cadere nella narrazione banale, ebbe bisogno delle prime allusioni simboliche e delle prime deformazioni espressionistiche: grotteschi con la satanica volontà di ribellione e di manomettere i luoghi sacri come il bosco, il sesso, la natura. Poteva rifarsi a Toulouse-Lautrec o alla Salomè di Beardsley o al Cagli dei fauni, ma si trattava solo di incontri fortuiti tanta era forte la disposizione all’incontro con quelle scoperte, l’urgenza di far coincidere mondi ed esperienze e, soprattutto, di ingentilire ogni forma (sua e non sua) dentro un liberty carico di elegìa e di amorosa passionalità. Ma la prima ricerca Cristofani (la sua galleria di quadri qui) dovette condurla dentro di sé, anche per appurare il tasso di autenticità che avrebbe dovuto caratterizzare la sua interpretazione del mondo: l’evasione dalla sua città natale rappresentò l’atto finale e iniziale di un’indagine da condurre dentro i suoi “nodi” del vivere, di cui la pittura avrebbe rappresentato l’esteriore manifestazione visiva. Era l’unico modo per ricondurre l’esercizio grafico alla sua polla originaria, dargli consistenza umana, presentarlo come totalità. Nasceva il “racconto di sé”, amaro e crudele, in bilico tra il grottesco (come forzatura dei dati naturali) e l’elegante decorazione (come estrema salvezza dal male e dall’ossessivo), anche nel recupero di certe “periferie” dove l’ambigua tensione dei luoghi non affollati e aperti al capriccio consentiva di cogliere figure più libere nei giochi amorosi. Era l’inizio di un nuovo scavo dentro la “realtà”, panteisticamente colma di idoli nascosti, dove tra fiori uccelli e alberi l’uomo si poneva come elemento unificante e sublimante, un giovane dio capace di dare giustificazione al mondo stesso, ai suoi intrighi, alle sue follie. In questa operazione di scandaglio Cristofani usava (e usa) il segno come costante ricerca di armonia, come superamento di un disordine nascosto in nome di un ordine diverso e più scandaloso. Figure, composizioni, simboli: tutto si sta ordinando in questa logica rigorosa e sistematrice, a cui non manca il piglio di una obbligata aggressività contenutistica. Una aggressività mascherata dal preziosismo formale, evidente quando le sue passioni motrici prendono strade sottili, s’inarcano per sentieri sotterranei, fino a rarefarsi in controllati rigori grafici: pare che sia la sua vita a tendersi fino allo spasimo del segno, la sua ansia quotidiana a trasferirsi sulla punta del pennello per declamare una sua sofferta e sontuosa problematicità, anche se attenuata dalla leggiadra memoria di antiche stampe indiane e giapponesi. Il suo legno morbido attende che la punta metallica vi incida un idillio, un colloquio tra persone o animali, ma anche l’insidia del male, quel montaliano punto dell’anello che non tiene o del filo da disbrogliare nascosto nell’animale strisciante che sogghigna da un ramo o da una veste: un suo “male” fuori etica, posto al di là di qualsiasi frontiera, ma incombente come una spada e una maledizione. Forse è quella sete di autenticità che moralmente salva, come risultato formale, ogni suo tema scabroso o ambiguo, è quell’essere tutto nel suo gesto, condividendolo e pagandolo, a far sì che quel gesto si identifichi col segno e lo riscatti da qualsiasi avvilente compromesso. Il torbido e il misterioso divengono così una “ferita” entro cui purificare se stessi, come accadde quando l’artista ricercò nel Satyricon di Petronio una affinità di compiaciuto abbandono al vizio sublime dell’uomo di sapersi smarrire con letizia nei simboli di una ininterrotta decadenza. Questo declino incessante nella “maniera” e nel “voluto” è il segno di un’estasi esistenziale (tutta cosciente, però) ed espressiva che sa realizzarsi fuori dei moralismi di comodo. Cristofani ricupera in purezza ciò che smarrisce in vizio e cerca disperatamente di giustificare la ribellione