Berlusconi, il Pdl vuole rinviare la decadenza15 Agosto 2013 di Ugo Magri L’unica certezza su Berlusconi è che cambia opinione (e strategia) numerose volte al giorno, spesso in ragione dei propri interlocutori. L’altra sera, non risultavano dubbi in proposito, tanto che Longo e lo stesso Coppi ne avevano fatto cenno in alcune pubbliche interviste. Però poi, con il trascorrere delle ore, anche quello che sembrava un punto fermo, quasi una spada nella roccia, si è andato sfaldando: sì, forse, chissà, boh, vedremo… Le ultime da Arcore riferiscono che in questo momento Berlusconi sta meditando con grande interiore tormento se non gli convenga rinunciare all’atto di clemenza e chiedere direttamente l’affido ai servizi sociali; oppure, addirittura, non sia meglio lasciarsi chiudere per nove mesi agli arresti domiciliari, in modo da presentarsi quale vittima del sistema, una provocazione vivente, una sfida all’establishment… «Sono scelte che spettano a lui, e a nessun altro », allargano le braccia nello staff legale berlusconiano, che resterà operativo perfino il giorno di Ferragosto (niente vacanze per Ghedini, rimasto a Padova). A scatenare ubbie e ripensamenti è stata, secondo certe ricostruzioni, una lettura più attenta della nota quirinalizia, Berlusconi vi ha trovato molto meno di quanto Gianni Letta gli aveva fatto pregustare alla vigilia (lo stesso zio del premier pare ne sia contrito e deluso). Chiedere la grazia comporterebbe un’ammissione di colpa e, soprattutto, l’impegno a tenere in piedi il governo: su questo Napolitano è stato chiarissimo. Ma i vantaggi sul piano giudiziario, nonché in termini di «agibilità politica », risultano a Silvio assai meno chiari, avvolti da una nube d’incertezza. Dunque hanno facile gioco quanti, specie tra le «amazzoni », lo mettono in guardia rispetto alle «trappole quirinalizie »: «Attento, Silvio, che Napolitano vuole soltanto accompagnarti alla porta, altro che lanciarti un salvagente… » (invano qualcuno dalla memoria lunga gli ha ricordato che Scalfaro si comportò molto peggio con Craxi, il quale ebbe solo il tempo di prendere un aereo e darsela a gambe). Oltre al sospetto sulle intenzioni del Colle, divora il Cavaliere l’ansia per quanto potrà accadere a settembre, quando verrà al pettine il nodo della sua decadenza da senatore. «Ma vi pare che noi possiamo restare al governo con chi voterà per cacciarmi dal Parlamento? », ha girato la domanda a tutti i fedelissimi, spesso con voce alterata. Questo sembra, al momento, lo scoglio politico più serio. Di dare le dimissioni sua sponte, onde evitare una crisi, Berlusconi non ci pensa nemmeno. Ancora si illude che per effetto di un braccio di ferro possa essere il Pd a cedere, rinunciando a cacciarlo. Nelle ultime ore, con Roma soffocata dalla calura, si fa strada un’ipotesi che il ministro Quagliariello e il relatore nella Giunta delle elezioni, senatore Augello, stanno approfondendo: un rinvio di qualche settimana del voto sul Cavaliere, nella speranza che maturino fatti o circostanze capaci di scongiurare l’ineluttabile. Ma che il Pd sia disponibile, è tutto da dimostrare. Il Pdl e il nodo della grazia: vogliamo avere solo giustizia Grazia sì o grazia no? De ciderà Berlusconi in persona la prossima mossa. Mariastella Gelmini sintetizza così: «Le scel te personali e politiche del no stro leader spettano a lui e sol tanto a lui. Qualsiasi decisione prenda, il Pdl sarà unito e com patto ». A freddo,il Pdl s’interroga sul la nota quirinalizia. In chiaro tutti tacciono o quasi perché l’ordine da Arcore è di non dar fuoco alle polveri. Ma, off the re cord , in molti temono il «trappo lone ». Napolitano chiede tanto a Berlusconi ma garantisce po co. Soprattutto non fa alcun cen no al problema «incandidabili tà », su cui la giunta del Senato si dovrà esprimere a settembre. Il nodo è lì.Sull’ormai famosa agi bilità politica che per il Pdl è un’esigenza di giustizia. Allora che farà il Colle? Il timore è che «se ne lavi le mani » dicendo che non può certo intervenire su una questione che compete al Parlamento e non al Quirinale. Berlusconi verrebbe buttato fuori dal Senato punto e basta. A prescindere dalla grazia. Cer to, potrebbe fare il «padre nobi le » del centrodestra; una sorta di Grillo forzitaliota, in balìa del le procure, pronte a premere il grilletto sugli altri procedimen ti aperti. Il Pdl mette quindi sulla bilan cia la richieste e le guarentigie quirinalizie. Le richieste: il ca po dello Stato impone al Cava liere di iniziare a espiare la pe na; di smentire se stesso accet tando la sentenza e implicita mente ammettere la sua colpe volezza; di togliere dal mazzo la carta «crisi di governo »; avverte che se crisi sarà, mai e poi mai scioglierà le Camere; lavora af finché il governo Letta arrivi fi no alla presidenza italiana del Consiglio europeo, che inizia il 1Ëš luglio 2014. Veniamo alle ga ranzie. Napolitano dice solo che «valuterà » la grazia. Meglio se richiesta, chinando il capo e facendo mea culpa . Un pidielli no sintetizza: «Il messaggio di Napolitano è “Stai tranquillo, inizia a espiare la pena che tan to in carcere non ci finisci; am metti che sei un delinquente, non rompere le scatole a Letta jr., ritirati dalla vita politica e ve drò di farti fare pochi servizi so ciali”. Sai che concessione… ». Chi non si nasconde è Mauri zio Bianconi, tesoriere del Pdl, che su Facebook scrive: «Napoli tano, con il richiamo a Forlani una via l’ha indicata: ammissio ne ai servizi socia li riabilitativi. In somma da vero comunista consi glia i campi di ria bilitazione. E noi? Contenti co me Pasque ». E an cora: «Napolita no, attribuendo alla magistratura non l’applicazio ne delle leggi ma il controllo di le galità del sistema si piega ai prin cìpi della magi stratura militan te e sovversiva, una verità. Lo ve di che, gratta grat ta, il comunista, anzi lo stalinista, viene fuori? E i no stri? Son conten ti. Bah… ». Napolitano omaggia Silvio In nome della stabilità del governo, ancora una volta il Paese, questa volta attraverso la sua massima istituzione, il Quirinale, risponde alla anomalia portata in politica due decenni fa dal conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, con una ennesima anomalia – accordando allo stesso Silvio Berlusconi, condannato per frode, una benevolente attenzione. Ricapitoliamo, giusto per essere certi di essere chiari in merito a una vicenda destinata a pesare sul futuro delle nostre istituzioni. Il capo del Pdl e più volte Premier, politico dunque di primissimo piano, condannato dalla Cassazione risponde a questa condanna con una gazzarra di piazza di giorni e giorni, premendo sul Presidente della Repubblica per essere “salvato” dalla sentenza, in nome della rilevanza del suo status di leader. Pretesa che dovrebbe essere seccamente respinta in quanto prova in sé della distorsione introdotta in politica da questo stesso leader – prova cioè dell’idea che esistono uomini al di sopra della giustizia, nonché delle comuni regole. La pretesa tuttavia non solo non è respinta ma è premiata: in pieno agosto, periodo in cui la attività politica nel nostro paese è morta, il Presidente della Repubblica in persona risponde. Vedremo cosa dice la risposta fra un attimo. Ma un punto di vittoria per Silvio Berlusconi è già in questo atto del Quirinale: quale cittadino infatti avrebbe avuto prova di attenzione così veloce e così diretta da un Presidente se non perché considerato un caso “speciale”? Quanto speciale sia questo caso, Napolitano lo sottolinea in molti passaggi della sua nota, addirittura spingendosi a esprimere comprensione per lo stato d’animo che agita il Pdl di fronte alla condanna: “In questo momento è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nella scia delle valutazioni già prevalse nei due precedenti gradi di giudizio; ed è comprensibile che emergano – soprattutto nell’area del Pdl – turbamento e preoccupazione per la condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo ( fatto peraltro già accaduto in un non lontano passato) e che è per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di innegabile importanza.” Ma una condanna non è il riconoscimento di una colpa, verrebbe da dire? Perché allora è “comprensibile” il turbamento? Perché, viceversa, non chiedere