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CINEMA: Dal cinema al racconto: La solita storia

8 Gennaio 2008

 Una sceneggiatura di Dalton Trumbo durante gli anni del maccartismo (1959).

di Marco Ercolani

[Marco Ercolani, nato a Genova nel 1954, è psichiatra e scrittore. Tra i suoi libri: Col favore delle tenebre, Vite dettate, Lezioni di eresia, Il mese dopo l’ultimo, Carte false, Il demone accanto, Taala e Il tempo di Perseo. È autore di Fuoricanto, una raccolta di saggi critici su alcuni poeti contemporanei. In coppia con Lucetta Frisa ha scritto Nodi del cuore e Anime strane e cura la collana «I libri dell’Arca » per le edizioni Joker.]

Si tratta di un noir, signor Baker. Chiaroscuri, strade piovose, ombre e luci.

Musica di sax. Karl Stevens, trentasei anni, avvocato di successo. Thelma Winter, sua moglie, ventotto anni, Stéphanie, otto anni, l’unica figlia.
Sono minacciati da un uomo, uno straniero, un tipo piccolo, senza segni particolari. L’appostamento è metodico. I soliti piccoli segni. Rumori notturni, scritte ambigue, orme minacciose, incidenti fortuiti. Un crescendo thriller. I particolari sono tutti nella sceneggiatura. Vede, signor Baker, io sono Dalton Trumbo. L’avvocato cerca di ricordare se qualche nemico voglia la sua morte. La polizia è impotente, perché non è accaduto ancora nulla. La moglie è violentata in un metrò deserto da un teppista con la faccia mascherata. La bimba, investita da un’auto pirata, entra in coma. Stevens rischia di impazzire. Poi il plot si chiarisce: nella scena iniziale del film, prima dei titoli di testa, due uomini, uno magro e uno tarchiato, lottano e si uccidono in un parco. Dalla mano del magro scivola un microfilm: Stéphanie gioca da quelle parti, si avvicina ai due cadaveri, mette il microfilm nella gonna della sua bambola e corre via, senza paura: naturalmente lì ci sono documenti segretissimi (guerra, spionaggio, criminalità, eccetera). Ultimo incontro fra Stevens e lo straniero. Lotta finale (si può scegliere un deserto, una palude, una città vuota). Mentre i due antagonisti lottano, la bambola, dimenticata fortuitamente in casa di un compagno di giochi, viene riportata dal bambino al capezzale di Stéphanie, che sta uscendo dal coma.   Cosa ne dice, Baker? E’ un noir forte. Come protagonista, vedrei Henry Fonda. Antagonista, Robert Mitchum o Robert Ryan. Come regista, non saprei. Siodmak è sotto contratto RKO?

***

Ecco, signor Morris. Entrerò subito in argomento, non le farò perdere troppo tempo. Si tratta di un film noir. Chiaroscuri. Strade bagnate di pioggia. La musica del sax, a sottolineare le scene principali. Un uomo, Karl Stevens, avvocato, marito di Thelma e padre di Stéphanie, subisce la persecuzione di uno sconosciuto. I soliti segni. Macchie di sangue, messaggi, minacce, incidenti. Karl è turbato. Perde la ragione. La polizia non può fare nulla. Stéphanie, investita da un’auto-pirata, va in coma. Poi il plot si chiarisce. La bambola nel parco, il microfilm, il compagno di giochi. Lotta finale nel cemento. O in una stazione. O dentro il metrò, fra le urla della folla. Musiche in crescendo. Cosa ne pensa, caro Morris? Sarebbe un noir d’annata. Richard Widmark come antagonista, Victor Mature come eroe…                                                            

***

Le stavo dicendo, Webster… Un film noir. La sceneggiatura è pronta da settimane. Un protagonista, un antagonista. Come ne Il bacio della morte. Bene e male, virtù e peccato. Il sax, gli incidenti, un’atmosfera da mistero, da racconto «gotico ». Laird Cregar come vilain. Alan Ladd come protagonista. Che le sembra? Non sa cosa significhi «gotico »? Beh, non ha nessuna importanza. Lo script è qui, in tre copie. Posso passare da lei domani pomeriggio. Non ha tempo? Allora un altro giorno. Dica lei, quando vuole… Non le interessa la storia? Sì, lo so, l’ultima sceneggiatura è stata un fallimento, capisco… ma il regista era un idiota… Non vorrei insistere ma, con qualche ritocco… Io sarei disposto, tagliando due, tre scene… Sì, signor Webster. D’accordo. Niente da fare. Buona notte.

***

È lei, signor Walter? Mi scusi, faccio fatica a parlare. Da qualche giorno mi seguono. Sento passi ovunque. Sono esausto. Ecco la sceneggiatura di un film noir. Karl, Thelma, Stéphanie. Un uomo, il suo nemico. Antagonismo, tipo L’urlo della città. Avvocato, quarant’anni. Il misterioso straniero. Un caso di paranoia? No. Poi si scopre tutto. Il plot si risolve.   (Siamo soli qui dentro? Perché non chiude la finestra?) Sono idee eccellenti, queste, non le trova mica sul mercato, quegli stronzi sono pronti a sfornare commediole per Bob Hope o Lucille Ball. Cosa dice? La trama è confusa, improbabile? Lei vaneggia. Nessun altro scrive roba simile a Hollywood. Solo io. Che cosa? Dovrei bere di meno? Ma che cazzo dice? Mi aiuti, piuttosto. Qualcuno mi sta seguendo. Anche adesso, forse, ci ascolta… Signor Walter, perché tanta fretta? Qualcuno le ha detto di mandarmi al diavolo, non è vero? Chi le ha ordinato di sbattermi la porta in faccia? Dica la verità, brutto stronzo!

