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STORIA: I MAESTRI: La crisi del delitto Matteotti31 Dicembre 2010
di Domenico Bartoli Tra le pagine torbide del la nostra storia, il delitto Matteotti è forse l’episodio più noto. La sua importanza fu decisiva: dopo questo fat to gravissimo che coinvolgeva le sue responsabilità persona li, almeno indirette, e che mi nacciava il suo potere, Mus solini fu spinto ad uscire del tutto dalla costituzione ed a passare all’aperta dittatura. Lo studioso Giuseppe Rossini offre oggi un nuovo e pre zioso contributo alla storia della vicenda. Il libro si in titola: «II delitto Matteotti tra il Viminale e l’Aventino » (II Mulino, Bologna 1966), e pubblica molte carte inedite oppure poco note e adesso quasi introvabili. Il volume, che supera le mille pagine, raccoglie fra le altre cose le lettere inedite di Giuseppe Donati, un giornalista cattoli co, direttore di Il Popolo, che aveva denunciato all’alta cor te di giustizia il senatore e generale Emilio De Bono, di rettore generale della pubbli ca sicurezza, e gli atti del pro cedimento condotto contro questo grande personaggio del fascismo dalla commissione istruttoria dell’alta corte, os sia del senato del regno, che era chiamato a giudicare i propri membri. E’ certo che De Bono non ebbe una parte precisa nell’ag gressione contro Matteotti. Il fatto lo sorprese come quasi tutti gli altri. Ma Donati, che era all’avanguardia nella po lemica contro il regime (tan to da trovarsi spesso in di saccordo con altri antifasci sti), scelse De Bono per la sua denuncia allo scopo di ar rivare, attraverso di lui, a Mussolini. E’ vero che anche la responsabilità di Mussoli ni non è chiara. Egli ignora va, probabilmente, che Du-mini e gli altri intendessero rapire il deputato socialista. L’ordine fu dato, pare, da Marinelli, segretario amministra tivo del partito fascista, spin to da certe frasi violente che il duce avrebbe detto, dopo il severo e intransigente discor so d’opposizione pronunciato da Matteotti alla camera. Ma se l’esistenza di un mandato di Mussolini per il rapimen to del suo avversario non è dimostrata, e anzi sembra as sai improbabile, è a lui che bisogna far risalire una re sponsabilità d’ordine gene rale per avere in parte inco raggiato o prescritto, in par te tollerato, il metodo delle violenze, delle bastonature delle « lezioni », come veni vano chiamate. Egli stesso nel famoso di scorso del 3 gennaio 1925 as sunse su di sé questa respon sabilità, sia pure sul piano storico e politico. Il capo del governo non ignorava certa mente l’attività criminosa del la squadra di Dumini, il fi nanziamento e le istruzioni che essa riceveva, l’ospitalità che trovava negli ambienti fa scisti e negli uffici stessi de) Viminale. La denuncia di Do nati contro De Bono aveva dunque lo scopo di arrivare attraverso il pubblico dibat tito dell’alta corte di giusti zia fino alla persona di Mus solini. Lo scopo non fu raggiunto La sentenza della commissio ne istruttoria, che portava la data del 12 giugno 1925, ar rivò quando la battaglia delle opposizioni era perduta da sei mesi. De Bono fu assolto. Ma la commissione, che era presieduta da un senatore di assoluta indipendenza, il ge nerale Zupelli, su quattro ca pi di imputazione assolse per insufficienza di prove. Non si trattava di accuse che coin volgessero una responsabilità diretta nell’assassinio di Mat teotti, ma delle imputazioni di favoreggiamento in questo delitto, di partecipazione alle aggressioni contro Amendola e il fascista dissi dente Misuri, di rilascio di passaporto con nome e data falsi. Il testo della sentenza fece grandissima impressione per le critiche aperte o allusi ve che conteneva. Ma non c’e ra, oramai, nulla da fare. Do nati stesso, proprio in quei giorni, aveva lasciato l’Italia per corrispondere alle solleci tazioni dei suoi compagni del partito popolare, preoccupati dalla