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Assaggi della mia VIA: Anni Ottanta (9a puntata)

3 Febbraio 2008

di Enzo Ferrari
[Ha pubblicato la raccolta di poesie: “Nuvole d’estate in Liguria”, De Ferrari, 2007]

(il romanzo è in cerca di un editore)

Nella mia via ci vivo da quando sono nato.
L’acciaieria di Cornigliano continua a sfornare migliaia di tonnellate di acciaio che treni e camion si premurano di portare verso le fabbriche di Milano e Torino.
L’inquinamento è sempre elevato.

Il giorno dell’Epifania del 1980 Piersanti Mattarella, presidente della regione siciliana, è ucciso dalla mafia.
Il 12 febbraio è assassinato dalle Brigate Rosse Vittorio Bachelet, professore di diritto e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Il 28 maggio viene assassinato da Prima Linea Walter Tobagi, giornalista inviato del Corriere della Sera.
Il 2 giugno muore in un incidente automobilistico Rino Gaetano: I tuoi occhi sono pieni di sale.
Il 27 giugno precipita colpito da qualcosa un aereo DC9 dell’Itavia nei pressi dell’isola di Ustica.
Il 2 agosto una bomba esplode nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, provocando la morte di 85 persone.
Nel novembre la terra ha portato violenza alle persone e alle cose in Irpinia e in Basilicata. Più che le parole hanno valenza le immagini, specie fotografiche. La terribile sequenza di tanti episodi mi turba, non riesco a cancellarla con una semplice elemosina, mi porta dentro la misura del dolore che si sta consumando.
John Lennon è ucciso da uno squilibrato a New York.

Cominciano bene gli anni ottanta con The Blues Brothers. Due fratelli per aiutare le suore a trovare il danaro necessario a salvare il loro istituto dalla bancarotta, decidono di rimettere in piedi la vecchia band e organizzano un concerto blues. Aretha Franklin, James Brown e Ray Charles partecipano come attori cantanti. E’ l’inno della musica blues in salsa comico demenziale.

Le sfide olimpiche si ripetono anche in questi anni, con i relativi record e le previste medaglie. Nel 1980 a Mosca c’è il sabotaggio degli americani, nel 1984 a Los Angeles i paesi del blocco sovietico non ci vanno. Nel miscuglio degli eventi, nelle dichiarazioni di principio e di intenti di tutte e due le parti si manifesta la tendenza al caos continuo e all’annientamento dell’idea dell’altro. Si applaudono troppo le imprese dello sport e dell’arte per poi bruciare con il medesimo entusiasmo le loro opere come nei roghi alla Savonarola.

Nella mia via i cassonetti della spazzatura sono sempre stracolmi di qualsiasi cosa in qualsiasi ora del giorno. La visione di questa massa di rifiuti di plastica, cartone, legno, bottiglie di vetro, lattine, avanzi di mangiare ricorda un quadro fiammingo. La raccolta differenziata è una semplice dichiarazione d’intenti.

Il terrorismo ha scosso l’Italia. La fiducia della gente è messa a dura prova. Operai e piccolo borghesi resistono alle lusinghe e alle sirene dei terroristi. Tra richiami del passato e ritardi, sconfinamenti e sogni di un futuro mancato anche la mia via patisce l’espansione economica, il vuoto e la confusione crescenti. Tutti intorno le persone continuano a lottare per essere riconosciute come normali, per essere ammesse. Al tempo stesso cercano di non preoccuparsi, di non avere paura.

Nella mia via mai nessuno si è fermato a dipingere i palazzi, le auto e le persone. Nessun pittore ha mai trovato l’ispirazione. Non è mai passato nessun Cezanne, Guttuso o De Chirico pronto a tracciare su tela neppure l’immondizia. Ci starebbe bene un bel murale stile Siqueros o Rivera con un groviglio di linee rette e curve, di colori e forme, in cui descrivere la vita e il lavoro. Con giochi di luci e ombre, facce di donne e bambini e i riflessi metallici delle auto.

Il Giro d’Italia di ciclismo ha nuovamente sfiorato la mia via. Un tunnel umano che ha per volta il cielo con una tavolozza di colori che ricordano Matisse e la sua pittura: celeste chiaro, verde oliva, viola, rosso, giallo oro. I ragazzi della via nelle loro biciclette mettono un pezzo di plastica o di cartoncino fissato con una molletta nella forcella per far rumore contro i raggi della ruota.