***

Signor Herbert, no, non sono ubriaco… La storia le è piaciuta? Non ci ha capito niente, vero? Che coglione! Ma non ricorda? Stevens, Stéphanie, lo straniero, gli agguati. Ma perché mi fa ripetere tutto? Che testa di cazzo! Eppure, sarebbe un film eccezionale, un noir d’annata, un successo da ricordare per la Republic: non stanno forse fallendo, le sue produzioni di serie Z? Un momento: anche ora lui mi ascolta. Mi ha seguito tutto il giorno. Maledetto. L’ho sentita, la sua voce. È qui, nella sua stanza. È qui con noi, maledetto. Mi ha appena chiamato Karl. Lo ha invitato lei, gran figlio di puttana? Vuole proprio che io perda la ragione?

***

Devo fare una denuncia. Dovete ascoltarmi. Ehi, ascoltatemi! Voltatevi quando vi parlo! Sono o non sono al quarto Distretto di Polizia di Los Angeles? Dovete sentirmi, lo vogliate o no. Aprite le orecchie. Io sono un celebre avvocato. Un uomo mi sta minacciando di morte. Mi segue notte e giorno. Non mi dà tregua. Mi chiama con un nome non mio: Dalton Trumbo. Vuole che impazzisca, vuole assassinarmi. Dovete difendermi. Ci sono bambine innocenti che vivono in questo quartiere. L’uomo è un maniaco. Non mi stupirei se vi arrivasse, da un momento all’altro, la sua telefonata. Fa’ sempre così quando ha appena compiuto un delitto. Telefona alla polizia. Minaccia che non sarà l’ultimo. E dice la verità, signori: se non lo fermate, ucciderà ancora. Io ho una moglie e una figlia. Non mi stupirei se… Ma mi state ascoltando? Ehi, bastardi, mi state ascoltando?

***

Come vuole lei, dottor Parker. Solo alcuni dettagli. Bene. D’accordo. Finalmente posso descrivere il mio film: lei è un uomo intelligente. Prima scena: un uomo, raggiunto da una scarica di colpi partita da un’auto della polizia, si accascia. «Finalmente! – sibila un policemen – Lo cercavamo da ventiquattrore ». Resta come morto per qualche secondo. Poi, quando i poliziotti si allontanano, si rialza. Io, che spiavo da un portone, ricomincio a scappare. Lentamente, lui riprende a seguirmi. Stanco di settimane di fuga, lo aspetto. Non resisto più. La paura mi è sparita dal cuore. Gli pianto un coltello in corpo. Urla, si accascia. Ma, nonostante le ferite, si rimette in piedi, è ancora lì, che mi bracca, con passo pesante, con quella lunga, maledetta ombra… Non è una bella scena, Webster? Un’ottima scena noir fantasy? Non le ricorda i grandi classici, signor White? Winter, Parker, Walter? Ma come cazzo si chiama, lei? Ricorda Egli camminava nella notte? Il serial killer, ferito, si estrae la pallottola dalla spalla. Lo inseguono. Le torce lo braccano nel tunnel. Ottima scena. Ma non vedo il contratto. Dove devo firmare? In fondo, è la solita storia. L’avrà sentita mille volte. Il doppio cattivo, l’eroe buono. Ho già pronto il copione. Sarà un film di successo. Ecco il titolo: Echi nella notte. Sicuramente Paramount. Oppure RKO o Warner Bros, con Mitchum o Widmark. Se non sono drogati o arrestati. Mi mettono i bastoni fra le ruote. Non vogliono che il film sia girato. Un uomo mi perseguita notte e giorno. Vuole togliermi il respiro. No, non mi assomiglia. Cosa sta insinuando? Perché dovrebbe? E’ alto, violento, un tipo pericoloso. Vuole che glielo descriva nei particolari? Cosa dice? Perché devo restare calmo? E questa puntura cosa significa? Che cazzo c’entra mia madre? Di quale psiche sta blaterando? Io sto benissimo. L’uomo esiste. Mi perseguita. Non sono matto. Mi segue, come é vero che io mi chiamo Karl Stevens, trentasei anni, altezza 1,90, carnagione chiara, capelli neri, nato a Strasburgo (o Amburgo? o Pietroburgo? o Burgos?) e sono un uomo normale, normalissimo, odio i rossi, i froci, i negri, i comunisti, i topi, io sono Karl Dalton Widmark Mitchum Trumbo: ma loro se ne stanno qui, a miliardi, nel fondo della cantina, a squittire forsennati, a rodere piccoli scheletri. Spegnete la macchina da presa. Spegnete tutto. Un minuto di silenzio. Non posso più difendermi. Sono come quel soldato dopo l’esplosione, sono Johnny – tronco senza braccia e senza gambe! Liberatemi da queste mascelle che rosicchiano le ossa dei morti! Fatemi uscire…


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart