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ARTE: I MAESTRI: L’avanguardia del Palladio

11 Aprile 2009

di Giuseppe Caronia
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 12 giugno 1969]  

Alla metà del Quattrocento veniva ricostruito al po ­sto dei fatiscenti palazzi vetus e communis, il cui im ­pianto originario risaliva al tredicesimo secolo, il Palatium Novum Communis Vicentiae detto comunemente il Palazzo della Ragione.
Verso la fine dello stesso secolo veniva eretto attorno al nuovo edificio, progettato da Domenico da Venezia, un duplice ordine di logge (i caratteristici «pozzoli ») sul ­la cui validità estetica non si hanno sicure testimonian ­ze, mentre se ne hanno in ­vece, e inoppugnabili, sulla loro non validità statica. Nel 1494 infatti le logge crol ­lavano rovinosamente a cau ­sa di accertati difetti nella costruzione cui aveva sovrin ­teso il vicentino Tommaso Formenton.
Le vicende politiche dei primi anni del Cinquecento, la « guerra santa » contro la Serenissima, le sconfitte ve ­neziane in seguito alle quali Vicenza   fu   occupata dalle truppe imperiali di Massimi ­liano d’Absburgo, procrasti ­narono la ricostruzione, e so ­lo nel 1538 il Comunale Consiglio dei Cento cominciò a interpellare per dei pareri preventivi prima il Sansovino, poi il Serlio, il Sanmicheli e infine Giulio Roma ­no, allora in piena attività a Mantova.
Nessuno di questi illustri architetti diede risposte sod ­disfacenti e il Consiglio, sag ­giamente preoccupato tanto della ricostruzione del cen ­tro civico quanto del rispetto delle nobili preesistenze am ­bientali, decise di rivolgersi allora al trentasettenne con ­cittadino Andrea Palladio.
Il maestro vicentino aveva già compiuto il suo secondo viaggio a Roma e al contatto con artisti e letterati del ce ­nacolo di Gian Giorgio Trissino aveva assimilato il nuo ­vo linguaggio architettonico dei grandi maestri che ope ­ravano al servizio dei Papi. I suoi disegni per il palazzo Thiene, per il palazzotto Da Monte e per la villa Marcello a   Bertesina     e   molti altri, stavano a dimostrare che il modesto scalpellino di pro ­vincia era già divenuto un architetto completo anche se, impegnato in esperienze concrete, non si era ancora volto a quella speculazione teorica dalla quale dovevano più tardi scaturire i famosi Quattro libri.
Davanti all’ardito tema che gli veniva proposto dai suoi concittadini, davanti al ­le loro legittime perplessità per il problema dell’accosta ­mento del nuovo all’antico, il Palladio, sicuro dei suoi mezzi espressivi e convinto sostenitore dei «nuovi » idea ­li classici, sceglie la via più coraggiosa: presenta un pro ­getto spregiudicato e « mo ­dernissimo » nel quale con ­fluiscono i due motivi prin ­cipali che caratterizzeranno in seguito le sue opere: la marcata evidenziazione delle « classiche » membrature ar ­chitettoniche (che « recupe ­rano » i modelli romani sem ­pre presenti alla fantasia dell’artista) e la ricerca di una continuità spaziale, sot ­tilmente legata alla tradizio ­ne tardo-antica e bizantina.
Il progetto palladiano ven ­ne approvato dal Consiglio con 99 sì e appena 19 no; quella votazione, notano gli storici, « decideva della for ­tuna di Andrea Palladio e con essa dello splendore di Vicenza ».
La matrice culturale delle logge vicentine, il loro si ­gnificato urbanistico (in quan ­to generatrici di ben tre piazze) sono acutamente ana ­lizzati da Franco Barbieri nel secondo volume del Corpus Palladianum, pubblicato sotto la direzione di Rodolfo Pallucchini con un ottimo cor ­redo di fotografie e di per ­fetti rilievi realizzati da Gil ­da D’Agaro (Franco Barbieri; La Basilica Palladiana -Istituto Internazionale di stu ­di di architettura «Andrea Palladio », Vicenza, L. 15.000).
Il Barbieri sottolinea l’e ­quilibrio e il vigore plastico delle logge palladiane, ne ri ­vendica l’originalità rispetto ai modelli serliani e rispetto alla Libreria sansoviniana, comunemente invocati come precedenti; e stabilisce infi ­ne, attraverso serrate e mi ­nuziose analisi, interessanti rapporti con altre opere del ­l’antichità classica e di mae ­stri coevi.
Se si può dissentire con l’Autore circa alcune « paren ­tele », bisogna convenire con le sue conclusioni circa l’ori ­ginalità delle logge e il loro straordinario potenziale este ­tico. In realtà se la « Roton ­da », cui è stato dedicato il primo volume del pregevole Corpus in corso di pubblica ­zione, è la più famosa crea ­tura del Palladio, la Basilica vicentina può considerarsi la sua più geniale invenzione che raccoglie complesse solle ­citazioni urbanistiche, risolve in felice sintesi problemi sta ­tici e funzionali e riassume in una splendida frase archi ­tettonica uno dei più brillanti esperimenti linguistici del Manierismo.
Le logge palladiane hanno subito   nei secoli successivi molti interventi di consolida ­mento e restauro. La grande carena fu interamente ricostruita dopo le distruzioni provocate dai bombardamenti aerei dell’ultima guerra, e in quell’occasione     le     fabbriche vennero rinforzate con ossature in cemento armato. Ma la fisionomia dell’opera non ha subito sostanziali variazioni e rispecchia fedelmente il progetto del Palladio; a meno che   non   si   voglia   riaprire una vecchia polemica per l’abbassamento della Piazza dei Signori e della Piazzetta Palladio, realizzato dopo gli ultimi restauri per creare alla Basilica un breve podio di tre gradini.


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