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BARTOLOMEO
DI MONACO Il tempo è
simile ad una superficie eternamente ruotante; su di essa vivono
tumultuosamente, quasi sempre allo stato incompiuto, milioni di azioni o
storie, cioè la realtà. La nostra esistenza è così un passaggio continuo da un’azione
all’altra; si tocca per un rapido momento ciò che è contenuto in ciascuna
storia e nessuno conosce mai se stesso. LA RAGAZZA E IL CAVALIERE I Gli invitati, lasciate le carrozze nel
cortile del castello,
salirono la grande scalinata a chiocciola. Incontrarono la bellissima marchesa: «Penso che desideriate vedere mio marito»
disse. «Dacché è tornato» rispose uno «non ci è
riuscito di vederlo. Riferitegli che tutti i suoi amici sono qua.» Quando la marchesa entrò nella camera del
marito, lo trovò intento a dipingere una ragazza molto bella, che stava in
piedi davanti a lui, sopra l'enorme letto. Si avvicinò al quadro e fu grande il suo
stupore quando vide disegnata, anziché la giovane, una nera carrozza tirata
da un corsiero bianco e focoso. La scortava un cavaliere e sullo sfondo
appariva una foresta non ancora compiuta. Un omuncolo era dipinto nell'atto di salire
sulla carrozza. «Ma tutto ciò è assurdo!» esclamò. E aggiunse: «Sono arrivati i tuoi amici. Sarai contento
di rivederli, e la gioia maggiore l'avrai nel constatare che da ogni parte
del mondo sono accorsi per te. Desiderano tanto rivederti.» Il marchese non rispose. Prese invece la moglie sottobraccio e
insieme si incamminarono per il lungo viale che conduceva al vicino
convento. Ai lati si estendeva la foresta. Entrarono nella piccola cappella, e
guardarono le molte bare disposte nella navata. «È tutto ciò che abbiamo potuto fare» disse
uno dei novizi, andandogli incontro. «Quando li abbiamo raccolti nella
campagna erano già morti.» Il marchese si avvicinò. «Non so riconoscerli» disse. Si accostò allora un vecchio monaco: «Eppure avete già visto questi uomini.» «Sono stato lontano, molto lontano» rispose
il marchese. «Tutto è ancora così confuso dentro di me.» «Solo che lo vogliate, possiamo ricordarvi
ogni istante della vostra singolare esperienza.» Si udì il concitato galoppo di molti cavalli
e si capì che dei soldati stavano passando. Rispose il marchese: «Alla mia morte, lascerò molti avvenimenti
incompiuti. Resteranno tali per l'eternità.»
«Nulla ha bisogno del vostro intervento; gli
avvenimenti non richiedono né il principio né la fine, ma la pura
esistenza.» Tutta scarmigliata, una ragazza entrò nella
cappella e avvicinatasi al marchese disse: «Mi faceste salire sul vostro
cavallo ed anche mi avete toccata, e mi sono fusa come un metallo alla vostra
ombra. Era una notte lontana quando saliste con me sulla montagna.» «È curioso» rispose il marchese «come sia
vissuto sfiorando le cose. Eppure esse si sono nutrite interamente di
me.» Rivolgendosi alla donna aggiunse: «Ricordo
d'avervi incontrata più d'una volta ed anche ansiosamente cercata. Spero ora
che abbiate pietà di me.» II Gridò all'improvviso uno degli
invitati: «Un cavaliere sta attraversando la foresta!» «Inseguiamolo!» urlarono i compagni, e di
corsa si precipitarono dentro la foresta, che sembrava sferzata da un gran
vento. Il cavaliere passò vicino ad essi e udì i
loro lamenti, e vide le braccia agitarsi contro di lui e allungarsi per
afferrarlo. I giovani novizi scorsero anch'essi dalla
piccola cappella l'ombra del cavaliere; subito si inginocchiarono davanti
all'altare e rimasero a pregare, finché non scese la sera. Disse uno di loro: «Nella realtà si trovano allo stato
incompiuto molte storie. Chi le incontra è costretto a viverle e soltanto
pochi portano dentro di sé la loro conclusione. Durante i secoli pochissime
si sono compiute.» Giunta mezzanotte, cominciò a tuonare e a
piovere e i giovani novizi si
strinsero di nuovo intorno all'altare.