ai membri di quel partito di riconoscere, in accordo con la Cassazione, la colpevolezza del proprio leader? La “comprensione” del turbamento non è forse, dunque, un modo per introdurre il dubbio sulla giustezza della condanna? Le domande suscitate dal testo di Napolitano sono molte. E non sono casuali. La prima cosa da dire sulle parole del Quirinale è infatti proprio questa: il fatto che il Presidente si sia sentito in obbligo di intervenire (a prescindere dalle motivazioni) è in sé uno straordinario riconoscimento del ruolo politico che Silvio ha in questo paese. Il maggior probabilmente finora avuto dal Cavaliere. C’è poi il merito della nota. Come tutte queste scritture, è stilata in modo da poter essere tirata da una parte e dall’altra, da poter essere letta in molti modi, da poter insomma accontentare quasi tutti. La frase più importante all’inizio è un granitico “qualsiasi sentenza è definitiva”. Affermazione che onora la magistratura , accontenta gli oppositori di Silvio, ed è però scontata: poteva il Presidente della Repubblica, che è dopotutto il capo della magistratura, dire qualcosa di diverso? Ma nonostante la limpida affermazione, il Quirinale apre una porta a una modifica. Ricorda infatti di non aver ricevuto domanda di grazia, aggiungendo: “Ad ogni domanda in tal senso, tocca al Presidente della Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso — sulla base dell’istruttoria condotta dal Ministro della Giustizia — per verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.”. Nessuna meraviglia che il Pdl abbia considerato questo passaggio una sorta di promessa. È vero che la porta aperta da Napolitano non è proprio tale da soddisfare Silvio Berlusconi. Il Presidente cosiì definisce l’ambito in cui si muove: “verificare se emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale.” Un eventuale atto di clemenza riguarderebbe la pena principale, dunque la condanna al carcere, o ai domiciliari. Napolitano esclude invece qualunque intervento sulla parte più delicata per il capo politico del Pdl, cioè la interdizione dai pubblici uffici. Sul tema tuttavia la battaglia si è appena aperta, e il Pdl se la giocheraà fino in fondo. In quali modi si vedrà. Non potrà però contare sul Quirinale. A che punto ci lascia tutto questo? Lo status “particolare” che Silvio Berlusconi si è costruito nella politica del paese, facendo valere nelle nostre istituzioni tutto il peso di un conflitto di interessi mai visto prima in tali proporzioni, è stato ancora una volta riconosciuto. Ancora una volta per lui c’è un trattamento che per altri non è previsto. Napolitano non appare contento di questo strappo. Ripete di averlo fatto in nome del bene del paese, per non far cadere un governo la cui tenuta è, secondo il Presidente, l’unica assicurazione per una ripresa economica. Ma la verità e’ che questo stesso discorso, troppo spesso ripetuto, non è del tutto convincente. Scommettiamo invece che una “soluzione alle vongole” per la condanna di un leader politico è molto più dannosa per la reputazione del nostro paese della microstabilità di un fragile governo. Pena, clemenza, incandidabilità. Le strade davanti al Cavaliere LA CONDANNA LA GRAZIA LA DECADENZA L’INTERDIZIONE I SERVIZI SOCIALI IL CSM Silvio Berlusconi verso la grazia? Ecco gli ultimi due precedenti della clemenza di Giorgio Napolitano Nel caso in cui i legali del Cav chiedano al Quirinale un atto di grazia per Berlusconi, sarebbe la terza volta consecutiva, dopo i casi del colonnello statunitense Joseph Romano e del direttore de ‘Il Giornale’ Alessandro Sallusti, che la Procura generale di Milano sarà chiamata ad esprimere il suo parere, non vincolante, sull’opportunità del gesto. Il processo Mediaset nel quale Berlusconi ha riportato la condanna definitiva si è infatti svolto innanzi ai giudici di Milano, come è avvenuto per i procedimenti sul rapimento dell’iman Abu Omar nel quale è stato condannato Romano e in quello per la diffamazione ai danni di un magistrato nel quale Sallusti è stato riconosciuto colpevole in via definitiva. Se anche nell’ipotesi di una richiesta di grazia per Berlusconi la