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Berlusconi, il Pdl vuole rinviare la decadenza

15 Agosto 2013

di Ugo Magri
(da “La Stampa”, 15 agosto 2013)

L’unica certezza su Berlusconi è che cambia opinione (e strategia) numerose volte al giorno, spesso in ragione dei propri interlocutori.
Falchissimo con i falchi, realista con le colombe. Per effetto di questi continui sbalzi di giudizio, i più accorti dei suoi hanno pensato bene di cucirsi la bocca, onde evitare di suscitarne le ire. Alfano, per esempio, è l’unico esponente di primo piano la cui voce non si è ancora udita. E la stessa Santanché si è chiusa in un silenzio stampa da cui traspare, sebbene inespresso, un profondo disagio rispetto alla piega presa dagli eventi. Nel mezzo di tanta incertezza si trovano gli avvocati del Cavaliere, i quali vorrebbero regolarsi sulle intenzioni del loro cliente: vorrà chiedere o no la grazia a Napolitano?

L’altra sera, non risultavano dubbi in proposito, tanto che Longo e lo stesso Coppi ne avevano fatto cenno in alcune pubbliche interviste. Però poi, con il trascorrere delle ore, anche quello che sembrava un punto fermo, quasi una spada nella roccia, si è andato sfaldando: sì, forse, chissà, boh, vedremo… Le ultime da Arcore riferiscono che in questo momento Berlusconi sta meditando con grande interiore tormento se non gli convenga rinunciare all’atto di clemenza e chiedere direttamente l’affido ai servizi sociali; oppure, addirittura, non sia meglio lasciarsi chiudere per nove mesi agli arresti domiciliari, in modo da presentarsi quale vittima del sistema, una provocazione vivente, una sfida all’establishment… «Sono scelte che spettano a lui, e a nessun altro », allargano le braccia nello staff legale berlusconiano, che resterà operativo perfino il giorno di Ferragosto (niente vacanze per Ghedini, rimasto a Padova).

A scatenare ubbie e ripensamenti è stata, secondo certe ricostruzioni, una lettura più attenta della nota quirinalizia, Berlusconi vi ha trovato molto meno di quanto Gianni Letta gli aveva fatto pregustare alla vigilia (lo stesso zio del premier pare ne sia contrito e deluso). Chiedere la grazia comporterebbe un’ammissione di colpa e, soprattutto, l’impegno a tenere in piedi il governo: su questo Napolitano è stato chiarissimo. Ma i vantaggi sul piano giudiziario, nonché in termini di «agibilità politica », risultano a Silvio assai meno chiari, avvolti da una nube d’incertezza. Dunque hanno facile gioco quanti, specie tra le «amazzoni », lo mettono in guardia rispetto alle «trappole quirinalizie »: «Attento, Silvio, che Napolitano vuole soltanto accompagnarti alla porta, altro che lanciarti un salvagente… » (invano qualcuno dalla memoria lunga gli ha ricordato che Scalfaro si comportò molto peggio con Craxi, il quale ebbe solo il tempo di prendere un aereo e darsela a gambe).

Oltre al sospetto sulle intenzioni del Colle, divora il Cavaliere l’ansia per quanto potrà accadere a settembre, quando verrà al pettine il nodo della sua decadenza da senatore. «Ma vi pare che noi possiamo restare al governo con chi voterà per cacciarmi dal Parlamento? », ha girato la domanda a tutti i fedelissimi, spesso con voce alterata. Questo sembra, al momento, lo scoglio politico più serio. Di dare le dimissioni sua sponte, onde evitare una crisi, Berlusconi non ci pensa nemmeno. Ancora si illude che per effetto di un braccio di ferro possa essere il Pd a cedere, rinunciando a cacciarlo. Nelle ultime ore, con Roma soffocata dalla calura, si fa strada un’ipotesi che il ministro Quagliariello e il relatore nella Giunta delle elezioni, senatore Augello, stanno approfondendo: un rinvio di qualche settimana del voto sul Cavaliere, nella speranza che maturino fatti o circostanze capaci di scongiurare l’ineluttabile. Ma che il Pd sia disponibile, è tutto da dimostrare.


Il Pdl e il nodo della grazia: vogliamo avere solo giustizia
di Francesco Cramer
(da “il Giornale”, 15 agosto 2013)

Grazia sì o grazia no? De ­ciderà Berlusconi in persona la prossima mossa. Mariastella Gelmini sintetizza così: «Le scel ­te personali e politiche del no ­stro leader spettano a lui e sol ­tanto a lui. Qualsiasi decisione prenda, il Pdl sarà unito e com ­patto ».
Tuttavia nel pomeriggio di ieri c’è una sorta di giallo.Pie ­ro Longo, avvocato del pre ­mier, ammette: «La grazia verrà prima o poi formalmente richie ­sta »; ma poi smentisce: «Non ho detto questo. Ho detto inve ­ce che il primo a sapere che la domanda di grazia sarà avanza ­ta sarà il capo dello Stato. Per ri ­spetto istituzionale. Il collegio di difesa sta vagliando tutte le opzioni di carattere giuridico e istituzionale. E la grazia rientra certamente tra le opzioni che stiamo esaminando ». E l’altro avvocato, Franco Coppi, am ­mette: «Allo stato ci sono buone probabilità, ma ancora non è stato deciso niente ». Se da una parte c’è chi pensa che Napolita ­no «non poteva far di più »; dal ­l’altra c’è chi si lamenta: troppo poco, Berlusconi non ceda.

A freddo,il Pdl s’interroga sul ­la nota quirinalizia. In chiaro tutti tacciono o quasi perché l’ordine da Arcore è di non dar fuoco alle polveri. Ma, off the re ­cord , in molti temono il «trappo ­lone ». Napolitano chiede tanto a Berlusconi ma garantisce po ­co. Soprattutto non fa alcun cen ­no al problema «incandidabili ­tà », su cui la giunta del Senato si dovrà esprimere a settembre. Il nodo è lì.Sull’ormai famosa agi ­bilità politica che per il Pdl è un’esigenza di giustizia. Allora che farà il Colle? Il timore è che «se ne lavi le mani » dicendo che non può certo intervenire su una questione che compete al Parlamento e non al Quirinale. Berlusconi verrebbe buttato fuori dal Senato punto e basta. A prescindere dalla grazia. Cer ­to, potrebbe fare il «padre nobi ­le » del centrodestra; una sorta di Grillo forzitaliota, in balìa del ­le procure, pronte a premere il grilletto sugli altri procedimen ­ti aperti.

