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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

PITTURA: Dal quadro al racconto: Ritratto d’Isabella d’Este

10 Novembre 2007

di Lucetta Frisa

[Gli ultimi libri di poesie pubblicati da Lucetta Frisa sono: “L’altra”, Manni, 2001 e “Se fossimo immortali”, Joker, 2006]

Isabella si sposa domani. Da Ferrara è giunta a Mantova sopra un carro trionfale, con i colori araldici degli Este – l’oro e l’azzurro – seguita da quattordici forzieri colmi della sua dote; sono giunti dodici carri dipinti con gli abiti e i suoi gioielli, i più sfarzosi che suo padre Ercole ha voluto regalarle.  

E splendente è la croce di diamanti che ornerà il suo collo candido nel giorno delle nozze, splendente l’abito tempestato di pietre preziose che indosserà, pietre dotate di quei magnetismi che le rafforzano il carattere, ne esaltano la bellezza fisica, la illuminano di talenti e virtù, favorendole il consenso di tutti. E allora perché Isabella guarda con una certa titubanza il suo abito di nozze? Non perché non le piaccia ma perché sa che, una volta indossato, tutto cambierà, la ruota del destino girerà più in fretta e lei non sarà più la stessa. Non vuole ammettere certe impalpabili sensazioni quando la turbano, e vorrebbe scacciarle. Mentre gli abiti, i gioielli, questo grande palazzo dove abiterà per la vita, tutte le cose che cadono sotto il suo sguardo – da un bicchiere d’argento a un tappeto, da una serva a un animale, tutto quanto si può toccare   e sono o saranno sue –   le danno fiducia e sicurezza. Ma quella veste, stesa sul suo letto, lei non sa ancora in che modo guardarla, le pare assomigli a una gabbia d’oro dove gli uccelli sbattono le ali tentando di fuggire.
    Sì, Isabella non vuole dare importanza a quei turbamenti. Ha appena sedici anni. Per provare passioni occorre un istinto che lei non ha, né   lo desidera. La passione è un’esperienza inutile e atroce, che mozza il fiato, confonde il cervello. Glielo ha detto il suo vecchio educatore, ma lei lo ha sempre saputo. Ieri notte ha sognato di respirare profondamente. Respirava indossando un abito che glielo consentiva: modulava la voce, esprimeva con toni adeguati i comandi e i rimproveri, dissenso e consenso. Si sentiva respirare e si ripeteva: è bello il respiro quando non è affannoso. E il suo abito, teso sulla vita con la giusta pressione, regolava il fiato, pause e riprese.
    Ora, davanti all’abito di nozze, pensa che dovrà imparare a respirare bene, come nel sogno. Così potrà controllare i suoi umori e i suoi sentimenti, le persone e le loro idee, i fili invisibili e intricati delle relazioni – amicizie e inimicizie – questioni politiche, tattiche e strategie, intrighi di corte. Potrà controllare i ricordi, forse perfino i sogni.
    Se impara a respirare profondamente, accederà al segreto dell’armonia: dalle pause, che interrompono il rumore di fondo con le sue dissonanze, attingerà tanta forza, tanta calma da riuscire addirittura a guardare in faccia il destino, gli ostacoli, i pericoli, il dolore, la paura, senza abbassare lo sguardo.
    Lei è nata di maggio. Un mese rigoglioso, immerso nei colori, tepori e profumi, in cui la natura si adorna delle sue forme più belle e piene, in cui di notte ci si affaccia dai loggiati solo per respirare la sua aria, ebbra e tranquilla, e cominciano le danze all’aperto, le canzoni e i giochi, e si ha la certezza che la festa debba durare ininterrottamente, in un’eternità sospesa, in una perfezione raggiunta.

