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ARTE: Cubismo: I MAESTRI: Jacques Rivière #6/8

4 Luglio 2009

Tendenze attuali nella pittura 1912

[da Edward F. Fry: “Cubismo”, Mazzotta, 1967]

Penso ci si debba guardare dall’interpretare in modo errato il disagio e le convinzioni titubanti mostrate dai cubisti. Non vedo ciò come una prova che la loro vocazione sia arbitraria, e neppure ne traggo la con ­clusione che i loro tormenti interiori siano tutti inutili. Al contrario la perplessità mi fa credere che nella loro impresa vi sia qualcosa di più grande di loro stessi, una grandiosa necessità nell’evoluzione della pit ­tura che tutto sovrasta, una verità più grande di quanto possano vedere a prima vista. Essi sono i precursori – goffi come tutti i precursori – di una nuova arte che d’ora innanzi è inevitabile… La mia intenzione è di fornire ai cubisti una libertà e una sicurezza ancora maggiori, mostrando loro le ragioni profonde di ciò che stan ­no facendo. In verità ciò non sarà possibile senza mostrar loro quanto malamente abbiano agito sinora.

I.   LE NECESSITí€ ATTUALI DELLA PITTURA

… Il vero scopo della pittura è rappresentare gli oggetti come sono realmente; cioè in modo differente da come noi li vediamo. La pittura tende sempre a darcene l’essenza sensibile, la loro presenza; per que ­sto l’immagine pittorica non è simile all’apparenza delle cose…
Tentiamo ora di determinare più precisamente quale genere di trasfor ­mazioni il pittore debba imporre agli oggetti come egli li vede per espri ­merli come essi sono. Queste trasformazioni sono positive e negative: il pittore deve eliminare la luce e la prospettiva, e le deve sostituire con altri e più autentici valori plastici.

Perché deve essere eliminata la luce

La luce è il segno di un istante particolare… Se perciò l’immagine plastica deve rivelare l’essenza e la permanenza degli esseri, deve es ­sere libera dagli effetti di luce…
La luce non è solo un’impronta superficiale; ha l’effetto di alterare pro ­fondamente le forme stesse… Si può quindi dire che la luce impedisce alle cose di apparire come sono… Contrariamente a quanto di solito si pensa, la vista è un senso dinamico: noi dobbiamo combinare molte delle sue percezioni prima di poter conoscere bene un singolo oggetto. Ma l’immagine dipinta è fissa…

Che cosa si deve mettere al posto della luce

II pittore cubista ha rinunciato alla illuminazione – cioè alla direzione della luce – ma non alla luce stessa… È sufficiente per lui sostituire una distribuzione violenta e parziale di luci e ombre con una più sot ­tile ed eguale distribuzione; gli basta dividere tra tutte le superfici l’ombra che prima si accumulava solo su alcune; assegnerà a ciascu ­na parte la minima porzione di ombreggiatura collocandola contro il margine più vicino di qualche altra superficie illuminata, per sottoli ­neare la rispettiva inclinazione e divergenza delle parti dell’oggetto. In questo modo il pittore potrà modellare l’oggetto senza aver fatto ri ­corso a contrasti, semplicemente per mezzo di punte massime e di gradazioni. Questo procedimento avrà il vantaggio di sottolineare non solo la separazione ma anche l’unione dei piani; invece di una succes ­sione di vertici illuminati e di nere cavità, vedremo declivi che si so ­stengono l’un l’altro in affettuosa solidarietà. Poiché essi saranno sia separati, sia uniti, saranno nel medesimo tempo soddisfatte le esigen ­ze di molteplicità e di unità.
In breve, il pittore invece di mostrare l’oggetto come lo vede – cioè smembrato in superfici chiare e scure – lo costruirà come è – cioè nella forma di un volume geometrico, libero da effetti di luce. Al po ­sto del suo rilievo, egli renderà il suo volume.

Perché si deve eliminare la prospettiva

La prospettiva è un elemento accidentale quanto la luce. Sta ad in ­dicare non un particolare momento nel tempo, bensì una particolare posizione nello spazio. Indica non la posizione degli oggetti, ma la posizione di uno spettatore… Perciò, in ultima analisi, la prospettiva in ­dica anche un istante, quello in cui una certa persona si trova in un certo punto.
Ciò che più importa è che la prospettiva, come la luce, altera gli og ­getti, dissimula la loro vera forma. In effetti, essa è una legge dell’ot ­tica, cioè una legge fisica…
Senza dubbio la realtà ci mostra gli oggetti mutilati in questo modo. Ma nella realtà noi possiamo mutare posizione: un passo a destra e un passo a sinistra completano la nostra visione. La conoscenza che noi abbiamo di un oggetto è il risultato, come abbiamo detto prima, di una complessa somma di percezioni. L’immagine plastica non si muove: deve essere completa alla prima occhiata; perciò deve rinun ­ciare alla prospettiva.