Il Pdl mette quindi sulla bilan ­cia la richieste e le guarentigie quirinalizie. Le richieste: il ca ­po dello Stato impone al Cava ­liere di iniziare a espiare la pe ­na; di smentire se stesso accet ­tando la sentenza e implicita ­mente ammettere la sua colpe ­volezza; di togliere dal mazzo la carta «crisi di governo »; avverte che se crisi sarà, mai e poi mai scioglierà le Camere; lavora af ­finché il governo Letta arrivi fi ­no alla presidenza italiana del Consiglio europeo, che inizia il 1Ëš luglio 2014. Veniamo alle ga ­ranzie. Napolitano dice solo che «valuterà » la grazia. Meglio se richiesta, chinando il capo e facendo mea culpa . Un pidielli ­no sintetizza: «Il messaggio di Napolitano è “Stai tranquillo, inizia a espiare la pena che tan ­to in carcere non ci finisci; am ­metti che sei un delinquente, non rompere le scatole a Letta jr., ritirati dalla vita politica e ve ­drò di farti fare pochi servizi so ­ciali”. Sai che concessione… ».

Chi non si nasconde è Mauri ­zio Bianconi, tesoriere del Pdl, che su Facebook scrive: «Napoli ­tano, con il richiamo a Forlani una via l’ha indicata: ammissio ­ne ai servizi socia ­li riabilitativi. In ­somma da vero comunista consi ­glia i ­ campi di ria ­bilitazione. E noi? Contenti co ­me Pasque ». E an ­cora: «Napolita ­no, attribuendo alla magistratura non l’applicazio ­ne delle leggi ma il controllo di le ­galità del sistema si piega ai prin ­cìpi della magi ­stratura militan ­te e sovversiva, una verità. Lo ve ­di che, gratta grat ­ta, il comunista, anzi lo stalinista, viene fuori? E i no ­stri? Son conten ­ti. Bah… ».
Michaela Bian ­cofiore invece ri ­lancia sul ricorso alla Corte di giu ­stizia Ue: «Nella dichiarazione del Colle non c’è affatto scritto che Berlusconi deb ­ba fare un passo indietro su quelli che sono i suoi di ­ritti. Se Berlusco ­ni ritiene – come ritengono dieci milioni di italia ­ni – che la sentenza sia politica, ha tutto il diritto di fare ricorso in Europa ». E sulla minaccia del Colle di non sciogliere le Came ­re fa spallucce: «Ovvio che cer ­cherebbe di trovare un’altra maggioranza. Ma se non ci fos ­se, come hanno detto Grillo e Casaleggio? Non potrebbe far altro che indire le elezioni ».


Napolitano omaggia Silvio
di Lucia Annunziata
(da “L’Uffinghton Post”, 15 agosto 2013)

In nome della stabilità del governo, ancora una volta il Paese, questa volta attraverso la sua massima istituzione, il Quirinale, risponde alla anomalia portata in politica due decenni fa dal conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, con una ennesima anomalia – accordando allo stesso Silvio Berlusconi, condannato per frode, una benevolente attenzione.

Ricapitoliamo, giusto per essere certi di essere chiari in merito a una vicenda destinata a pesare sul futuro delle nostre istituzioni.

Il capo del Pdl e più volte Premier, politico dunque di primissimo piano, condannato dalla Cassazione risponde a questa condanna con una gazzarra di piazza di giorni e giorni, premendo sul Presidente della Repubblica per essere “salvato” dalla sentenza, in nome della rilevanza del suo status di leader. Pretesa che dovrebbe essere seccamente respinta in quanto prova in sé della distorsione introdotta in politica da questo stesso leader – prova cioè dell’idea che esistono uomini al di sopra della giustizia, nonché delle comuni regole.

La pretesa tuttavia non solo non è respinta ma è premiata: in pieno agosto, periodo in cui la attività politica nel nostro paese è morta, il Presidente della Repubblica in persona risponde. Vedremo cosa dice la risposta fra un attimo. Ma un punto di vittoria per Silvio Berlusconi è già in questo atto del Quirinale: quale cittadino infatti avrebbe avuto prova di attenzione così veloce e così diretta da un Presidente se non perché considerato un caso “speciale”?

Quanto speciale sia questo caso, Napolitano lo sottolinea in molti passaggi della sua nota, addirittura spingendosi a esprimere comprensione per lo stato d’animo che agita il Pdl di fronte alla condanna: “In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è comprensibile che emergano – soprattutto nell’area del Pdl – turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza.”

Ma una condanna non è il riconoscimento di una colpa, verrebbe da dire? Perché allora è “comprensibile” il turbamento? Perché, viceversa, non chiedere ai membri di quel partito di riconoscere, in accordo con la Cassazione, la colpevolezza del proprio leader? La “comprensione” del turbamento non è forse, dunque, un modo per introdurre il dubbio sulla giustezza della condanna? Le domande suscitate dal testo di Napolitano sono molte. E non sono casuali.

La prima cosa da dire sulle parole del Quirinale è infatti proprio questa: il fatto che il Presidente si sia sentito in obbligo di intervenire (a prescindere dalle motivazioni) è in sé uno straordinario riconoscimento del ruolo politico che Silvio ha in questo paese. Il maggior probabilmente finora avuto dal Cavaliere.

C’è poi il merito della nota. Come tutte queste scritture, è stilata in modo da poter essere tirata da una parte e dall’altra, da poter essere letta in molti modi, da poter insomma accontentare quasi tutti.

La frase più importante all’inizio è un granitico “qualsiasi sentenza è definitiva”. Affermazione che onora la magistratura , accontenta gli oppositori di Silvio, ed è però scontata: poteva il Presidente della Repubblica, che è dopotutto il capo della magistratura, dire qualcosa di diverso?

Ma nonostante la limpida affermazione, il Quirinale apre una porta a una modifica. Ricorda infatti di non aver ricevuto domanda di grazia, aggiungendo: “Ad ogni domanda in tal senso, tocca al Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso — sulla base dell’istruttoria condotta dal Ministro della Giustizia — per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.”. Nessuna meraviglia che il Pdl abbia considerato questo passaggio una sorta di promessa.

È vero che la porta aperta da Napolitano non è proprio tale da soddisfare Silvio Berlusconi. Il Presidente cosiì definisce l’ambito in cui si muove: “verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.”

Un eventuale atto di clemenza riguarderebbe la pena principale, dunque la condanna al carcere, o ai domiciliari. Napolitano esclude invece qualunque intervento sulla parte più delicata per il capo politico del Pdl, cioè la interdizione dai pubblici uffici. Sul tema tuttavia la battaglia si è appena aperta, e il Pdl se la giocheraà fino in fondo. In quali modi si vedrà. Non potrà però contare sul Quirinale.

A che punto ci lascia tutto questo?

Lo status “particolare” che Silvio Berlusconi si è costruito nella politica del paese, facendo valere nelle nostre istituzioni tutto il peso di un conflitto di interessi mai visto prima in tali proporzioni, è stato ancora una volta riconosciuto. Ancora una volta per lui c’è un trattamento che per altri non è previsto.

Napolitano non appare contento di questo strappo. Ripete di averlo fatto in nome del bene del paese, per non far cadere un governo la cui tenuta è, secondo il Presidente, l’unica assicurazione per una ripresa economica.

Ma la verità e’ che questo stesso discorso, troppo spesso ripetuto, non è del tutto convincente.
I cicli economici hanno sempre avuto molto poco a che fare con la stabilità dei governi, o, se è per questo, con la loro capacità, o correttezza o corruzione. L’Italia è la prova di tale tendenza: siamo stati al massimo del nostro sviluppo economico quando si cambiava governo ogni sei mesi. E siamo andati a picco anche quando guidati da illuminati e morigerati Premier.

Scommettiamo invece che una “soluzione alle vongole” per la condanna di un leader politico è molto più dannosa per la reputazione del nostro paese della microstabilità di un fragile governo.


Pena, clemenza, incandidabilità. Le strade davanti al Cavaliere
di Dino Martirano
(dal “Corriere della Sera”, 15 agosto 2013)

LA CONDANNA
Arresti domiciliari o servizi sociali La scelta a ottobre
La Cassazione ha condannato Berlusconi a 4 anni di carcere per frode fiscale. La pena da eseguire è stata ridotta a un anno per effetto dell’indulto per cui anche il Cavaliere (grazie al decreto svuotacarceri) rientra tra quei condannati che possono optare tra la detenzione domiciliare e l’affidamento in prova ai servizi sociali. L’ex premier ha detto che è pronto ad andare in carcere ma anche il capo dello Stato ha dovuto ribadire che «la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi debba espiare in carcere la pena detentiva arrogatagli e sancisce precise alternative che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso concreto ». Se Berlusconi non eserciterà l’opzione, il 15 ottobre il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati adotterà una seconda sospensione dell’ordine di carcerazione per consentire al magistrato di sorveglianza di Milano di ordinare d’ufficio (decisione presa de plano senza convocazione delle parti) la detenzione domiciliare. Berlusconi ha eletto domicilio in via del Plebiscito per cui sarà il magistrato di sorveglianza di Roma a stabilirne le modalità: come successo per Gianstefano Frigerio (Forza Italia), Berlusconi potrebbe essere autorizzato a partecipare alle sedute del Senato (sempre che prima non scatti la decadenza).

LA GRAZIA
Domanda necessaria Ma potrebbe restare la sanzione accessoria
La grazia è una prerogativa del capo dello Stato che, però, è stato chiarissimo: «La grazia o la commutazione della pena può essere concessa dal presidente della Repubblica anche in assenza di domanda. Ma nell’esercizio di quel potere… si è sempre ritenuta essenziale la presentazione di una domanda ». Dunque, resta da vedere se Silvio Berlusconi ha intenzione di avviare con un passo formale il percorso indicato da Giorgio Napolitano che, eventualmente, dopo un’approfondita istruttoria, porterebbe alla concessione di un atto di clemenza individuale. Uno degli avvocati di Berlusconi, Piero Longo, ha detto (e poi ritrattato) che Berlusconi prima o poi chiederà la grazia: «Bisognerà vedere che tipo di provvedimento di clemenza verrebbe concesso ». Agli avvocati del Cavaliere, infatti, interessa molto che l’effetto di un’eventuale grazia presidenziale riguardi anche la pena accessoria (che deve essere ancora ricalcolata dalla corte d’appello di Milano) dell’interdizione dai pubblici uffici. La nota di Napolitano, invece, si riferisce a un «eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale ».

LA DECADENZA
Il Senato è a rischio E gli atti di clemenza non potranno influire
La decadenza da senatore per incandidabilità sopravvenuta è il primo scoglio che deve affrontare Berlusconi anche perché – come ha precisato Dario Stefano, presidente della giunta delle Elezioni del Senato – «l’eventuale grazia che potrebbe concedere Napolitano non c’entra nulla ai fini dell’incandidabilità perché la grazia interverrebbe sulla esecuzione della pena principale e non sugli effetti della condanna ». La condanna a 4 anni per frode fiscale, dunque, fa scattare la scure della legge Severino-Patroni Griffi del 2012 (anticorruzione) che stabilisce la incandidabilità (e quindi la decadenza per gli eletti) dei condannati a pene superiori ai due anni. Lunedì 9 settembre, la giunta del Senato ascolterà il relatore Augello (Pdl) che ha tre strade davanti a sé: 1) chiedere la decadenza di Berlusconi; 2) chiedere la convalida della sua elezione; 3) rimettersi alla giunta e chiedere un supplemento di istruttoria. Nel primo caso, se la giunta approva la decadenza, si apre un procedimento di contestazione a Berlusconi che avrà 10 giorni per le controdeduzioni e la possibilità di essere ascoltato in udienza pubblica. La decisione della giunta (presa in camera di consiglio) passa poi all’aula che vota entro 30 giorni. Nel secondo caso (convalida), la proposta se accolta dalla giunta passa all’aula; se invece la convalida è bocciata, si cambia relatore. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L’INCANDIDABILITA’
Cancellato per 6 anni dalle liste L’ipotesi del Tar
L’incandidabilità di Silvio Berlusconi alle prossime elezioni è uno spettro che agita non poco i vertici del Pdl. La norma in questione è contenuta nell’articolo 13 del decreto attuativo della legge Severino-Patroni Griffi del 2012 (anticorruzione): «L’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna…, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa e ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso, l’incandidabilità, anche in assenza della pena accessoria non è inferiore a 6 anni ». In altre parole, stando alla lettera della legge, già oggi, se ci fossero elezioni anticipate, il condannato Silvio Berlusconi sarebbe incandidabile. Il divieto è tassativo? Secondo una scuola di pensiero (diffusa nel Pdl), il condannato potrebbe candidarsi e poi essere giudicato ineleggibile dalla giunta del futuro Parlamento. Ma l’articolo 2 della legge anticorruzione sembra sufficientemente chiaro: «L’accertamento della condizione di incandidabilità alle elezioni […] comporta la cancellazione dalla lista dei candidati ». Il senatore Nitto Palma (Pdl) ha ipotizzato che contro questa decisione si possa ricorrere al Tar.

L’INTERDIZIONE
Un nuovo giudizio ricalcolerà il bando dai pubblici uffici
La Corte di Cassazione, nel condannare Berlusconi a 4 anni per frode fiscale, ha anche chiesto alla corte di Appello di Milano di ricalcolare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. I giudici milanesi attenderanno il deposito della motivazione della sentenza della Cassazione (ci sono 30 giorni ma la prassi concede fino a 60 giorni, quindi fino al 30 settembre), e poi fisseranno il ruolo per l’udienza che potrebbe svolgersi a gennaio o a febbraio del 2014. Scontato il ricorso in Cassazione della difesa di Berlusconi ma poi, già in primavera del prossimo anno, potrebbe arrivare il verdetto della Suprema Corte anche sulla pena accessoria: se condannato definitivamente, il Cavaliere sarebbe interdetto dai pubblici uffici da 1 a 3 anni. Ma non è ancora chiaro se la pena accessoria si somma o si fonde con gli effetti (incandidabilità/ineleggibilità) della legge Severino. Per l’avvocato Raffaele Della Valle la soluzione risolutiva è quella della commutazione della pena (una sorta di mini grazia concessa dal capo dello Stato) che « spazzerebbe via anche la pena accessoria e gli effetti della legge Severino ».

I SERVIZI SOCIALI
L’affidamento in prova cancella la pena Dubbi sull’eleggibilità
E se davvero Berlusconi accettasse la messa in prova con affidamento ai servizi sociali? In alternativa ai 9 mesi di detenzione domiciliare (frutto dello sconto – 45 giorni ogni 6 mesi – per «buona condotta »), il condannato per frode fiscale potrebbe scegliere di compiere un percorso di rieducazione lavorando presso una cooperativa che si occupa, ad esempio, di recupero dei tossicodipendenti. Questa scelta congela l’esecuzione della pena che, all’esito positivo della messa in prova, verrebbe completamente cancellata. C’è chi sostiene che, allo stesso modo, l’esito positivo della prova elimina anche gli effetti penali della sentenza di condanna: primo tra tutti, quello innescato dalla legge Severino-Patroni Griffi (anticorruzione) che già entro ottobre potrebbe portare il Senato a votare la decadenza di Berlusconi da parlamentare. Lo stesso varrebbe per l’incandidabilità alle prossime elezioni. Ma Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle camere penali, non è d’accordo: «L’incandidabilità non è un effetto penale né una pena accessoria per cui non può essere cancellata neanche dall’esito positivo di un eventuale affidamento ai servizi sociali ».

IL CSM
La pratica sul giudice non modificherà il verdetto definitivo
Lo stato maggiore del Pdl confida che il Consiglio superiore della magistratura quanto meno «tiri le orecchie » al giudice Antonio Esposito. A lui, presidente del collegio della Cassazione chiamato a giudicare Berlusconi, viene contestata un’intervista al Mattino in cui si parla anche della sentenza prima ancora del deposito della motivazione. Ora quella intervista, per iniziativa dei tre consiglieri laici del Csm eletti su indicazione del Pdl, è diventata l’oggetto di una pratica aperta in I commissione, quella che si occupa di trasferimenti d’ufficio per incompatibilità funzionale e ambientale. Fermo restando – come ammesso anche dall’ avvocato di Berlusconi, Franco Coppi – che nessuna decisione del Csm può modificare la sentenza della Cassazione, la I commissione si riunirà il 5 settembre per esaminare il caso Esposito. Parallelamente, la Guardasigilli Cancellieri ha dato mandato agli ispettori ministeriali di verificare se ricorrano gli estremi di un’azione disciplinare contro il presidente Esposito.


Silvio Berlusconi verso la grazia? Ecco gli ultimi due precedenti della clemenza di Giorgio Napolitano
di Margherita Nanetti
(da “L’Uffington Post”, 15 agosto 2013)

Nel caso in cui i legali del Cav chiedano al Quirinale un atto di grazia per Berlusconi, sarebbe la terza volta consecutiva, dopo i casi del colonnello statunitense Joseph Romano e del direttore de ‘Il Giornale’ Alessandro Sallusti, che la Procura generale di Milano sarà chiamata ad esprimere il suo parere, non vincolante, sull’opportunità del gesto. Il processo Mediaset nel quale Berlusconi ha riportato la condanna definitiva si è infatti svolto innanzi ai giudici di Milano, come è avvenuto per i procedimenti sul rapimento dell’iman Abu Omar nel quale è stato condannato Romano e in quello per la diffamazione ai danni di un magistrato nel quale Sallusti è stato riconosciuto colpevole in via definitiva.

Se anche nell’ipotesi di una richiesta di grazia per Berlusconi la Procura milanese dovesse dire ‘no’, non si determinerebbe alcuna impasse nel cammino del provvedimento di clemenza, come dimostrano proprio le vicende di Romano e Sallusti.
Per l’ex comandante della base Nato di Aviano condannato insieme a 22 agenti della Cia per il rapimento di Abu Omar, il Pg diede parere negativo trattandosi di un reato “contro il diritto umanitario”. ‘Pollice verso’ venne espresso, dalla stessa Procura generale, anche per Sallusti per il quale pure la Cassazione aveva ritenuto il carcere l’unico rimedio possibile.

Nonostante ciò, Napolitano tirò dritto per la sua strada e, lo scorso cinque aprile, a pochi giorni dalla scadenza del suo primo mandato, cancellò la condanna a sette anni di reclusione (di cui tre condonati) inflitta dalla Cassazione il 19 settembre 2012 a Romano, l’unico militare coinvolto nel sequestro. A suo carico anche lo status di latitante nel processo. Un aspetto che normalmente non depone a favore della grazia.

Ancora più veloce fu l’iter della commutazione di pena per Sallusti, la cui condanna da 14 mesi di reclusione si tramutò – per effetto del decreto quirinalizio firmato il 21 dicembre – in una ammenda di 15.325 euro nel giro di soli tre mesi dal passaggio in giudicato della condanna emessa dalla Suprema Corte il 26 settembre 2012. Per Romano di mesi ne passarono quasi sette. Per lui si era messa in moto anche la Casa Bianca.


Ferrara: “Berlusconi non si dimetterà mai e proclamerà la sua innocenza”
di Redazione
( da “Libero”, 15 agosto 2013)

”Mi farei cacciare. Proclamerei la mia innocenza, la mia condizione di vittima della giustizia, ma non mi dimetterei certo da senatore. E credo che Silvio Berlusconi non si dimetterà, battendosi fino in fondo in giunta al Senato”. Giuliano Ferrara si mette nei panni del Cavaliere in una intervista a Repubblica: ”Le sentenze si possono criticare però poi si applicano. Berlusconi deve farsi alcuni mesi di domiciliari o servizi sociali o quel che sarà. L’agibilità consisterà nella possibilità di Berlusconi di offrire un’altra immagine di leadership: lui è prigioniero di una giustizia che è riuscito a incastrarlo? Bene, ne rigetta la sostanza criticando la sentenza, ma ovviamente la subisce e la applica. Dimostrando tutta l’anomalia di questa situazione alla quale è stato costretto e da lì continuare a parlare agli italiani di tasse, di crescita, di governo: esercitare la leadership insomma. Nei limiti di un’agibilità, diciamo così, minorata”.