   

È il mese di Venere, lei lo sa. Ma Venere ha due aspetti – è duplice come tutto quanto esiste, secondo il principio dell’armonia, principio che si nasconde sotto le apparenze del contrasto. Sta a noi cercare sempre e tenacemente quel punto di congiunzione, cercare quel segreto che nasconde la carne nello spirito e lo spirito nella carne.
    Isabella sa di che cosa è capace. Se un nodo le si presenta come un labirinto indecifrabile, lei andrà dritta nel cuore del labirinto e scioglierà quel nodo.
    Venere è amorosa ma perfezionista, è armoniosa ma può essere vendicativa, è generosa ma gelosissima, può essere controllata ma anche   sfrenata: per la bellezza e l’amore di persone e cose è capace di tutto, e quello che cade sotto la sua attenzione si trasforma in desiderio e dal desiderio, in possesso e poi in accumulo.
    Pensa ai suoi anni futuri: ignora come si comporterà Francesco, il suo sposo. Se la amerà, se lei amerà lui, se la allontanerà da sé con l’indifferenza, o sarà lei ad allontanarlo, se la tradirà, sarà un vile in battaglia o un debole tra le mura domestiche. Se resterà vedova o se sarà vero il contrario. Ricorda perfettamente le sue scialbe visite da ragazzo a Ferrara, quando la guardava senza mai accendersi, lei invece ricorda quelle sue lì a Mantova, così   gioiose e chiassose, tra tanti ragazzi e bambine tra cui una, Elisabetta, le è entrata nel cuore per restarci.   C’era sempre più luce a   Mantova che a Ferrara, un’aria quasi primaverile, ma Francesco, anche in quella luce, continuava a apparirle sbiadito – un fantasma in abiti eleganti – qualcuno con cui passare al massimo qualche ora al pomeriggio, ma non i lunghi giorni di una vita.
    Alla vigilia delle nozze, Isabella vuole restare il più possibile sola con se stessa. Tra lei e il suo abito non c’è solo un corpo, ma una visione del mondo, un mondo che deve, sì, deve assolutamente essere come lei lo intende. È un compito, già in parte tracciato, da assumere su di sé. Indossare quell’abito è come indossare il proprio futuro e quello del marchesato. Ha davanti agli occhi, in ogni minimo dettaglio, la vestizione da guerriero del padre, una cerimonia silenziosa e interminabile, alla presenza degli iniziati ai segreti della guerra e che lei aveva spiato, da bambina, nascosta dietro a una tenda, col cuore che le batteva forte dal timore di essere scoperta.
    Domani la vestizione sarà sua, la cerimonia che la consacrerà marchesa e donna. Oggi si gode questa piccola ebbrezza di sentirsi sola di fronte al domani. E domani, l’uomo a cui giurerà fedeltà, chi sarà veramente? Sarà degno di chiamarsi un Gonzaga?   E lei riuscirà ad amarlo più del suo cane preferito, più delle linee sinuose e dolci del lago che la incantano, più del libro in pergamena decorato dai margini miniati di Manuzio?
    Non era ancora nata quando, del suo sposo, esisteva già l’effigie dipinta da Mantegna. Lui sembra già attenderla, nell’affresco dalle tinte luminose, mentre lei è ancora nel ventre di sua madre.   Perché questo? Che assurdità. È quello che chiamano destino? Un destino predisposto dai genitori, dai loro contratti, per sancire, nel tempo, potere e onore ai figli e al casato, ma soprattutto a loro stessi, nella memoria dei posteri. Ma quel Mantegna, in fondo, non le piace, non le è mai piaciuto. Troppo austero e malinconico, come se nascondesse qualche sottile perversione. Non ride mai e il suo senso della bellezza è molto diverso dal suo.
   Isabella vuole stare a suo agio e non rinunciare né ai suoi gusti né al suo carattere. A suo agio nell’abito di domani come in tutti quelli che indosserà da domani in poi, in tutte le cerimonie della vita.
    Per comandare, dovrà studiare, osservare, imparare ad ascoltare e stare al proprio posto con ostinazione e fierezza, nelle prove difficili. Il suo piccolo regno si ingrandirà sfavillando come una delle magnifiche rose del suo giardino.