alle leggi convenzionali di un super-ego sociale che tenta di imporre sempre una vetrina di apparenti modelli umani per nascondere, in realtà, la gamma dei comportamenti riprovevoli di un’esistenza infame. Ma egli va oltre. In luogo di contrapporre perfezione a peccato (uso impropriamente i termini cari a certa cultura cattolicheggiante), evidenzia quasi un bisogno di crudeltà e una inquietante sete di voragini sensuali, al punto di rendere di nuovo rischiosa ogni posizione e ogni gesto compiuto dai suoi efebi bellissimi, dai suoi vecchi corrotti, dai suoi ambigui ermafroditi. Questa sua nudità, sventolata come una bandiera, non sai mai se sia desiderio di orgia o sublime olocausto da offrire per il nostro martirio prima dell’avvento di Thanatos. Sembrano storie private, quelle di Mauro, ma si presentano come “segnali” per tutti, avvertimenti per sottolineare la magìa di certi incontri umani, di certe presenze o accostamenti o sconfitte. Tutto appare bloccato per l’eterno nelle sue composizioni, fermo dentro un tempo voluto, per dire che il fatto esiste, è lì, è anche “tuo”: una Marina è dilatata come un mare, in un Alter ego s’intrecciano più le tenerezze e le menti che i corpi sospesi tra lune e arabeschi, l’amplesso delle Biches si estenua nel ricordo di un Baudelaire rivisitato con serenità, nella Canzone alla luna il gioco dei segni si fa sontuoso e solenne come un rito. E poi i gatti, felini protagonisti di molti lavori di Cristofani; gatti pavesati di rombi e quadrati come guerrieri, gatti che si aggirano sospettosi tra gomitoli e scenografie…Ma dovunque soffia il respiro di un’assorta meditazione, condotta tra l’intrico sottile di pensieri e forme, e snotantesi tecnicamente dentro luci sommesse, ora rosate ora azzurre, cromatiche continuazioni di grafie penetranti che abbisognano di ricami e merletti e musiche sottintese, in un classico convivio amoroso. Ma anziché la gioia, pare che sia la disperazione a fare da controcanto a queste scene di vita. Perfino gli uccelli variopinti, ora calmi ora audaci ora inquieti, depongono sulla pelle nuda una loro maestosa malinconia, fredda per colori e geometrie, quasi a neutralizzare la strisciante insidia della tentazione: una tentazione comunque “attesa” come una condanna a cui non poter sfuggire, descritta con maestria da questo artista “indifeso”, solo con la sua autenticità umana, nei dipinti e nella vita. Mi auguro che il senso della sua Toscana medievale e morente, lussuriosa e accesa, non vada smarrendosi, e che neppure Mauro abbandoni mai l’inquietudine della ricerca. Il dualismo tra grottesco e narrazione decorativa tende ora ad attenuarsi, anche per l’avvertita esigenza di non sovraccaricare di eccessivo simbolismo le sue ultime tavole dipinte: ma il discorso estetico è legato a questo suo evolversi concettuale e artistico. E’ chiaro che se calano le polemiche e le rabbie si attenua anche l’uso delle simbologie, col rischio di rendere preminente l’accademia e la decorazione. Ma il gioco, come sa bene Cristofani, non può esser mai fine a se stesso e la bellezza apollinea deve essere di continuo insidiata dai gorghi di un’esistenza profana: è la partecipazione diretta al dramma delle “umane cose” a rendere sanguigne le “grazie” foscoliane. Al “bello” c’è sempre un “non bello” da contrapporre, e non mi pare che quest’artista sia uomo di quiete, anche se il dipingere è per lui lietezza piena e gratificazione sublime. Un gallo deve seguitare ad essere fuoco e sensualità, un gatto riverberare dubbi e minacce e il corpo deve porsi sempre come altare o sconcezza: è la sua condanna e felicità quella di cogliere i propri fantasmi interiori ed esorcizzarli nelle forme, dissacrarli e reinventarli, come se ogni atto e ogni dipinto rappresentassero l’albeggiare di un universo diverso. Letto 2394 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||