Continua il direttore del Foglio: ”Mi farebbe piacere per lui se arrivasse la grazia perché gli sono amico, lo riterrei un atto di giustizia, di riparazione, ma non è quella la strada. E’ un’altra, lo ripeto: quella dell’espiazione pur paradossale della pena continuando a far politica, a sostenere il governo”.

Di certo, secondo Giuliano Ferrara, il rifiuto di Marina Berlusconi a prendere il posto del padre alla guida del Pdl non è definitivo: ”Altrimenti non capirei certe sue interviste, la sua partecipazione al dramma paterno. Tuttavia Marina funziona se si vota a ottobre, non dopo, non tra due anni. In politica conta l’effetto sorpresa”.


I tre giorni di Berlusconi: ora silenzio, devo decidere
di Adalberto Signore
(da “il Giornale”, 15 agosto 2013)

Il giorno dopo la presa di posizione di Giorgio Napo ­litano il Cavaliere decide di seguire la strada del silen ­zio. Non solo perché da Arco ­re non arriva alcuna replica uf ­ficiale allo spiraglio aperto dal Quirinale, ma pure perché la linea che Silvio Berlusconi det ­ta ai suoi è esattamente quella di dichiarare il meno possibi ­le.
Non a caso, le esternazioni di parlamentari del Pdl sulla nota del Colle si contano sulla dita di una mano e a qualcuno tocca pure beccarsi la raman ­zina dell’ex premier che ieri mattina pare non fosse pro ­priamente di ottimo umore.

Il Cavaliere, questo confida in privato, ha bisogno di tem ­po. «Due o tre giorni di rifles ­sione per decidere il da farsi », spiegava ieri al telefono con un parlamentare. Già, perché se la trattativa con il Colle sul ­la grazia è già in fase avanzata e se pure gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi han ­no iniziato a lavorare su un’eventuale richiesta la deci ­sione finale non è stata ancora presa. Già, perché seppure Na ­poli ­tano ha preso atto della ec ­cezionalità della situazione e ha riconosciuto al Cavaliere la sua leadership politica, resta aperto il problema della deca ­denza di Berlusconi da senato ­re. Non un dettaglio, non solo sotto il profilo strettamente politico e d’immagine,ma an ­che dal punto di vista pratico. Perché se mai Berlusconi do ­vesse perdere l’immunità par ­lamentare la sua convinzione è che «nell’arco di pochi gior ­ni verrebbero a bussare alla mia porta i pm di mezza Ita ­lia », non solo «quelli che usa ­no la toga per fare attività poli ­tica » ma pure quei magistrati che «per un titolo di giornale sono pronti a tutto ». Senza lo scudo, insomma, quello che il leader del Pdl definisce senza mezzi termini «una persecu ­zione giudiziaria » non avreb ­be più un freno.

Ed è questo uno dei veri ti ­mori del Cavaliere. Che pur non mettendo in discussione il governo guidato da Enrico Letta («non saremo noi a farlo cadere », continua a ripetere non solo alle colombe ma pu ­re ai falchi più agguerriti) non nasconde che la questione po ­trebbe avere delle conseguen ­ze per la tenuta della maggio ­ranza. «Come si fa a stare al go ­verno con chi vota per farmi decadere da parlamentare? », ripete Berlusconi da giorni ai suoi interlocutori. Già, per ­ché gli occhi sono puntati sul ­la giunta per le elezioni del Se ­nato che si riunirà nella secon ­da metà di settembre. E dove sarà messo all’ordine del gior ­no il voto per far decadere da senatore il Cavaliere. Il M5S in particolare spinge per affretta ­re i tempi e il Pd lo segue a ruo ­ta.
È chiaro, però, che se davve ­ro si arrivasse a un simile voto il livello di tensione all’inter ­no della maggioranza rischie ­rebbe di andare oltre la soglia di sicurezza e questo lo sa be ­ne anche Enrico Letta. Ecco perché i pontieri – sia sul fron ­te Pdl, sia su quello Pd – sono al lavoro per cercare una me ­diazione. L’idea sarebbe quel ­la di provare a rinviare il voto in giunta di qualche mese, ma ­gari chiedendo approfondi ­menti sulla legge Severino. A quel punto, a novembre o di ­cembre, potrebbe essere già intervenuta la grazia che forse aiuterebbe a smussare in qual ­che modo gli animi (non tanto tra i grillini, quanto nel Pd).


L’ammissione del condannato
di Francesco Merlo
(da “la Repubblica2, 15 agosto 2013)

Da unto del Signore a miracolato di Napolitano? L’istinto gli dice che chiedere la grazia non sarebbe umiltà, ma umiliazione. La furbizia invece gliela suggerisce come ultima spiaggia. In questo dilemma che non è dostoevskiano ma truffaldino, Berlusconi degrada anche il nobile istituto della grazia. I suoi delitti e la sua pretesa estortiva fanno di un valore laico e religioso una merce politica, “reificata” direbbe Marx, una miseria nel mercato dei partiti, un privilegio di casta.

“Ci sta pensando” dicono i suoi fedelissimi. “La chiederà”, annunzia il suo avvocato e viene subito costretto a smentire. Berlusconi infatti la vorrebbe ma solo se mascherata da quarto grado di giudizio, riparazione di un torto, come gli suggeriscono la Santanché e Verdini, Cicchito e Alfano, sia i falchi e sia le colombe che pretendono di gestire la grazia come la presidenza di un ente pubblico, le nomine in un’impresa a partecipazione statale, la direzione del Tg1, un investimento da sottoporre alla solita contabilità politica.

E però il vecchio impresario di spettacolo, pur acciaccato e mal ridotto, capisce ancora benissimo che, questa volta, neppure il fracasso dei suoi giornali e delle sue tv riuscirebbe a coprire la potenza evocativa della richiesta di grazia del condannato Berlusconi Silvio all’ultimo comunista, al più longevo discendente di Amendola e Togliatti, una Canossa che farebbe il giro del mondo, un po’ come l’immagine della statua di Saddam abbattuta dalla democrazia finalmente vincente.

La grazia, concessa o negata che sia, è un atto unilaterale, gratuito per sua natura, che non può essere deciso da un consiglio di amministrazione bipartisan governato da Enrico Letta e Angelino Alfano. La grazia non è una larga intesa ma al contrario un piccolo grande gesto che il capo dello Stato compie con il minimo di pubblicità possibile perché è pudore, è discrezione, è sovranità che si esprime in atti minimi, è forza che compatisce e non punisce. La grazia sostituisce alla violenza della pena l’energia della compassione.

Ecco perché Berlusconi non si decide e ancora non cede a tutti i gregari che hanno comunque bisogno di un capo. Berlusconi non vuole essere il loro capo per concessione, per grazia ricevuta da Napolitano.

