CINEMA: I film visti da Franco Pecori22 Marzo 2008
Questa notte è ancora nostraQuesta notte è ancora nostra Passata la Notte degli esami, Genovese e Miniero (Incantesimo napoletano, Nessun messaggio in segreteria)  sfruttano la promozione degli sceneggiatori, Fausti Brizzi e Marco Martani, per cavalcare, con l’aiuto dell’ennesimo “bombardamento a tappeto” – nelle sale in 450 copie – la tendenza del nostro cinema a “rispettare”  le preferenze  del pubblico, specialmente “giovane”. Ecco dunque un’altro  film romantico/brillante/romanesco, pieno di arguzie “sociologiche” che fanno un bel buco nella ciambella ben cotta e presentata bene. La maschera di Nicolas Vaporidis già basterebbe da sola a garantire la soddisfazione delle aspettative. Il suo è ormai un unico  personaggio, protagonista di un lungo serial di successo. Siamo nella perfetta tradizione della commedia italiana. Tradizione confermata anche con l’intelligente innesto di elementi “etnici”, còlti stavolta  nei dintorni di Piazza Vittorio (Roma), luogo dell’integrazione extracomunitaria. E infatti, accanto a Massimo (Vaporidis), figlio di “cassamortaro” (pompe funebri) e  con vocazione da rock-star, troviamo la cinese (in realtà italo-giapponese)  Jing (Izumì), in un ruolo da “povera ma bella” di antica memoria, aggiornato secondo le istanze più attuali. E visto che la memoria ci ha riportato al Risi del 1957, diciamo che Massimo e il suo amico Andrea (altro elemento della band musicale in cerca del primo CD) somigliano più alla coppia Arena-Salvatori che ai Blues Brothers targati anni ‘80. Altro elemento importante del film è Mattioli, nella parte del padre di Massimo. A lui la sceneggiatura  affida la sponda “umana” su cui appoggiare le battute fulminanti, che altrimenti resterebbero in una dimensione troppo superficiale. Era necessaria una di quelle preziose figure “minori”, che ancora fanno rimpiangere il vecchio avanspettacolo, e la si è saputa individuare. Infine Califano, sempre più spiritoso con se stesso, “simpatico e spietato” discografico, che ne ha viste tante e non si lascia incantare dalle ingenue aspirazioni di un gruppo di ragazzi. Misurato e giusto nella macchietta, dà forza alla soluzione “romantica” di Massimo e Jing, il cui amore trionfa anche sulle difficoltà “culturali” derivanti dalla diversità delle famiglie d’origine. Le canzoni di Daniele Silvestri contribuiscono alla  qualità non volgare della confezione. Colpo d’occhioColpo d’occhio Insignificanza dell’arte, sua inconsistenza. Questa è l’arte minuscola. L’arte è un’altra cosa, digerisce la vicenda umana, se ne fa nutrimento, scrive o traccia la storia dello sguardo, dell’intuizione, della “conoscenza” espressiva. La “traduzione” discorsiva in altro linguaggio dell’oggetto di autentico valore artistico è difficile al massimo grado: nell’interscambio con l’interpretante, le probabilità di riduzione o degrado del senso sono altissime, e proprio in  ciò consiste la qualità del rapporto espressivo. Diciamo rapporto  perché l’oggetto in sé non esiste. Parliamo di arte in quanto Rubini ne fa sostanza del contenuto, con l’intento – dichiara – di suscitare nello spettatore il desiderio di scoprire nel film «diversi livelli » rispetto ad una prima  lettura, di genere (thriller/noir). E invece, accade proprio il contrario. Lo spettatore viene “invitato” a cambiare registro interpretativo soltanto a “colpo d’occhio” assuefatto – per così dire –  alle tematiche dell’arte e di quanto  sta attorno  – nella fattispecie, Adrian/Scamarcio è uno scultore che dalla provincia approda a Roma in cerca di affermazione e deve fare i conti con  critici, galleristi, organizzatori culturali e  animali da intrigo salottiero. Il genere noir sbuca come un intruso a sorpresa, invadendo senza discrezione il campo psico-estetico. Tanto improvvisa è la sterzata che l’indagine finale  sul responsabile  del delitto (sì, c’è un cadavere a terra) è aperta e chiusa in un lampo – e non basta la maschera di Colangeli poliziotto anziano a dare profondità . Il modo sbrigativo in cui si risolve la questione, che pure pesava sin dall’inizio sulla bilancia del contenuto, ossia di quanto i conflitti soggettivi possano o non  possano influire sulla produzione di forme artistiche, abbassa il livello del discorso ad uno “sputtanante” psicodramma tra il critico (Rubini) mitomane  e “imperialista”, lo scultore sofferente per mancanza di “fisico del ruolo” (e in fondo di vocazione) e la giovane intelletuale (Puccini)  che per il nuovo arrivato  lascia il critico, suo ex tutore-amante, salvo poi a ritrovarselo ancora  nella propria vita, intromesso e vendicativo. Tutto viene spiegato a puntino, nessun equivoco. Sicché le possibili metafore sull’arte contemporanea si sciolgono in un lago di semplicità disarmante. Ciò non