violenza delle sue campagne. Visse gli ultimi suoi anni in esilio. Uomo inquieto e combattivo, spirito polemi co e coraggioso, finì per tro varsi in minoranza anche nel l’ambito della emigrazione po litica italiana. L’interesse principale di questo nuovo libro è dato dal la ricchissima documentazio ne, sebbene sia indispensabile leggerla con l’aiuto dell’in troduzione e delle note. Le te stimonianze davanti alla com missione istruttoria, i tre me moriali di Cesare Rossi, il col laboratore di Mussolini diven tato accanito avversario do po il suo arresto per sospetta complicità nel delitto Mat teotti, il memoriale del gior nalista Filippelli, insieme a tutto quanto si può sapere del misterioso memoriale di Al do Finzi, sottosegretario al l’Interno, forzatamente dimis sionario: questo materiale for ma un complesso di documen ti indispensabile per chiunque si interessi a quel convulso periodo della storia italiana. L’accertamento delle re sponsabilità per l’atroce as sassinio rimane, più o meno, al punto di prima. Resta una larga zona d’ombra. Ma l’am biente politico del tempo e il suo sottofondo di violenza so no descritti con grandissima efficacia dalla voce stessa dei protagonisti e delle comparse. La grave crisi che il regime fascista, non ancora consoli dato, attraversava, spingeva a parlare molti che, altrimenti, avrebbero taciuto. Fu il caso di Cesare Rossi e fino a un certo punto di Aldo Finzi che, sentendosi minacciato, fece sapere all’opposizione di avere scritto e depositato in luogo alcune rivelazioni di grande importanza, e ritrattò poi quanto aveva detto in un momento di panico. Le figure dei minori ven gono fuori con giusto rilievo dalla descrizione che Rossini, giustamente lascia fare ai do cumenti da lui ritrovati negli archivi del Senato e in quelli dello Stato. Si veda, per esem pio, la narrazione, di un par tecipante diretto all’aggressio ne contro un fascista dissiden te di Ferrara in « una casa di via Columbia diretta da certa signora Antonietta ». Uomini che dalla guerra, nella quale avevano valorosamente com battuto, e dal dopoguerra era no stati abituati alla violenza fecero allora le ultime prove. I loro capi diretti, che aveva no in Farinacci o in Balbo più che in Mussolini il pro prio condottiero, credettero, a un certo punto, di potersi im porre al duce. L’ultimo gior no del 1924 un gruppo di con soli, guidati da Galbiati e Tarabella, si presentò a Musso lini senza farsi annunciare minacciando una specie di ammutinamento se il governo non si fosse difeso con ener gia di fronte all’opposizione. Fu anche per questo che Mus solini pronunciò il discorso del 3 gennaio. Ma l’anarchia degli squadristi doveva uscire scon fitta dalla trasformazione del regime. I capi delle squadre e i loro uomini, tranne i dissi denti come Misuri, Forni ed altri che furono duramente puniti, ebbero posti e stipendi a patto di rinunciare a qua lunque influenza politica. Per fino Balbo e Farinacci, passa to il periodo del pericolo, con tarono sempre meno, e alla fine niente. Dalla crisi del delitto Mat teotti uscì un solo vincitore, e fu Mussolini. Non solo i suoi avversari diretti, da Amen dola, il coraggiosissimo capo dell’Aventino, agli oppositori rimasti in aula, furono bat tuti. Non solo i compagni di lotta del duce diventarono suoi semplici subordinati. Il re medesimo si trovò quasi impotente. La differenza fra il sovrano e tutti gli altri era che lui soltanto avrebbe po tuto cambiare il corso delle cose col suo intervento. Amen dola lo aveva capito. Ma ave va commesso l’errore di con durre la sua azione politica dall’Aventino, cioè da una po sizione che, per quanto nobile dal punto di vista morale, al larmava il re trattandosi di una secessione parlamentare, cioè di un gesto rivoluziona rio. E’ questa, credo, la vera conclusione di tutta la storia. Letto 4523 volte.
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