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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Racconto: L’amicizia di Attilio #8/8

2 Ottobre 2008

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

L’amicizia di Attilio #8

Può offrirla solo la morte la libertà che cerca l’uomo? Irene aveva cominciato da qualche tempo a porsi questa domanda; avvertiva che tutta quella rabbia che la conduceva a desiderare ancora di più la libertà, non serviva però a fargliela raggiungere. C’erano dei pomeriggi che, anziché uscire per il suo lavoro, se ne andava a letto e ci restava come imbambolata, e la invadeva un torpore che rassomigliava alla morte. Ma la morte che cos’è mai? Nelle sue passeggiate fuori città spesso saliva sulla collina da cui si vede la grande Certosa. Giunta al punto che la scorgeva, vi sostava. Sapeva che quei monaci stanno tutta la vita in preghiera e consumano il tempo in attesa della morte, e quel giorno, quando uno di loro si ricongiunge al Padre, fanno festa e pranzano insieme, e cantano il “Magnificat”. E cos’è allora la vita per questi uomini che rifiutano il contatto con gli altri, e attendono solo di morire? Non poteva essere solo un transito la vita, se lei, Irene, avvertiva nel corpo il vibrare di una moltitudine di sensibilità, e c’erano momenti in cui addirittura percepiva di poter osare tutto, e l’intero creato stava ai suoi piedi, e nella combinazione dei suoi sentimenti col pensiero, sentiva di non essere da meno di Dio. Vivere, perciò, non era un atto di coraggio né una sfida contro qualcuno o qualcosa, né rassegnazione ad una condanna, ma semplicemente la più meravigliosa manifestazione di una crescita senza fine.
  Quando qualcuno bussava all’uscio, Irene era arrivata al punto di non saper discernere se apriva la porta della casa o quella della sua mente.
  Dai giorni della partenza di Corrado, quasi avesse voluto prendersi una rivincita, non era stata più in chiesa. Passava dal bel San Martino e non sentiva alcun tuffo al cuore. Pareva che la cattiveria di quegli uomini che l’avevano aggredita   fosse penetrata in lei come un virus, e si moltiplicasse devastandola. Non sopportava niente della sua religione, nemmeno la croce sofferta da Cristo le ispirava pietà. Lucca ha nella cattedrale un crocifisso meraviglioso, e il Volto Santo è il re dei lucchesi. Guai a dirne male. Viene da lontano, e si dice opera di Nicodemo, e il volto fu scolpito da un angelo. Ha attraversato il mare su di una nave senza nocchiero per giungere alla città. Da tempo immemorabile sono venuti re, papi e pellegrini ad adorarlo, ma Irene era precipitata a tal punto nell’odio che non c’era più niente che potesse ispirarle l’amore.
  Si era vicino alla Pasqua; davanti alla cattedrale si vedeva gente che entrava in chiesa. Andava per la confessione. Irene si appostava dietro il muro di palazzo Micheletti ed osservava quel pellegrinare.  

  Tutte le volte che si pensa al nostro incontro con la morte, si rabbrividisce. Eppure nella maggior parte dei casi si tratta solo di un pensiero rapidissimo; ma in quell’attimo una frustata attraversa la mente. Si crede che la morte non sia mai per noi, quando ne sentiamo parlare. La immaginiamo lontana. Invece è già dentro la nostra carne a mietere.
  Non può essere che sia anche dentro la società?
  Irene cominciava a crederci. In quei giorni, sostava alla finestra, e guardava giù nella strada. Non passava molta gente, anche se la Pasqua era prossima. Certi ragazzini camminavano mogi mogi con gli occhi a terra, senza mai sollevarli; quando passavano in gruppo, nessuna risata li accompagnava, ma solo silenzio. Non c’era futuro per loro in questa società che stava spandendo dappertutto il suo olezzo di morte. Irene avrebbe voluto ritrovare nei loro occhi i profumi della sua infanzia, che pareva ormai così lontana.  

  Un pomeriggio, Irene si era appisolata. Sognava. Andava con Corrado per una strada bianca, non sentiva fatica ed anzi ogni passo che faceva le procurava gioia. Corrado non la finiva mai di parlare e le raccontava ogni cosa che lei non sapeva, e Irene avrebbe voluto fermarlo, e confidargli che non le interessava niente di ciò che diceva, ma Corrado parlava e parlava, e si vedeva che era felice. Non ricordava bene come lo avesse incontrato. Mentre si trovava su quella strada, lui aveva fatto capolino e, ridendo, era piombato alle sue spalle. Era contento d’averla ritrovata. E poi erano giunti davanti ad un giardino, con erbe e fiori dai colori mai visti. Un vecchio senza tempo stava all’ingresso e con la testa aveva fatto un cenno di diniego. No, Irene proprio non l’avrebbe lasciata passare. E lei non riusciva a farsene una ragione. Lo guardava negli occhi e scopriva a poco a poco che quell’uomo non aveva nessuna pietà. Che cosa si aspettava da lei? E perché Corrado non faceva niente per aiutarla? Che cosa doveva ancora avvenire?
  Quando si svegliò, Irene stava male. Vedeva ombre intorno a sé. Parevano i suoi amici Corrado e Attilio, ma erano davvero loro? Non sentiva parole, non udiva movimenti. Non sapeva nemmeno se era ancora in grado di parlare. La mente si era spalancata, ed aveva riversato all’esterno gli intimi segreti tenuti nascosti. Si muovevano per la stanza e assumevano forme straordinarie. Non vedeva che quelle, e sentiva che si era squarciata anche la sua anima, e non le importava sapere se quella poteva essere davvero la sua morte. Non aveva bisogno di nessuno, perché non aveva tempo da perdere con gli uomini. Ora si presentava la grande occasione di leggere tutto ciò che era stato dentro di lei, e doveva fare in fretta. Solo a questa condizione sarebbe stata accettata altrove. Forse era questo, ciò che era accaduto anche a Corrado e a Attilio? Oh, avesse potuto anche parlare, e avesse avuto più tempo, quante verità avrebbe rivelato a chi stava forse intorno a lei. Ci provò anche; tentò l’impresa disperata, e le sembrava di riuscire a muovere le labbra. Ma non c’era nessuno nella stanza, e anche se qualcuno ci fosse stato, Irene non le muoveva nemmeno quelle labbra. C’era la sua anima davanti a lei, questo sì: Irene uscita da Irene, e la lasciava sola.  

(fine)


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Bart