Che cosa si deve mettere al posto della prospettiva

L’eliminazione della prospettiva conduce ovviamente a questa sem ­plice regola: l’oggetto deve essere sempre presentato dall’angolo più rivelatore…
Talvolta l’oggetto può anche comportare più di un punto di vista: tal ­volta ci si mostrerà come è impossibile per noi vederlo, con un aspet ­to in più che non avremmo mai scoperto neppure se ci fossimo sof ­fermati più a lungo…
Un oggetto può essere rappresentato in un modo completo e perfetto da una sola delle sue parti, purché quella parte sia il punto di incon ­tro di tutte le altre… Se si osserva una casa nel punto in cui si incon ­trano due piani del tetto e due pareti, la conoscenza risulta molto più completa che se si guarda solamente l’intera facciata. La prospettiva non è l’unico modo di esprimere la profondità e forse neppure il migliore. La prospettiva in se stessa non esprime la profondità, direttamente ed esplicitamente; può solo suggerirla con pro ­fili di contorno…
Fortunatamente la profondità non è puro vuoto; le si può conferire una certa consistenza, dal momento che anch’essa è riempita proprio dal ­l’aria. Il pittore potrà perciò esprimerla diversamente che con la pro ­spettiva, dandole una consistenza; non suggerendola, bensì dipingen ­dola come se fosse una cosa materiale. A questo fine egli trasformerà tutti i margini dell’oggetto in punti di partenza per moderati piani di ombra che retrocederanno verso gli oggetti più distanti. Dove un og ­getto sta di fronte ad altri, ciò sarà indicato dalle frange di ombra con cui sarà delimitato il suo contorno; la sua forma si distaccherà dalle altre non come un semplice profilo su uno schermo, ma perché i tratti che la delimitano saranno bordati e perché le ombre fluiranno da essi verso lo sfondo, come le acque di un fiume cadono regolarmente da una diga. La profondità diverrà visibile come un attenuato ma distinto retrocedere degli oggetti; difficilmente potranno sembrare sullo stesso piano, poiché tra loro si insinuerà uno stacco ed una separazione pro ­dotti da questi piccoli declivi oscuri. Gli oggetti risulteranno distinti gli uni dagli altri senza bisogno di alterare la loro apparenza reale, semplicemente e solamente con la presenza sensibile, tra le loro im ­magini, degli intervalli che li separano in natura. Realizzandosi in om ­bre, lo spazio, che mantiene in natura gli oggetti separati, continuerà a fare altrettanto anche nel dipinto.
Questo procedimento avrà nei confronti della prospettiva il vantaggio di sottolineare sia la connessione, sia la divisione esistente tra gli og ­getti; infatti i piani che li mantengono separati, formeranno anche un elemento di passaggio. Nel medesimo tempo questi piani respingeran ­no e riavvicineranno gli oggetti più distanti.

II. GLI ERRORI DEI CUBISTI

Malgrado le apparenze, la pittura non è ancora uscita dall’impressio ­nismo. È impressionista tutta l’arte che tende a rappresentare, invece delle cose in sé, la percezione che noi abbiamo di esse; invece della realtà, l’immagine attraverso cui noi la conosciamo; invece dell’ogget ­to, l’intermediario che ci mette in relazione con esso… i cubisti sono destinati a raccogliere la maggior parte della lezione di Cézanne; essi si stanno avviando a rendere alla pittura il suo vero sco ­po, che è di riprodurre, con rigore e con fedeltà, gli oggetti come sono…

Primo errore dei cubisti

È vero che il pittore deve sempre mostrare di un oggetto parti suffi ­cienti a suggerirne il volume: da ciò i cubisti concludono di dover mostrare tutte le sue parti. È vero che talvolta si rende necessario ag ­giungere alle parti visibili un’altra che non si potrebbe vedere se non mutando leggermente il punto di osservazione: da ciò essi concludono che è necessario aggiungere tutte le parti che si potrebbero vedere muovendosi intorno all’oggetto e guardandolo sopra e sotto. Non è necessario dimostrare l’assurdità di simili conclusioni. Notiamo sem ­plicemente che il procedimento, come è stato interpretato dai cubisti, perviene a un risultato che è l’opposto dei suoi propositi iniziali. Se il pittore talvolta mostra di un oggetto più parti di quante si potrebbero realmente vedere in una sola volta, ciò avviene per renderne il volu ­me. Ma ogni volume è chiuso e comporta l’unione dei piani tra loro; consiste in un certo rapporto tra tutte le parti e un centro. Ponendo tutte le parti di un oggetto l’una accanto all’altra, i cubisti gli danno l’aspetto di un foglio dispiegato e ne distruggono il volume…

Secondo errore dei cubisti

È vero che la luce e la prospettiva, le quali tendono a subordinare le parti agli oggetti e gli oggetti al dipinto, devono essere eliminate: da ciò i cubisti concludono che si deve rinunciare a qualsiasi subordina ­zione… Essi credono che eliminare la prospettiva e la luce significhi sacrificare cose secondarie; prendono queste due idee come equiva ­lenti, intercambiabili. In questo modo si condannano ancora a non po ­ter selezionare mai niente dalla realtà; e dal momento che non vi può essere subordinazione alcuna senza selezione, gli elementi nei loro di ­pinti ricadono nell’anarchia e formano una spiacevole cacofonia che provoca l’ilarità.