Il negozio di ferramenta ha cominciato a fare concorrenza a quello d’elettrodomestici che si trova di fronte. Ora vende anche caffettiere, frullatori, ferri da stiro, aspiratori da tavolo e spremiagrumi.
Per le spremute d’arancia mia madre ha acquistato un piccolo robot elettrico dove una volta infilate le arance intere, esce il succo direttamente in un bicchiere di vetro. Bisogna solo ricordarsi ogni tanto di svuotare il recipiente con le mezze arance spremute. La spremuta è sempre bella fresca all’occasione. Quando al pomeriggio sto studiando me ne prepara una, senza lo zucchero e con l’aggiunta di un po’ d’acqua.

La trattoria in fondo alla via e uno dei due bar hanno cessato l’attività. Da quando hanno chiuso l’accesso pedonale allo stabilimento, gli operai non passano più di qui.
E’ rimasto il solo bar di Mario. L’altro giorno siamo andati per farci una birra tra amici. Al bancone c’era un tipo alto, imponente come un platano, con le mani grosse e ruvide come il muro. Puzzava di sudore, di tabacco e di birra. Aveva un piccolo taglio sotto l’occhio sinistro come una lacrima. I baffi arricciati come un capriccio di fumo di sigaretta. Dopo l’ennesima birra, è caduto a terra come travolto da una frana. Cercava di parlare, ma la voce non trovava la forza di uscire. Era sempre stato un uomo pieno di pretese, aggressivo, costretto ad essere predatore per non essere preda. Attaccava per non essere colpito. Era operaio specializzato. L’hanno licenziato qualche mese fa.

Nella mia via l’altra sera tardi ho incontrato un tipo molto sbronzo che ha attaccato a raccontare tutta una serie di racconti e di progetti della sua vita. Dopo un po’ mi sono accorto che parlava a qualcuno di invisibile, ma che per lui era presente e perfettamente visibile. Sono andato a casa dopo averlo ascoltato per quasi mezz’ora, lasciandolo da solo con la sua bottiglia di birra.

Francesco De Gregori canta Viva l’Italia, l’Italia che resiste, l’Italia del 12 dicembre 1969, quella di Piazza Fontana, mentre Edoardo Bennato ci diletta con Sono solo canzonette.

Al bar, che non è più di Mario, trovi solo le macchinette per i giochi. A biliardo non gioca più nessuno. Hanno tolto anche i flipper.

Ho incontrato sull’autobus Renzo, il mio ex compagno delle superiori. Ho stentato a riconoscerlo, non tanto per barba e baffi tagliati. Era in giacca e cravatta, camicia azzurra ben stirata, capelli ben pettinati, borsa da ufficio, Sole 24 ore ed altri quotidiani sotto braccio. Lavora come agente di cambio in Borsa. La parentesi contestataria si è conclusa con la fine del periodo scolastico.
Mafalda, Bristow, Linus e Charlie Brown ci hanno abbandonato.

Abbiamo avuto notizie di Paolo. Dopo Londra è approdato per lavoro e per amore a Praga. Ora vive laggiù, gestisce una piccola azienda con operatività di import export da e per l’Italia.

Gli amici degli anni settanta e dispersi con alterne fortune lavorative negli anni ottanta, si riuniscono per il funerale di un membro della loro compagnia, morto per suicidio. E’ Il grande freddo di Lawrence Kasdan.

Al bar non ci vado più. Ci sono sempre più discussioni, litigi tra gli avventori. Qualche volta chiamano anche il 113. L’altro giorno si sono scazzottati. E’ volata persino una dentiera: si è rotta in più pezzi. E’ intervenuta la polizia che ha portato via due persone per accertamenti.

Mentre a Milano va di moda la Milano da bere, con Craxi capo del governo, nella mia via non si riesce più ad avere sottomano il bar in cui scambiare opinioni, magari bevendo qualcosa. Nel bar ci si va solo per vedere la partita in TV, per un caffè, un liquore o una coca cola in piedi. Il bar non aggrega, ubriaca.

In cima alla strada staziona spesso un mendicante che chiede l’elemosina. Ha un cartello con scritto “Sono povero, cieco, devo mantenere mia familia. Ho 5 figli con fame”. Quando passi, anche se non ti vede, ti sente passare e ti chiede un’offerta. Ti ringrazia se getti una moneta nel barattolo che tiene stretto in mano. Parla a voce alta forse per far sapere a qualcuno lassù in cielo di tenere in debito conto il nostro gesto quando sarà il momento.

Dove sono il buffone, l’ubriacone, il rissoso. Dove sono la semplice, la vociona, la felice: tutti dormono sulla collina. E’ l’incipit dell’Antologia di Spoon River che parla.

Oltre il cieco sgrammaticato, spesso quando vai a fare la spesa incontri qualche ragazzino mal vestito che, con un piattino in mano, ti chiede con una certa insistenza una moneta. L’altro ieri Ludovico ad uno di loro gli ha pagato cappuccino e un panino al bar.

