Racconto: L’amicizia di Attilio #6/830 Settembre 2008 di Bartolomeo Di Monaco L’amicizia di Attilio #6 Amare una città è anche desiderarne il cambiamento; non è mai conservazione l’amore. Qualcuno aveva di nuovo cominciato ad arringare la folla. Scuoteva con la sua forte passione la città sonnolenta. L’umiliazione non costa fatica, rifletteva Irene, ecco perché la gente non reagisce, mentre la dignità porta sempre con sé la sofferenza. Dopo quei moti, Irene aveva frugato ogni sguardo, ogni sospiro dei passanti e sperava che un marchio fosse restato in loro di quella straordinaria avventura. Ma niente, e s’immalinconiva.  Trascorsero altri anni. Per Lucca, i segni della devastazione morale, economica, politica, restavano maleodoranti sui muri, sui selciati; perfino sulle antiche e possenti Mura si respirava l’aria infetta di una società che aveva saputo solo distruggersi. La gente non aveva più negli occhi la speranza. Irene continuava invece, insieme con un piccolo gruppo di amici, a sperare. Corrado non le aveva più scritto. Che cosa aveva scoperto nel suo girovagare? In quali luoghi si era potuto sentire felice?  Nel corso del suo lavoro di cronista, Irene si accorgeva che la qualità dell’uomo andava peggiorando. Si erano perse le sensibilità del bene, e le primarie necessità quotidiane avevano spinto l’uomo a considerare il prossimo come un nemico che poteva sottrargli la propria occasione di sopravvivenza. Si era considerati sciocchi, se si aveva della carità e della compassione o addirittura dell’amore verso gli altri. Irene avvertiva l’urto violento della propria anima contro questa nuova realtà . Cercava di ribellarsi pensando ai giorni migliori. Sarebbero tornati. Non la si può distruggere la dignità , pensava, e anche se viene calpestata, tramortita, dilaniata, essa non muore mai, è pronta a risorgere, facendoci vergognare del nostro passato.  Una notte Irene girava per la città . Non riusciva a prendere sonno. Lucca le sembrava ritornata tale e quale l’aveva goduta nella sua fanciullezza. Entrò nei vicoli stretti e bui e nelle piccole corti dai nomi curiosi: “della neve”, “delle uova”, “del pesce”, nomi che l’avevano divertita in quegli anni in cui non è difficile essere felici. Le sembrava di poterla possedere la città , se vi andava predisposta all’amore. Quella sera era contenta, e l’inquietudine che non la lasciava dormire, le pareva che non fosse casuale; e chissà che non stesse in sua compagnia per non lasciarle perdere quelle ore tutte speciali della sua vita. Ogni tanto, presa da irresistibile gioia, muoveva qualche passo di danza, e accennava sottovoce a una canzone. Riusciva a sentirsi parte importante di quella notte, e nessuno avrebbe potuto sottrarle quella sensazione piacevole, che la poneva come una stella al centro della sua città . Letto 2239 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||