Procura milanese dovesse dire ‘no’, non si determinerebbe alcuna impasse nel cammino del provvedimento di clemenza, come dimostrano proprio le vicende di Romano e Sallusti. Nonostante ciò, Napolitano tirò dritto per la sua strada e, lo scorso cinque aprile, a pochi giorni dalla scadenza del suo primo mandato, cancellò la condanna a sette anni di reclusione (di cui tre condonati) inflitta dalla Cassazione il 19 settembre 2012 a Romano, l’unico militare coinvolto nel sequestro. A suo carico anche lo status di latitante nel processo. Un aspetto che normalmente non depone a favore della grazia. Ancora più veloce fu l’iter della commutazione di pena per Sallusti, la cui condanna da 14 mesi di reclusione si tramutò – per effetto del decreto quirinalizio firmato il 21 dicembre – in una ammenda di 15.325 euro nel giro di soli tre mesi dal passaggio in giudicato della condanna emessa dalla Suprema Corte il 26 settembre 2012. Per Romano di mesi ne passarono quasi sette. Per lui si era messa in moto anche la Casa Bianca. Ferrara: “Berlusconi non si dimetterà mai e proclamerà la sua innocenza” ”Mi farei cacciare. Proclamerei la mia innocenza, la mia condizione di vittima della giustizia, ma non mi dimetterei certo da senatore. E credo che Silvio Berlusconi non si dimetterà, battendosi fino in fondo in giunta al Senato”. Giuliano Ferrara si mette nei panni del Cavaliere in una intervista a Repubblica: ”Le sentenze si possono criticare però poi si applicano. Berlusconi deve farsi alcuni mesi di domiciliari o servizi sociali o quel che sarà. L’agibilità consisterà nella possibilità di Berlusconi di offrire un’altra immagine di leadership: lui è prigioniero di una giustizia che è riuscito a incastrarlo? Bene, ne rigetta la sostanza criticando la sentenza, ma ovviamente la subisce e la applica. Dimostrando tutta l’anomalia di questa situazione alla quale è stato costretto e da lì continuare a parlare agli italiani di tasse, di crescita, di governo: esercitare la leadership insomma. Nei limiti di un’agibilità, diciamo così, minorata”. Continua il direttore del Foglio: ”Mi farebbe piacere per lui se arrivasse la grazia perché gli sono amico, lo riterrei un atto di giustizia, di riparazione, ma non è quella la strada. E’ un’altra, lo ripeto: quella dell’espiazione pur paradossale della pena continuando a far politica, a sostenere il governo”. Di certo, secondo Giuliano Ferrara, il rifiuto di Marina Berlusconi a prendere il posto del padre alla guida del Pdl non è definitivo: ”Altrimenti non capirei certe sue interviste, la sua partecipazione al dramma paterno. Tuttavia Marina funziona se si vota a ottobre, non dopo, non tra due anni. In politica conta l’effetto sorpresa”. I tre giorni di Berlusconi: ora silenzio, devo decidere Il giorno dopo la presa di posizione di Giorgio Napo litano il Cavaliere decide di seguire la strada del silen zio. Non solo perché da Arco re non arriva alcuna replica uf ficiale allo spiraglio aperto dal Quirinale, ma pure perché la linea che Silvio Berlusconi det ta ai suoi è esattamente quella di dichiarare il meno possibi le. Il Cavaliere, questo confida in privato, ha bisogno di tem po. «Due o tre giorni di rifles sione per decidere il da farsi », spiegava ieri al telefono con un parlamentare. Già, perché se la trattativa con il Colle sul la grazia è già in fase avanzata e se pure gli avvocati Niccolò Ghedini e Franco Coppi han no iniziato a lavorare su un’eventuale richiesta la deci sione finale non è stata ancora presa. Già, perché seppure Na poli tano ha preso atto della ec cezionalità della situazione e ha riconosciuto al Cavaliere la sua leadership politica, resta aperto il problema della deca denza di Berlusconi da senato re. Non un dettaglio, non solo sotto il profilo strettamente politico e d’immagine,ma an che dal punto di vista pratico. Perché se mai Berlusconi do vesse perdere l’immunità par lamentare la sua convinzione è che «nell’arco di pochi gior ni verrebbero a bussare alla mia porta i pm di mezza Ita lia », non solo «quelli che usa no la toga per fare attività poli tica » ma pure quei magistrati che «per un titolo di giornale sono