Come si vede, chiunque la chieda al suo posto, la domanda di grazia sarebbe per lui una resa politica e un’ammissione di colpa, un riconoscimento della sentenza che, ribadita in tre gradi di giudizio, per qualsiasi altro italiano è la più basilare ovvietà dello Stato di diritto. E invece Berlusconi la denunzia come un ciclopico complotto della magistratura. E dunque non può chiedere la grazia al capo di quella magistratura.

E va da sé che non chiedere la grazia non significa essere innocenti, ma solo non riconoscere il codice che ti ha condannato. Berlusconi non lo riconosce, lo combatte, lo considera una variante della battaglia politica, una continuazione della politica con altri mezzi.

Perciò sfugge a Gianni Letta, si dispera al telefono con Cicchitto, raffredda le divampanti spavalderie del Giornale e di Libero, si rimpicciolisce nell’angolo davanti agli incitamenti di Giuliano Ferrara e alle tenere pressioni della famiglia. Non perché è uno statista ma perché al contrario l’ha combinata così grossa che non ne esce neppure con la grazia, che anzi gli suona come un’altra disgrazia.

D’altra parte, in Italia c’è una folla di colpevoli che ogni giorno chiede e non ottiene la grazia. Tra loro ci sono delinquenti meno delinquenti di Berlusconi e altri che lo sono di più, ma che stanno davvero in galera. Solo i giornali della casa si comportano come se Berlusconi stesse per essere rinchiuso ad Alcatraz, come se non fosse stato condannato per un’accertata frode allo Stato, come se non avesse davanti i domiciliari ad Arcore o l’assegnazione ai servizi sociali, come se non gli fosse stata assicurata anche l’agibilità politica mentre sconterà la pena, come se fosse il conte di Montecristo, ingiustamente e vilmente segregato tra i topi, a contatto diretto col bugliolo e i fetori, le cimici, i pidocchi, la barba lunga e il cerone che cola sul lifting disfatto.

C’è, infine, nella sua tormentata indecisione, nel suo tentennare tra “la chiedo” e “non la chiedo” l’essenza stessa del berlusconismo, la natura profonda di Silvio Berlusconi che non può neppure immaginare di non ottenere quel che chiede, abituato com’è ad avere e a comprare tutto, anche le donne, il consenso e l’obbedienza.

Berlusconi si trova per la prima volta nella condizione di subire un rifiuto. Non c’è infatti nessun Gianni Letta e nessuna responsabile politica delle larghe intese che possa garantirgli il favore di Napolitano. Anzi, se possiamo azzardare una previsione è molto probabile che Napolitano non ceda, neppure per stanchezza. E certo non per paura dei soliti esagitati che già lo destinano all’impeachment. La verità è che Berlusconi vuole la grazia prima ancora di chiederla, a garanzia della stabilità politica. Vuole vincere la partita prima di giocarla. Vuole, come al solito, comprare il risultato.

E più si muove Gianni Letta con la sua felpata agitazione meno probabilità ci sono di ottenere una grazia che diventerebbe non solo la vittoria del ricatto ma anche il trionfo del peggiore politichese di corridoio, di una improponibile diplomazia dell’impunità che più lavora nell’ombra più toglie grazia all’istituto della grazia. E sarebbe anche il premio ai giornalisti della casa che si esibiscono in esegesi dottrinaria cavillando come esperti di retorica forense sulla giurisprudenza delle prerogative del capo dello Stato e intanto incitano alle passioni di piazza e alle fiamme dell’anima per difendere non il Dreyfus italiano ma la frode fiscale. E segnerebbe ancora la rinascita dei giustizialisti a quattro un soldo, quelli appunto che minacciano preventivamente il capo dello Stato, il giustizialismo demagogico che sogna la grazia a Berlusconi più di Berlusconi stesso.

Rimane la sofferenza che Berlusconi sta esibendo, quella sua maschera di vecchio tormentato, curvo e appesantito dal tempo e dagli stravizi. Ebbene quel suo corpo dolente che chiede grazia da un parte ti chiama alla pietà e dall’altra ti indurisce. Più vorresti aiutarlo, più ti incupisce e ti inquieta perché nella sua decadenza fisica c’è tutta la pessima esperienza dell’illegalità al potere, lo sbrindellamento dello Stato degli ultimi venti anni.


La partita di Berlusconi
di Alessandro Sallusti
(da “il Giornale”, 15 agosto 2013)

Tutti a cercare di capire quale sarà la prossi ­ma mossa. Berlusconi chiederà o no la grazia? Il Pdl farà o no cadere il governo? Il Pd romperà l’alleanza votando per la de ­cadenza da senatore dell’ex premier? E poi la gara a interpretare il messaggio di ieri di Napolitano: ha chiuso a Berlusconi, no ha aperto e via dicendo.

Do ­mande legittime ma al momento senza risposta. Troppo delicata la situazione, troppo alta la posta perché i giocatori lascino anche solo intuire la ma ­no. Più che altro prendono tempo, facendo girare sul tavolo carte tutto sommato inutili, nell’attesa di pescare il jolly che a questo punto può arrivare solo grazie ad un errore dell’avversario. Non sarà una partita lunga, questione di settima ­ne per via delle scadenze giuridiche e parlamentari della sentenza. Saranno giorni intensi, ricchi di in ­contri e trabocchetti politici e mediatici. Mi è capita ­to di vedere in queste ore Silvio Berlusconi per gli au ­guri di Ferragosto e posso assicurare una cosa. Non mi è parso né smarrito né impaurito. Anzi, dà l’im ­pressione di un uomo sì offeso per l’ingiustizia subi ­ta, ma molto deciso a non farsi travolgere. Credo che abbia le idee chiare sul da farsi e che al momen ­to le tenga rigorosamente per sé. A sensazione mi sento di escludere che tra queste ci sia quella di an ­dare a piagnucolare sotto il Quirinale con il cappel ­lo in mano. Se grazia sarà, i motivi pietistici dovran ­no rimanere fuori. Quello che il presidente della Re ­pubblica potrebbe e dovrebbe fare è ripristinare una situazione di giustizia e democrazia. Il resto po ­co interessa perché in ogni caso il popolo dei mode ­rati liberali non rimarrà orfano. Sono convinto che Silvio Berlusconi, qualsiasi sarà la sua agibilità fisi ­ca e politica, continuerà a essere il leader politico di oltre dieci milioni di italiani. Non a caso tra pochi giorni rinascerà ufficialmente Forza Italia, segno evidente che l’avventura è tutt’altro che al capoli ­nea come già ci vogliono fare credere la sinistra e i suoi giornali.E scommetto un’altra cosa. Che nel fu ­turo di Forza Italia non ci sarà alcun tipo di larghe in ­tese o di compromessi al ribasso. Vuoi vedere che ancora una volta la macchinazione messa in piedi dalla loggia sinistra-magistratura si rivelerà un boo ­merang per gli sciagurati autori? Ps: oggi, Ferragosto, come tutti i giornali ci pren ­diamo una giornata di riposo. Torneremo in edicola sabato. Non mancate. Un grosso augurio di buone e serene vacanze da parte di tutti noi de Il Giornale.