Terzo e forse ultimo errore dei cubisti

È vero che la profondità deve essere espressa in termini genuinamen ­te plastici – presupponendo che abbia una sua propria consistenza -: da ciò i cubisti concludono che la profondità deve essere rappresen ­tata altrettanto solidamente che gli oggetti stessi e con gli stessi mezzi.  

Ad ogni oggetto essi aggiungono la distanza che lo separa dagli og ­getti circostanti, sotto forma di piani resistenti quanto il piano dell’og ­getto; in questo modo mostrano l’oggetto prolungato in tutte le dire ­zioni e armato di incomprensibili appendici simili a pinne. Gli inter ­valli che dividono le forme – tutte le parti vuote del dipinto, tutti i punti occupati solo dall’aria -, si riempiono di un sistema di mura e di fortificazioni. Questi sono oggetti nuovi, completamente immaginar!, che si frappongono tra loro come per incastrarsi strettamente. Anche qui il procedimento diviene inutile e automaticamente annulla gli effetti che vorrebbe produrre. Lo scopo del lavoro del pittore per esprimere la profondità è solo quello di distinguere gli oggetti l’uno dall’altro, di sottolineare la loro indipendenza nella terza dimensione. Ma se egli da a ciò che separa gli oggetti la medesima apparenza che da a ciascuno di essi, non rappresenta più la loro separazione e ten ­de, al contrario, a confonderli, a saldarli in un continuum inspiegabile. In breve, i cubisti si comportano come se si stessero parodiando. Por ­tando all’assurdità i loro princìpi appena scoperti, li privano di signi ­ficato. Annullano il volume dell’oggetto con la loro avversione a trala ­sciare qualcuno dei suoi elementi. Annullano l’integrità individuale de ­gli oggetti nel dipinto tentando di mantenerli intatti. Annullano la pro ­fondità (la cui funzione è quella di distinguere un oggetto dall’altro) tentando di rappresentarla solidamente…
È tuttavia impossibile non scorgere già nell’opera di alcuni giovani ar ­tisti una maggiore e più penetrante comprensione del cubismo. Le mie critiche sono qui dirette principalmente a Picasso, a Braque e al grup ­po formato da Metzinger, Gleizes, Delaunay, Léger, Herbin, Marcel Duchamp. Le Fauconnier, che ne era membro, sembra essersene af ­francato. Può diventare un ottimo pittore. Ma le mie migliori speranze sono rivolte da un lato principalmente a Derain e a Dufy, dall’altro a La Fresnaye, de Segonzac e Fontenay, da quando Picasso, che sembrò per un certo periodo dotato di grande genio, si smarrì in ricerche oc ­culte in cui è impossibile seguirlo. Infine lascerò da parte André Lothe, le cui opere recenti mi sembra annuncino, con ammirabile semplicità, l’avvento definitivo della nuova pittura.

« Sur les tendances actuelles de la peinture », Revue d’Europe et d’A-mérique, Parigi, 1 ° marzo 1912, pp. 384/406.  

Nel novembre del 1911 la Revue d’Europe et d’Amérique pubblicò una ap ­passionata difesa del cubismo di Joseph Granié. Questo articolo del famoso saggista e critico Jacques Rivière (1886-1925), che divenne direttore della Nouvelle Revue Franí§aise nel 1919, doveva essere secondo le intenzioni dei direttori della rivista una replica a Granié. Si tratta di uno dei più intelligenti e profondi saggi critici dell’epoca sul cubismo.
Rivière individuò immediatamente il problema della luce, che era così diffi ­cile da risolvere per i pittori cubisti. Altrettanto notevole è la disamina che Rivière fa del problema dello spazio e della prospettiva, e la sua descrizione della soluzione cubista è molto accurata. Fu praticamente l’unico a vedere la connessione tra luce e spazio in questa soluzione. Ma straordinarie sono le obbiezioni di Rivière al cubismo. Rifiutando il modo con cui i cubisti mesco ­lavano insieme gli oggetti e lo spazio in cui questi oggetti esistevano, egli inconsapevolmente indicò una caratteristica basilare dello stile posteriore al 1910; e ciò che Rivière maggiormente disapprovava, cioè la mescolanza di forme e di rapporti spaziali, non è che quella deliberata ambiguità e dua ­lismo, di cui i cubisti avevano fatto un cardine centrale della propria arte. Rivière fu uno dei pochi uomini del suo tempo ad osservare e a compren ­dere realmente il cubismo, forse l’unico che riuscì a tradurre nei suoi scritti questa acutezza di osservazione. Suona perciò molto ironico il fatto che ab ­bia scelto come più promettente tra i nuovi pittori André Lothe, che doveva in seguito diventare uno dei cubisti più accademici.

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