pronti a tutto ». Senza lo scudo, insomma, quello che il leader del Pdl definisce senza mezzi termini «una persecu zione giudiziaria » non avreb be più un freno. Ed è questo uno dei veri ti mori del Cavaliere. Che pur non mettendo in discussione il governo guidato da Enrico Letta («non saremo noi a farlo cadere », continua a ripetere non solo alle colombe ma pu re ai falchi più agguerriti) non nasconde che la questione po trebbe avere delle conseguen ze per la tenuta della maggio ranza. «Come si fa a stare al go verno con chi vota per farmi decadere da parlamentare? », ripete Berlusconi da giorni ai suoi interlocutori. Già, per ché gli occhi sono puntati sul la giunta per le elezioni del Se nato che si riunirà nella secon da metà di settembre. E dove sarà messo all’ordine del gior no il voto per far decadere da senatore il Cavaliere. Il M5S in particolare spinge per affretta re i tempi e il Pd lo segue a ruo ta. L’ammissione del condannato Da unto del Signore a miracolato di Napolitano? L’istinto gli dice che chiedere la grazia non sarebbe umiltà, ma umiliazione. La furbizia invece gliela suggerisce come ultima spiaggia. In questo dilemma che non è dostoevskiano ma truffaldino, Berlusconi degrada anche il nobile istituto della grazia. I suoi delitti e la sua pretesa estortiva fanno di un valore laico e religioso una merce politica, “reificata” direbbe Marx, una miseria nel mercato dei partiti, un privilegio di casta. “Ci sta pensando” dicono i suoi fedelissimi. “La chiederà”, annunzia il suo avvocato e viene subito costretto a smentire. Berlusconi infatti la vorrebbe ma solo se mascherata da quarto grado di giudizio, riparazione di un torto, come gli suggeriscono la Santanché e Verdini, Cicchito e Alfano, sia i falchi e sia le colombe che pretendono di gestire la grazia come la presidenza di un ente pubblico, le nomine in un’impresa a partecipazione statale, la direzione del Tg1, un investimento da sottoporre alla solita contabilità politica. E però il vecchio impresario di spettacolo, pur acciaccato e mal ridotto, capisce ancora benissimo che, questa volta, neppure il fracasso dei suoi giornali e delle sue tv riuscirebbe a coprire la potenza evocativa della richiesta di grazia del condannato Berlusconi Silvio all’ultimo comunista, al più longevo discendente di Amendola e Togliatti, una Canossa che farebbe il giro del mondo, un po’ come l’immagine della statua di Saddam abbattuta dalla democrazia finalmente vincente. La grazia, concessa o negata che sia, è un atto unilaterale, gratuito per sua natura, che non può essere deciso da un consiglio di amministrazione bipartisan governato da Enrico Letta e Angelino Alfano. La grazia non è una larga intesa ma al contrario un piccolo grande gesto che il capo dello Stato compie con il minimo di pubblicità possibile perché è pudore, è discrezione, è sovranità che si esprime in atti minimi, è forza che compatisce e non punisce. La grazia sostituisce alla violenza della pena l’energia della compassione. Ecco perché Berlusconi non si decide e ancora non cede a tutti i gregari che hanno comunque bisogno di un capo. Berlusconi non vuole essere il loro capo per concessione, per grazia ricevuta da Napolitano. Come si vede, chiunque la chieda al suo posto, la domanda di grazia sarebbe per lui una resa politica e un’ammissione di colpa, un riconoscimento della sentenza che, ribadita in tre gradi di giudizio, per qualsiasi altro italiano è la più basilare ovvietà dello Stato di diritto. E invece Berlusconi la denunzia come un ciclopico complotto della magistratura. E dunque non può chiedere la grazia al capo di quella magistratura. E va da sé che non chiedere la grazia non significa essere innocenti, ma solo non riconoscere il codice che ti ha condannato. Berlusconi non lo riconosce, lo combatte, lo considera una variante della battaglia politica, una continuazione della politica con altri mezzi. Perciò sfugge a Gianni Letta, si dispera al telefono con Cicchitto, raffredda le divampanti spavalderie del Giornale e di Libero, si rimpicciolisce nell’angolo davanti agli incitamenti di Giuliano Ferrara e alle tenere pressioni della