Nella mia via a ben vedere è difficile seguire l’evoluzione delle nuvole, nembi, cirri oppure accorgersi del cielo a pecorelle che porta l’acqua a catinelle. Lo spazio tra i palazzi non ce lo permette. Al massimo guardiamo le auto, i cartelloni pubblicitari e le vetrine rimaste, stiamo attenti ai buchi, alle cartacce, agli escrementi, alle pozzanghere, teniamo gli occhi bassi.

Franca è un’amica di mia madre che da un po’ di tempo zoppicava vistosamente, essendole gonfiata la caviglia destra. Al pronto soccorso dell’ospedale le hanno prescritto degli antibiotici per curare il rigonfiamento, che secondo loro era dovuto ad una puntura di un insetto. Dopo alcune settimane, persistendo il dolore, il medico di famiglia le ha fatto fare i raggi, constatando una lieve frattura. Ora deve curarsi anche il fegato per i troppi antibiotici ingeriti.

L’altro giorno c’erano alcuni che facevano il gioco delle tre tavolette, l’illusione del gioco che frega la gente. Giocavano con tre campanelle e una pallina. Mi ha ricordato solo vagamente il prestigiatore che al circo fa divertire. Qui c’è solo l’imbroglio. La pallina appare e scompare e non ti accorgi mai come fanno.

Ho letto Il Barone Bagge di Lernet-Holenia, La cripta dei cappuccini e La marcia di Radetzky di Joseph Roth, trovando conferma nell’idea fattami sull’epicidio dell’impero austriaco mentre ascoltavo le danze in stile viennese. Non capisco molto come possa suscitare sempre così grande interesse l’appuntamento del concerto di capodanno.

Nella mia via non ci sono alberi. Non ci sono neppure panchine per gli anziani. In alcuni negozi rimasti aperti hanno messo chi una seggiola, chi una panca. In latteria o dal macellaio trovi spesso le vecchiette sedute a chiacchierare.

Una donna anziana mi scruta con tono indagatore dietro uno spesso paio di lenti da miope, ma non pronuncia parola. Bassa di statura, capelli bianchi, giacca pesante a quadri, gonna nera di lana, borsa a tracolla consumata dall’uso. Ferma tutti gli sconosciuti per via chiedendo che fine abbia fatto il suo gatto grigio che si chiamava Simone. Nessun gatto si chiamava così. L’anziana donna è rimasta sola e spera di trovare in quel Simone perduto il filo dei propri ricordi, della propria memoria.

Nel Dizionario dei luoghi comuni, Gustave Flaubert, affascinato dalla stupidità, molla principale della storia moderna, mette alla berlina tradizioni, ignoranza e convenzioni. Ascoltando la gente ha scritto, tra le altre, le voci: Fabbrica, vicinanza pericolosa; Emigranti, si guadagnano da vivere con la chitarra; Dizionario, è fatto solo per gli ignoranti; Libro, qualunque sia è sempre troppo lungo. Chissà cosa avrebbe raccolto su cinema, mafia, fascismo e comunismo.

Leggo sul giornale dei desaparecido in Argentina. I militari al potere non contenti di arrestare e torturare gli oppositori, fanno loro fare un bel viaggio in aereo sopra l’oceano e quando sono al largo a 500 metri d’altezza, aprono gli sportelloni e li gettano in acqua. Il bacio della donna ragno di Puig è il romanzo di una piccola parte della tragedia. Tra i desaparecido c’è anche uno dei creatori del fumetto L’Eternauta, Herman Oesterheld, letto un po’ di tempo fa.
L’Eternauta racconta dell’invasione della Terra da parte di misteriosi alieni. E’ possibile vedere in questa fantasia da fumetto quello che è accaduto nella realtà in Argentina: basta sostituire gli alieni con i militari che hanno messo a ferro e fuoco l’intero paese. La nevicata che copre il paese è l’inverno della dittatura e i poteri occulti sono i militari. Ci vedo bene come sottofondo la musica di Astor Piazzola.

Nella mia via ci sono sempre tanti gatti. L’altro giorno un gattino cercava di catturare un piccolo topo che si è infilato velocemente in un tombino. Il gatto ha cercato di inseguirlo. Un topone è comparso e ha trascinato il povero gatto nel tombino.