«Questa è una minuscola cappella,» sussurrò
uno di loro «eppure è affascinante la nostra vita e anche ora, che sappiamo
che tutto fuori è spazzato via dal temporale e anche gli animali tremano, ci
sentiamo voluttuosamente attirati da queste vecchie mura. Tutto è carico di
secoli e di storia, e sempre in qualche punto del giorno ritornano.» Allora un novizio si allontanò dagli altri e
si nascose in un angolo buio, e da lì levò la sua bella voce. Un altro si
diresse invece in un punto più lontano e oscuro, e così fecero tutti,
dividendosi. Le piccole candele illuminavano appena il crocifisso e le voci
dei preti si sentivano venire da lontano e sull'altare congiungersi in un
canto prodigioso. Improvvisamente una ragazza, tutta fradicia
di pioggia, entrò nella cappella. Si gettò in ginocchio sul pavimento. «Non c'è istante della mia vita in cui non
mi senta infelice» gridò. Uno dei novizi l'aiutò a sollevarsi. «Quando sapemmo della tua partenza, la
montagna fu piena di pianto e di smarrimento. Ogni notte un gran fuoco era
tenuto acceso per te nella speranza che tornassi.» Concluse infine: «Tutto è stato conservato della tua vita. Un
giorno ti racconteremo ogni cosa, poiché non puoi apprezzare il valore della
tua esistenza se non ascoltando interamente quello che sei. La tua
straordinaria avventura è la prima di una serie infinita.» III Una bellissima ragazza cavalcò nella
campagna e ai contadini sembrò di vedere un nugolo di cavalieri correrle
dietro. Comparve anche una piccola cappella, e
mentre la giovane spronava alacremente il cavallo, i cavalieri si arrestarono
e si inginocchiarono. Il vecchio monaco li benedisse: «I miei fratelli ed io stiamo pregando anche
per voi. È la nostra ultima orazione del giorno. Poi saliremo al
convento.» Un contadino si mosse dal gruppo per
avvicinarsi ai cavalieri, e quando si trovò in mezzo a loro, si meravigliò
che nessuno lo vedesse e continuassero a parlare. Anche i suoi compagni accorsero e si misero
a scherzare, a ridere, a ballare, ora inginocchiandosi davanti a uno dei
cavalieri, ora baciando le mani del monaco; e fu uno straordinario
sovrapporsi di immagini. Nella pianura che si perdeva oltre
l'orizzonte comparve la lunga fila di soldati. Avanzava lentamente e in testa
ad essa incedeva un gigantesco alfiere con le insegne imperiali. I
frati, nascosti dietro le piccole finestre, stavano ad osservare in
silenzio la lenta marcia. Alcuni pellegrini attardati lungo il pendio
si affrettavano alla volta del convento.
Dai cespugli, dalla foresta, dal fiume,
tutti accorrevano ad ammirare l'interminabile corteo. Le trombe squillavano nella pianura e il
suono giungeva fino al convento e al castello. Nella foresta, intanto, continuava il lungo
violento inseguimento. La ragazza, cavalcando con spavalderia il bianco
puledro, lo spronava alla corsa. Di quando in quando si voltava verso i cavalieri,
denigrandoli. Essi la inseguivano in gran disordine:
ammassandosi, scontrandosi, e con urla, imprecazioni di ogni specie,
maledicevano la propria lentezza.
Cadaveri con il volto coperto di sangue
giacevano abbandonati nella strada; i campi, a causa della siccità e della guerra, restavano
incolti; vi abbondavano sterpi e paglia.
Un contadino, tornando a casa, sentì ad un
tratto una goccia d'acqua sfiorargli il viso. Alzò gli occhi al cielo e vide
i sottili numerosi fili della pioggia.
Presto cadde copiosa sulla valle e tutti,
usciti fuori dalle case, si precipitarono nelle strade e nei viottoli come
impazziti, cantando, ballando, chiamandosi con alte grida. Apparvero su magri cavalli alcuni nobili,
armati di lancia, di elmo e di scudo, sul quale erano effigiate rudimentali
insegne. I contadini si fecero da parte, spostandosi
ai margini della strada fangosa, e li lasciarono passare. Quando furono scomparsi in direzione del
castello, tornarono a riempire la piazza di danze e di canti. IV Spuntò un'alba chiara, l'aria era mossa da
un vento pungente. Nella campagna, le tende circolari si
gonfiavano, raggruppate a tre o a cinque. Il cavaliere le raggiunse e superò al gran
galoppo. Molti allora uscirono prontamente e
qualcuno, più veloce degli altri, cercò di saltare in groppa al suo cavallo,
ma nessuno vi riuscì. Già da molto tempo galoppava. Apparvero, sparsi nella campagna, i numerosi
cadaveri, e fu il cavallo a scorgere per primo la ragazza. Stava in piedi,
bella e ammaliatrice, tra quei morti. Il cavallo si arrestò, levò le zampe in
aria, scuotendo il cavaliere. Sceso a terra, l'uomo le andò incontro,
l'aiutò a salire sul suo cavallo; infine, dato uno sguardo ai molti morti,
spronò l'animale già inquieto. La ragazza e il cavaliere cavalcavano lungo
la riva del fiume, allorché una nera carrozza, tirata da un bianco corsiero,
venne loro incontro; ne scese un omuncolo, che fece un frettoloso segno di
omaggio al cavaliere. Questi aiutò la donna a salire sulla
carrozza; quindi le si affiancò col suo cavallo. «Che ne sarà di me?» domandò la
ragazza. Il
cielo notturno fu attraversato da un lampo e apparve in cima alla montagna il
castello: maestoso e sinistro. Quando la ragazza si voltò verso il
cavaliere, in quello stesso istante un'ombra entrava dentro di lei e
s'impadroniva della sua anima. |
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