Ecco come MD ha impedito ogni riforma
di Stefano Zurlo
(da “il Giornale”, 15 agosto 2013)

Coincidenze. Un ministro della Giu ­stizia, Clemente Mastella, nella te ­naglia della magistratura: estate 2007,l’Anm,a trazione Magistratura demo ­cratica, minaccia scioperi se la riforma del ­la giustizia, ormai in dirittura d’arrivo, non seguirà le indicazioni del partito dei giudi ­ci; dall’altra parte lo stesso Mastella,conti ­nuamente al telefono con pm e giudici del ­l’Anm, è indagato a Catanzaro nell’inchie ­sta Why Not.

Domanda: si può scrivere un testo così importante sotto la doppia pressione del partito dei giudici e di un’inchiesta? Ma questo è lo stato dell’arte su un crinale deci ­sivo nei rapporti fra politica e magistratura e più in generale per la definizione del ruo ­lo della magistratura in Italia. La sfida è de ­cisiva: in quei giorni convulsi di luglio Ma ­stella viene bombardato dall’Anm, il cui se ­gretario è Nello Rossi di Md, perché siano recepite le direttive delle toghe. Ma con ­temporaneamente si svolge una gara con ­tro il tempo perché il fallimento di Mastella farebbe scattare inesorabilmente la prece ­dente riforma Castelli, che per l’Anm è fu ­mo negli occhi. Roberto Castelli, Guardasi ­gilli del governo Berlusconi, ha partorito un’ambiziosissima legge che prevede, ad ­dirittura, la mitica separazione delle carrie ­re. O meglio, prevedeva perché i dubbi e qualcosa in più dei dubbi dei centristi han ­no finito con l’annacquare lo spirito della norma. La separazione delle carriere, di cui si parla a vuoto da una ventina d’anni,è rimasta in un cassetto, perché per portarla in porto sarebbe stato necessario passare per la cruna dell’ago di una nuova legge co ­stituzionale, figurarsi, ma Castelli ha tenu ­to duro. E ha licenziato un testo che, in sin ­tesi, colloca i pm da una parte e i giudici dal ­l’altra. È la separazione non delle carriere ma delle funzioni, il massimo che si può fa ­re in Italia, fra debolezze della politica e proteste dei giudici.

Il conto alla rovescia va avanti in quelle settimane: Mastella è bersagliato dai vertici dell’Anm e, con il premier Romano Prodi, è sotto inchiesta a Catanzaro dove Luigi De Magistris si avvale dell’opera di un con ­sulente discusso, Gioacchi ­no Genchi. Mastella a fine mese porta a casa le norme che disinnescheranno quelle targate Castelli. La controriforma Castelli,come l’hanno bollata i signori del ­l’Anm.
L’Italia,che oggi avrebbe bisogno di cam ­biare marcia proprio sulla giustizia, sconta ritardi che sono anche il frutto di quelle giornate. Mastella, pur di non perdere il tre ­no, è andato anche a genuflettersi al conve ­gno di Md, ma è stato trattato con una certe rudezza. Edmondo Bruti Liberati, oggi pro ­curatore a Milano, gli ha risposto per le ri ­me: «Attendiamo i fatti » senza rilasciare «cambiali in bianco ».E Nello Rossi,segreta ­rio dell’Anm, è stato altrettanto chiaro: «Vo ­gliamo vedere i fatti e prima non faremo sconti a nessuno ».Poi Mastella trova la qua ­dra, ovvero vara una riforma che piace ai magistrati e manda su tutte le furie gli avvo ­cati che da sempre denunciano lo strapote ­re dell’accusa nelle aule di giustizia. Non importa, va be ­ne così. Il comitato direttivo centrale dell’Anm – la termi ­nologia è ancora sovietica ­approva con i voti decisivi di Md e delle altre correnti di si ­nistra il doc ­umento che fa re ­tromarcia sugli scioperi. Tut ­ti al lavoro. «Con la revoca della mia riforma- commen ­ta amaro Castelli – emerge la verità vera che avevo previ ­sto. L’agitazione è finita ».
Coincidenze. De Magistris e l’indagine vengono spazzati via dal Csm. Per la cronaca Roma indaga e Rossi seque ­stra l’archivio Genchi in cui c’è anche una telefonata fra lo stesso Rossi e Mastella, in ­dagato da De Magistris e Genchi ma autore di una riforma non sgradita a Rossi. Sem ­bra una filastrocca. La giustizia è passata e passa ancora oggi lungo questi tornanti.


Telefonate tra Esposito Jr e lo 007 in prigione
di Massimo Malpica
(da “il Giornale”, 15 agosto 2013)

Antonio Esposito replica al Giornale e dice che il bonifico ricevuto dall’Ispi a titolo di «compenso direzione centro di consulenza Sapri » aveva come reale beneficiario non lui ma la moglie, Maria Giffoni. «La som ­ma di 974,56 euro, indicata nel ­l’articolo – spiega in una nota ­rappresenta il compenso netto per prestazioni effettuate da mia moglie, consulente psico ­pedagogica, quale direttore del Centro Ispi di consulenza alle famiglie di disabili », e «il relati ­vo bonifico è stato accreditato sul conto corrente di mia mo ­glie, conto cointestato ad en ­trambi e sul quale confluisco ­no i redditi di ciascuno ».

Alla no ­ta Esp ­osito allega un documen ­to redatto ieri da un commercia ­lista che attesta la riferibilità di quella somma alla Giffoni, «le ­gale rappresentante dell’Ispi », e un prospetto contabile dal quale si desume che il compen ­so è relativo alla direzione del centro e ad altre attività, tra cui l’organizzazione della manife ­stazione di apertura del centro.
Quella, si presume, alla quale Esposito ha partecipato come relatore, e sul cui volantino tra i contatti dell’Ispi c’era il cellula ­re del magistrato.
Dopo aver rivelato d’essere contitolare di un conto con la coniuge il giudice – che annun ­cia querele per «la gravissima violazione del segreto banca ­rio » per la pubblicazione del ­l’estratto conto dell’Ispi- defini ­sce «diffamatorio » l’articolo, che pure anticipava esplicita ­mente tra le ipotesi quella che il conto fosse cointestato. Nel pezzo si osservava, in questo ca ­so, l’inopportunità di far conflu ­ire i redditi dell’Ispi su un conto riferibile al giudice, indicando il suo nome come beneficiario con quello della moglie. Non certo un«atto dovuto »:a specifi ­ca richiesta il servizio clienti del ­l’Ubi ­Banco di Brescia ha rispo ­sto che in caso di b ­onifico a favo ­re del titolare di un conto cointe ­stato va indicato il solo nome dell’effettivo beneficiario. L’inopportunità è correlata a un punto sul quale il giudice di Cassazione Esposito non ha for ­nito ancora nessuna precisazio ­ne. Ossia il ruolo che il magistra ­to r ­iveste nell’associazione cul ­turale/ agenzia di formazione di famiglia,per conto della qua ­le a novembre dell’anno scorso ha firmato una convenzione con un istituto statale di Sapri.