Laura è una bella ragazza che conosco da quando eravamo bambini. E’ alta, capelli lunghi neri sciolti, veste sempre vestiti attillati che evidenziano le sue aggraziate forme. Lavora come commessa in qualche negozio a Genova. Quando passa per la via lascia una splendida scia di profumo dal sapore dolce e invitante. Sembra un’ape regina che segna con il suo passaggio un solco di bontà, che costringe chi la incrocia a seguirla con il suo stesso ritmo. E’ la nostra visione poetica. Tutti noi abbiamo aspirato ad entrare nel suo alveare, nessuno ci è mai riuscito.

Il cinema non c’è più per davvero. Dopo qualche anno di chiusura hanno aperto un supermercato. Hanno dovuto fare grandi lavori di ristrutturazione, abbattendo la galleria e livellando la discesa della platea. Ora ci vanno le massaie a comprare pasta, detersivi, conserve, formaggi e salumi.
Il supermercato dove i piccoli desideri e i sogni si trovano spesso a prezzo scontato. Mi mancano tanto gli occhi di Claudia Cardinale, le imprese eroiche di John Wayne e le facce buffe di Toto.

Al cinema non ci rinuncio. Vado lo stesso in centro città. Lì si trovano le prime visioni. Gli amici a cui piaceva tanto Il Padrino, ora vanno a vedere Rambo. Io ho visto Manhattan, L’ultimo metrò e Apocalypse Now.

Al supermercato trovi un po’ di tutto. Adesso c’è anche il banco con la frutta, quello dei latticini e dei salumi e la macelleria. C’è da ingozzarsi con tutta quella merce già preconfezionata e prezzata. Abbuffata di generi alimentari e di prodotti per la casa, stile Marcovaldo. Purtroppo non c’è più il negoziante a cui chiedere spiegazioni e suggerimenti. I commessi non hanno molto tempo da dedicare. Le donne, specie quelle più anziane, fanno in ogni caso sempre volentieri due parole con le cassiere all’uscita. Manca loro tanto la chiacchiera. Il supermercato non ha voluto mettere delle seggiole.

Vicino al supermercato staziona spesso un marocchino che vende borse, ombrelli, piccoli giocattoli, magliette o calze da ginnastica a seconda delle stagioni. Veste sempre lo stesso paio di pantaloni, una maglietta, una giacca a vento in inverno e indossa il solito paio di scarpe di un colore non più decifrabile, tanto sono consumate. Mia madre gli ha comperato una borsa Louis Vitton che usa per la spesa. Un tocco di classe nella quotidianità.

I bambini della via amano molto i cani. Per i loro compleanni o per Natale si fanno regalare dei simpatici cuccioli, che vanno poi accompagnati il giorno e la sera a fare i loro giusti bisogni per strada. La via offre i suoi marciapiedi come luogo di ritrovo e di divertimento per gli amati animali. I genitori dei bimbi comperano al supermercato tanto bel mangiare di pronto uso, con le corrette proteine e vitamine.

Nella mia via al posto del negozio di dischi hanno aperto una manicure. Un cartello stabilisce che si riceve solo su appuntamento. Delle tendine bianche nascondono l’interno del locale, da dove non esce più nessuna musica.

La fauna in questi ultimi tempi si è arricchita dei piccioni che con il loro proliferare hanno invaso, sporcando di guano, cornicioni, poggioli e persino alcune finestre. I topi volanti oltre che per aria, naturalmente, si trovano affaccendati anche su e dentro i cassonetti della spazzatura.

Nella mia via non ho più trovato Ulisse, il mio eroe preferito. Ho scoperto Frigidaire, Cuore, Corto Maltese e Zanardi. Sono forse la risposta che mancava con queste nuove storie d’avventura.
Corto Maltese è un gran romantico, rispettoso della giustizia, della verità e dell’amicizia. Non è quasi mai il protagonista principale delle avventure, alla fine riesce a restare nell’ombra, non vuole rubare la scena ai veri protagonisti della Storia.
Zanardi è lo studente ribelle, violento, autodistruttivo creato dalla fantasia di Andrea Pazienza. La comunicazione creativa di Zanardi e di Penthothal affrontano con gioia e molta malinconia la Bologna del movimento studentesco del 1977. Non ci sono più i salami e i mezzi cavalli di Jacovitti, la specie si è evoluta. Non bastano più le parole di Marcuse, di Sartre, di Giorgio Gaber o di Jannacci.

La signora Lina è sempre dietro i vetri della finestra di casa sua. Se ti metti dal suo punto di vista il mondo appare sempre più effimero, il buio la accompagna, ogni immagine sembra uscire senza poi riuscire a tornare indietro. Tutto sommato è una vita mediocre. Eppure proprio perché mediocre mi pare opportuno raccontarla. E’ ben intessuta con i sentimenti e i fatti delle persone al di là del vetro.


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Bart