famiglia. Non perché è uno statista ma perché al contrario l’ha combinata così grossa che non ne esce neppure con la grazia, che anzi gli suona come un’altra disgrazia. D’altra parte, in Italia c’è una folla di colpevoli che ogni giorno chiede e non ottiene la grazia. Tra loro ci sono delinquenti meno delinquenti di Berlusconi e altri che lo sono di più, ma che stanno davvero in galera. Solo i giornali della casa si comportano come se Berlusconi stesse per essere rinchiuso ad Alcatraz, come se non fosse stato condannato per un’accertata frode allo Stato, come se non avesse davanti i domiciliari ad Arcore o l’assegnazione ai servizi sociali, come se non gli fosse stata assicurata anche l’agibilità politica mentre sconterà la pena, come se fosse il conte di Montecristo, ingiustamente e vilmente segregato tra i topi, a contatto diretto col bugliolo e i fetori, le cimici, i pidocchi, la barba lunga e il cerone che cola sul lifting disfatto. C’è, infine, nella sua tormentata indecisione, nel suo tentennare tra “la chiedo” e “non la chiedo” l’essenza stessa del berlusconismo, la natura profonda di Silvio Berlusconi che non può neppure immaginare di non ottenere quel che chiede, abituato com’è ad avere e a comprare tutto, anche le donne, il consenso e l’obbedienza. Berlusconi si trova per la prima volta nella condizione di subire un rifiuto. Non c’è infatti nessun Gianni Letta e nessuna responsabile politica delle larghe intese che possa garantirgli il favore di Napolitano. Anzi, se possiamo azzardare una previsione è molto probabile che Napolitano non ceda, neppure per stanchezza. E certo non per paura dei soliti esagitati che già lo destinano all’impeachment. La verità è che Berlusconi vuole la grazia prima ancora di chiederla, a garanzia della stabilità politica. Vuole vincere la partita prima di giocarla. Vuole, come al solito, comprare il risultato. E più si muove Gianni Letta con la sua felpata agitazione meno probabilità ci sono di ottenere una grazia che diventerebbe non solo la vittoria del ricatto ma anche il trionfo del peggiore politichese di corridoio, di una improponibile diplomazia dell’impunità che più lavora nell’ombra più toglie grazia all’istituto della grazia. E sarebbe anche il premio ai giornalisti della casa che si esibiscono in esegesi dottrinaria cavillando come esperti di retorica forense sulla giurisprudenza delle prerogative del capo dello Stato e intanto incitano alle passioni di piazza e alle fiamme dell’anima per difendere non il Dreyfus italiano ma la frode fiscale. E segnerebbe ancora la rinascita dei giustizialisti a quattro un soldo, quelli appunto che minacciano preventivamente il capo dello Stato, il giustizialismo demagogico che sogna la grazia a Berlusconi più di Berlusconi stesso. Rimane la sofferenza che Berlusconi sta esibendo, quella sua maschera di vecchio tormentato, curvo e appesantito dal tempo e dagli stravizi. Ebbene quel suo corpo dolente che chiede grazia da un parte ti chiama alla pietà e dall’altra ti indurisce. Più vorresti aiutarlo, più ti incupisce e ti inquieta perché nella sua decadenza fisica c’è tutta la pessima esperienza dell’illegalità al potere, lo sbrindellamento dello Stato degli ultimi venti anni. La partita di Berlusconi Tutti a cercare di capire quale sarà la prossi ma mossa. Berlusconi chiederà o no la grazia? Il Pdl farà o no cadere il governo? Il Pd romperà l’alleanza votando per la de cadenza da senatore dell’ex premier? E poi la gara a interpretare il messaggio di ieri di Napolitano: ha chiuso a Berlusconi, no ha aperto e via dicendo. Do mande legittime ma al momento senza risposta. Troppo delicata la situazione, troppo alta la posta perché i giocatori lascino anche solo intuire la ma no. Più che altro prendono tempo, facendo girare sul tavolo carte tutto sommato inutili, nell’attesa di pescare il jolly che a questo punto può arrivare solo grazie ad un errore dell’avversario. Non sarà una partita lunga, questione di settima ne per via delle scadenze giuridiche e parlamentari della sentenza. Saranno giorni intensi, ricchi di in contri e trabocchetti politici e mediatici. Mi è capita to di