Il giudice, intanto, ha chiesto al Csm l’apertura di una «prati ­ca a tutela » contro «gli attacchi subiti in queste settimane ». Il Consiglio superiore dovrà dun ­que occuparsi del magistrato sia per valutare eventuali puni ­zioni per l’intervista al Mattino in cui commentava la sentenza di condanna a carico di Berlu ­sconi sia della sua difesa dagli asseriti «attacchi » della stam ­pa. E proprio ieri il Sole24Ore ha rispolverato le carte dell’in ­chiesta sul prefetto Franco La Motta, arrestato a giugno scor ­so per aver sottratto soldi dal fondo edifici di culto del Vimi ­nale, ricordando un tentativo del prefetto di ottenere un ap ­puntamento col giudice Esposi ­to tramite il figlio magistrato.
Nell’ordinanza d’arresto a ca ­rico ­di La Motta il giudice Massi ­mo Di Lauro, a proposito del ri ­schio di inquinamento delle prove, riporta infatti una nota del Ros dello scorso 10 giugno, considerata esemplare delle «aderenze » vantate dal prefet ­to. Si tratta della trascrizione di «due conversazioni, piuttosto ambigue, tra il Prefetto e due uo ­mini, uno dei quali s’ipotizza possa identificarsi in Ferdinan ­do Esposito (figlio di Antonio, ndr ), magistrato presso la pro ­cura di Milano ». La Motta il 23 maggio chiama il cellulare di Esposito Jr, e la conversazione è surreale, con l’interlocutore che passa dal tu al lei in pochi istanti. La Motta: «Sono il dot ­tor La Motta, non c’è? ».Interlo ­cutore: «Franco… sei tu? ». LM: «Sì eccoci, scusami non ti avevo riconosciuto… ciao ». I: «Nooo, prego… come sta dottore, be ­ne? ». LM: «Eh insomma, abba ­stanza bene, volevo solo farti un saluto affettuoso(…) ». «Im ­mediatamente dopo » La Motta chiama un cellulare intestato al Dap «senza ottenere risposta ». Ma viene ri ­chiamato dal ­la stessa uten ­za «dalla qua ­le parlava tale “Ferdinan ­do” », spiega ­no gli investi ­gatori. Va det ­to, questo non è agli atti ma sul web, che la stessa utenza del ­l’am ­ministra ­zione peniten ­ziaria è ripor ­tata su un an ­nuncio online del 2005 in cui un certo «fer ­dinando. esposito » metteva in vendita una moto. Dopo un po’ di con ­venevoli, La Motta dice a «Ferdi ­nando »: «Io avevo bisogno so ­lo… pigliarmi un caffé n’attimo co’ papà per notiziarlo su alcu ­ne cose quando… me lo fai tu da ponte per favore? ». Ferdinan ­do replica: «Sì come no (…) va bene non si preoccupi e poi la chiamo ». Per il gip non ci sono elementi per«indurre anche so ­lo a ipotizzar ­e che il cercato con ­tatto con la persona che s’ipotiz ­za essere consigliere di cassa ­zione sia andato a buon fine », ma le intercettazioni finiscono agli atti perché «il tenore » delle stesse e «l’immediatezza » con cui La Motta viene richiamato «la dicono lunga » sulle sue ade ­renze e sulla possibilità di inqui ­nare le indagini.


L’Espresso: “Eredità offshore e villa alle Bermuda per Marina Berlusconi”
di Redazione
(da “il Fatto Quotidiano”, 15 agosto 2013)

Un patrimonio nei paradisi fiscali ‘confezionato’ per lei dall’avvocato Mills su cui far convergere il ‘nero’ di Mediaset. Questa la rivelazione dell’Espresso su Marina Berlusconi, promogenita di Silvio, delfino designato delle aziende di famiglia e – pur rinunciataria – del partito del Cavaliere. Le società e i conti, compresa una villa alle Bermuda – scrive il settimanale – sarebbero state intestate a Marina il 14 dicembre del 1990. E’ il giorno prima delle seconde nozze di Berlusconi con Veronica Lario, e il ‘pacchetto’ serve a evitare problemi di successione tra i figli e la seconda moglie. Ecco allora che l’avvocato David Mills – non a caso le carte sono emerse con il processo Mediaset – crea due “trust” per Marina e Piersilvio.

Così lo stesso Mills descriveva la cosa nel 2004: “Lo scopo era destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio: mi si chiedeva di costruire due veicoli societari per i diritti televisivi e destinare i profitti a Marina e Piersilvio. E si voleva che questa struttura rimanesse riservata”. Il trust della primogenita si chiama ‘Muesta’ e sull’atto costitutivo c’è la firma della stessa Marina. Ma per la procura di Milano – che ha chiesto l’archiviazione della donna nel procedimento Mediaset – a gestire i soldi è sempre stato il padre. Solo il vero proprietario del denaro, argomenta del resto l’Espresso, poteva destinarne una parte a Marina e Piersilvio.

La stessa Marina, scrive ancora il settimanale, avrebbe poi almeno una società offshore. Si chiama Bridgestone Properties Limited. Ai magistrati che gli chiedono conto della società Mills ammette nel 2003: “Bridgestone Limited è la società che aveva acquistato la villa di Silvio Berlusconi alle Bermuda e un’imbarcazione. So che la società apparteneva a Marina Berlusconi. E ne ho avuto conferma quando ho consegnato le carte di Bridgestone all’avvocato Maurizio Cohen di Montecarlo, che mi disse che le avrebbe consegnate a Marina Berlusconi ». Nel 2004 Maurizio Cohen conferma tutto: “Ricordo di aver ricevuto nel 1999 o 2000, mi sembra dall’avvocato Mills, il dossier concernente la proprietà Blue Horizons (il nome della villa, ndr)”. A chi appartiene la villa? “Marina Berlusconi ha il godimento esclusivo della proprietà e lei stessa mi ha indicato che è registrata come proprietaria nei registri fondiari delle Bermuda. Mi ha detto che ne è diventata proprietaria per donazione ».


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Bart