   

Sì, desidera un giardino dove restare sola a riflettere e intrattenere le persone amiche, predilette per intelligenza ed energia. Un angolo segreto ma esposto alla luce, dove la natura dovrà esprimere il meglio di sé, proprio come a maggio, il suo mese.
Desidera anche uno studiolo, più bello di quello ferrarese di Belfiore, più bello di quelli di Federico ad Urbino e a Gubbio. E poi un luogo più interno dove raccogliere tutte le cose che le piacciono. Entrambi esposti solo alle fiamme delle lampade in cui un’essenza, una linfa immobile e profonda, alimenti tutta l’anima della casa.
    Di giovani vigorosi, vulnerabili e incapaci di regnare veramente, ce n’è piena la terra. Ma chi sa perseguire con chiarezza e determinazione il suo progetto, come un ragno che fabbrica la sua seducente ragnatela? Chi abita pienamente il suo abito, la sua dimora, la sua città, il suo stato.
    L’abito contiene, nasconde, sottolinea, rivela luci e ombre. Ma soprattutto conferisce a chi lo indossa l’immagine che desidera dare di se stesso. Oppure esprime realmente chi è. Lei è questo che vuole.
    Ama i dipinti, la musica, i libri, la poesia, l’antichità classica, il mistero dei simboli. Ama ciò che del passato è più prezioso: l’arte. E l’arte si coltiva nei tempi dello spirito, nella pace, nel benessere, nella pienezza. Il passato deve restare vivo, deve essere presente, tornare sempre qui, in mezzo a noi. E lei saprà conservarne la bellezza, collezionandola nelle sue innumerevoli forme, concentrandola intorno a sé.  Sa che domani, per la cerimonia nuziale, si ascolteranno musiche e canti deliziosi: ha scelto lei stessa il repertorio. Ma, per suo desiderio, ci sarà un momento della cerimonia in cui le voci dei cantori e degli strumenti, taceranno. E da quella pausa sgorgherà la melodia chiara e forte di una viola. Forse l’accompagnerà lei che ha una bella voce – dicono – così vibrante che sembra venire da molto lontano.
    Una melodia, una canzone, aiutano chi l’ascolta e chi la canta, a resistere, forse a tornare all’inconsapevolezza dell’infanzia, perché i giorni da trascorrere saranno molti e molte cose li verranno a turbare: ma lei sarà lì ad attenderli insieme ai suoi tesori, i suoi affetti, la sua casa, il suo popolo, le sue terre e i loro confini. Proteggersi e proteggerli. Accrescere e vegliare una bellezza solida e tranquilla.
    Domani, la cerimonia: nessuna inquietudine. Non la vedranno apparire con il passo incerto e le guance arrossate. Per quale ragione? Non ci sono fiamme che riscaldano il cuore e i sensi. Semmai, se guarderà verso l’alto, i suoi occhi potrebbero immaginare tante fiammelle affrescate sul soffitto, piccoli guizzi di un rosso opaco. Sono queste le fiamme che sogna. Opere di un artista al quale lei avrà ordinato: voglio un soffitto così e così, con piccoli fuochi che non bruciano.
    Oggi Isabella si guarda in giro: sulle pareti non ci sono ancora figure che rappresentino Isabella. I tempi dei ritratti arriveranno, e sarà lei stessa a scegliere quali esporre all’ammirazione degli estranei, quale l’immagine da fermare per sempre sulla terra quando sarà volata via.
    Guarda il suo abito d’oro e di gemme: scintilla. Non pensa a Francesco. Il suo respiro è   come di chi non pensa a nulla, di chi è capace di non pensare a nulla.
    Segue solo con gli occhi i giochi geometrici della luce, i suoi riflessi – dall’abito agli specchi e dagli specchi alle pareti, dalle pareti ai tendaggi, e dai tendaggi ai vetri della finestra e di nuovo al suo abito. Con curiosità, ne scruta attenta la complessa traiettoria.

Nota.
Questo racconto mi è stato suggerito dal dipinto Ritratto d’Isabella d’Este di Tiziano Vecellio che si trova al Kunshistorische Museum di Vienna.


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Bart