vedere in queste ore Silvio Berlusconi per gli au guri di Ferragosto e posso assicurare una cosa. Non mi è parso né smarrito né impaurito. Anzi, dà l’im pressione di un uomo sì offeso per l’ingiustizia subi ta, ma molto deciso a non farsi travolgere. Credo che abbia le idee chiare sul da farsi e che al momen to le tenga rigorosamente per sé. A sensazione mi sento di escludere che tra queste ci sia quella di an dare a piagnucolare sotto il Quirinale con il cappel lo in mano. Se grazia sarà, i motivi pietistici dovran no rimanere fuori. Quello che il presidente della Re pubblica potrebbe e dovrebbe fare è ripristinare una situazione di giustizia e democrazia. Il resto po co interessa perché in ogni caso il popolo dei mode rati liberali non rimarrà orfano. Sono convinto che Silvio Berlusconi, qualsiasi sarà la sua agibilità fisi ca e politica, continuerà a essere il leader politico di oltre dieci milioni di italiani. Non a caso tra pochi giorni rinascerà ufficialmente Forza Italia, segno evidente che l’avventura è tutt’altro che al capoli nea come già ci vogliono fare credere la sinistra e i suoi giornali.E scommetto un’altra cosa. Che nel fu turo di Forza Italia non ci sarà alcun tipo di larghe in tese o di compromessi al ribasso. Vuoi vedere che ancora una volta la macchinazione messa in piedi dalla loggia sinistra-magistratura si rivelerà un boo merang per gli sciagurati autori? Ps: oggi, Ferragosto, come tutti i giornali ci pren diamo una giornata di riposo. Torneremo in edicola sabato. Non mancate. Un grosso augurio di buone e serene vacanze da parte di tutti noi de Il Giornale. Ecco come MD ha impedito ogni riforma Coincidenze. Un ministro della Giu stizia, Clemente Mastella, nella te naglia della magistratura: estate 2007,l’Anm,a trazione Magistratura demo cratica, minaccia scioperi se la riforma del la giustizia, ormai in dirittura d’arrivo, non seguirà le indicazioni del partito dei giudi ci; dall’altra parte lo stesso Mastella,conti nuamente al telefono con pm e giudici del l’Anm, è indagato a Catanzaro nell’inchie sta Why Not. Domanda: si può scrivere un testo così importante sotto la doppia pressione del partito dei giudici e di un’inchiesta? Ma questo è lo stato dell’arte su un crinale deci sivo nei rapporti fra politica e magistratura e più in generale per la definizione del ruo lo della magistratura in Italia. La sfida è de cisiva: in quei giorni convulsi di luglio Ma stella viene bombardato dall’Anm, il cui se gretario è Nello Rossi di Md, perché siano recepite le direttive delle toghe. Ma con temporaneamente si svolge una gara con tro il tempo perché il fallimento di Mastella farebbe scattare inesorabilmente la prece dente riforma Castelli, che per l’Anm è fu mo negli occhi. Roberto Castelli, Guardasi gilli del governo Berlusconi, ha partorito un’ambiziosissima legge che prevede, ad dirittura, la mitica separazione delle carrie re. O meglio, prevedeva perché i dubbi e qualcosa in più dei dubbi dei centristi han no finito con l’annacquare lo spirito della norma. La separazione delle carriere, di cui si parla a vuoto da una ventina d’anni,è rimasta in un cassetto, perché per portarla in porto sarebbe stato necessario passare per la cruna dell’ago di una nuova legge co stituzionale, figurarsi, ma Castelli ha tenu to duro. E ha licenziato un testo che, in sin tesi, colloca i pm da una parte e i giudici dal l’altra. È la separazione non delle carriere ma delle funzioni, il massimo che si può fa re in Italia, fra debolezze della politica e proteste dei giudici. Il conto alla rovescia va avanti in quelle settimane: Mastella è bersagliato dai vertici dell’Anm e, con il premier Romano Prodi, è sotto inchiesta a Catanzaro dove Luigi De Magistris si avvale dell’opera di un con sulente discusso, Gioacchi no Genchi. Mastella a fine mese porta a casa le norme che disinnescheranno quelle targate Castelli. La controriforma Castelli,come l’hanno bollata i signori del l’Anm. Telefonate tra Esposito Jr e lo 007 in prigione Antonio Esposito replica al Giornale e dice che il bonifico ricevuto dall’Ispi a titolo di «compenso direzione centro di consulenza Sapri » aveva come reale beneficiario non lui ma la moglie, Maria Giffoni. «La som ma di 974,56 euro, indicata nel l’articolo – spiega in una nota rappresenta il compenso netto per prestazioni effettuate da mia moglie, consulente psico pedagogica, quale direttore del Centro Ispi di consulenza alle famiglie di disabili », e «il relati vo bonifico è stato accreditato sul conto corrente di mia mo glie, conto cointestato ad en trambi e sul quale confluisco no i redditi di ciascuno ». Alla no ta Esp osito allega un documen to redatto ieri da un commercia lista che attesta la riferibilità di quella somma alla Giffoni, «le gale rappresentante dell’Ispi », e un prospetto contabile dal quale si desume che il compen so è relativo alla direzione del centro e ad altre attività, tra cui l’organizzazione della manife stazione di apertura del centro. Il giudice, intanto, ha chiesto al Csm l’apertura di una «prati ca a tutela » contro «gli attacchi subiti in queste settimane ». Il Consiglio superiore dovrà dun que occuparsi del magistrato sia per valutare eventuali puni zioni per l’intervista al Mattino in cui commentava la sentenza di condanna a carico di Berlu sconi sia della sua difesa dagli asseriti «attacchi » della stam pa. E proprio ieri il Sole24Ore ha rispolverato le carte dell’in chiesta sul prefetto Franco La Motta, arrestato a giugno scor so per aver sottratto soldi dal fondo edifici di culto del Vimi nale, ricordando un tentativo del prefetto di ottenere un ap puntamento col giudice Esposi to tramite il figlio magistrato. L’Espresso: “Eredità offshore e villa alle Bermuda per Marina Berlusconi” Un patrimonio nei paradisi fiscali ‘confezionato’ per lei dall’avvocato Mills su cui far convergere il ‘nero’ di Mediaset. Questa la rivelazione dell’Espresso su Marina Berlusconi, promogenita di Silvio, delfino designato delle aziende di famiglia e – pur rinunciataria – del partito del Cavaliere. Le società e i conti, compresa una villa alle Bermuda – scrive il settimanale – sarebbero state intestate a Marina il 14 dicembre del 1990. E’ il giorno prima delle seconde nozze di Berlusconi con Veronica Lario, e il ‘pacchetto’ serve a evitare problemi di successione tra i figli e la seconda moglie. Ecco allora che l’avvocato David Mills – non a caso le carte sono emerse con il processo Mediaset – crea due “trust” per Marina e Piersilvio. Così lo stesso Mills descriveva la cosa nel 2004: “Lo scopo era destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio: mi si chiedeva di costruire due veicoli societari per i diritti televisivi e destinare i profitti a Marina e Piersilvio. E si voleva che questa struttura rimanesse riservata”. Il trust della primogenita si chiama ‘Muesta’ e sull’atto costitutivo c’è la firma della stessa Marina. Ma per la procura di Milano – che ha chiesto l’archiviazione della donna nel procedimento Mediaset – a gestire i soldi è sempre stato il padre. Solo il vero proprietario del denaro, argomenta del resto l’Espresso, poteva destinarne una parte a Marina e Piersilvio. La stessa Marina, scrive ancora il settimanale, avrebbe poi almeno una società offshore. Si chiama Bridgestone Properties Limited. Ai magistrati che gli chiedono conto della società Mills ammette nel 2003: “Bridgestone Limited è la società che aveva acquistato la villa di Silvio Berlusconi alle Bermuda e un’imbarcazione. So che la società apparteneva a Marina Berlusconi. E ne ho avuto conferma quando ho consegnato le carte di Bridgestone all’avvocato Maurizio Cohen di Montecarlo, che mi disse che le avrebbe consegnate a Marina Berlusconi ». Nel 2004 Maurizio Cohen conferma tutto: “Ricordo di aver ricevuto nel 1999 o 2000, mi sembra dall’avvocato Mills, il dossier concernente la proprietà Blue Horizons (il nome della villa, ndr)”. A chi appartiene la villa? “Marina Berlusconi ha il godimento esclusivo della proprietà e lei stessa mi ha indicato che è registrata come proprietaria nei registri fondiari delle Bermuda. Mi ha detto che ne è diventata proprietaria per donazione ». Letto 5308 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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