toglie che gli attori siano bravi, specialmente Puccini, la più credibile. Rubini, tecnicamente evoluto, insiste un po’ troppo nella retorica del furbo cattivo. Scamarcio è lodevole nello sforzo di tirarsi fuori dal ruolo di divo “giovane” e merita di essere incoraggiato. Spiderwick le cronacheThe Spiderwick Chronicles Fantasy ma ben ancorato ai sani princìpi della  società buona, dove i bambini amano il padre e soffrono se l’uomo di casa si allontana e, quando vengono a sapere che si è messo con un altra, smettono di guerreggiare con la mamma e, piangendo, dichiarano di voler restare con lei. Waters la prende alla larga e comincia dal prozìo, Arthur Spiderwick (Strathairn), nella cui casa ormai da tempo in disuso si trasferisce da New York (vivere nella metropoli costa troppo)  la famigliola di Helen (Parker), abbandonata dal marito, con tre figli,  i gemelli Jared e Simon (doppia parte per Highmore) e la loro sorella più grande, Mallory (Bolger). Accadono cose strane in quella casa. Jared scoprirà ben presto un libro “proibito”, che racchiude segreti vitali per la sopravvivenza di tutti. Lo ha compilato tanto tempo prima appunto lo zio Arthur, è una Guida  pratica al Mondo Fantastico che nessuno normalmente può vedere. Jared dovrà superare molti ostacoli, alcuni anche orribili, compresa l’incredulità della mamma e della sorella (Simon si mantiene almeno inizialmente agnostico). Trasgredisce l’avvertenza lasciata dalla zio, di non aprire il libro, e si trova a dover combattere con esseri magici e dall’aspetto spaventoso, soprattutto un orco ferocissimo. Tutti vogliono impadronirsi del libro. Il concetto è che, per vivere in pace la vita, bisogna non essere in contrasto con tutto ciò che della vita è “nascosto”. Attenzione, dice il film (e lo dicono Holly Black e Tony DiTerlizzi, autori dei libri delle Cronache di Spiderwick), il mondo non è soltanto materiale, c’è una dimensione fantastica che è bene considerare con ottimismo. Al limite, contro il male nascosto, può bastare un semplice sughetto di pomodoro, da consumarsi in cucina. Lo vediamo, il pomodoro: salverà tutta la famigliola dall’assalto dell’orco. L’armamentario degli effetti speciali, ricco e divertente (a tratti un po’ troppo minaccioso, forse, per gli spettatori più piccini), ci  introduce in una dimensione magica che, tutto sommato, rischia di farci dimenticare che il vero cattivo è quel marito che si permette di lasciare la moglie da sola con i suoi tre figli. Ma poi rientriamo in noi e  la morale della favola possiamo coglierla facilmente. Cover BoyCover Boy Un ristorante nel posto più bello del mondo. Il posto è il delta del Danubio. Ian (Gabia)  lo sogna fin da bambino, gliene parlò il padre prima di rimanere ucciso durante le manifestazioni per la libertà a Bucarest.  L’idea di aprire un ristorante italiano nasce dall’incontro, a Roma, con Michele (Lionello), un quarantenne che a stento riesce a tirare avanti con lavori precari.  La storia del ragazzo è immersa nelle vicende della Romania. Dopo la caduta del muro di Berlino, rimasto solo, Ian si fa convincere da un amico a partire per Roma: restando in Romania, il suo mestiere di meccanico non gli darà certo le soddisfazioni economiche né il piacere di vivere  che invece potrà trovare in una società più “evoluta”. Le cose non saranno così facili. Il giovane, inesperto e ingenuo, finirà presto nella precarietà e nell’emarginazione dell’immigrato senza permesso di lavoro. Non molto  più fortunato di lui, Michele, il quale comunque lo aiuta, gli subaffitta un letto nella povera casa in periferia, di proprietà di una figurante  (Littizzetto) “acida”,  in eterna attesa di una vera parte nel cinema. Quando tutto sembra ormai dover finire, mentre anche per  Michele svanisce l’ultima opportunità di restare in una ditta di pulizie, Ian viene “catturato” da una fotografa  alla moda, la quale vede nel suo volto “pulito” il colpo di fortuna, l’immagine che cercava da tempo. Ma Ian è pulito anche dentro e non sopporta di vedersi usato come un “cover boy”. Meglio sarà riandare a quel sogno del delta. Film drammatico senza virgolette, questo secondo lungometraggio di Amoroso (Come mi vuoi, 1996), rende con delicata sensibilità non convenzionale la vicenda di Ian e Michele, sottraendola al rischio  di una tematica prevedibile, quale può essere  il vuoto complementare prodotto dalla sconfitta del comunismo e dall’avanzata aprospettica del capitalismo. Bravi i due protagonisti nell’esprimere la solitudine e il disagio di chi, nel mondo attuale, cerca di andare oltre la sopravvivenza senza rinunciare alla dignità . Amoroso “documenta” tali sentimenti con discrezione e con profonda verità , tanto che l’inserimento di spezzoni documentari sui moti contro la dittatura non produce alcuna stonatura. Letto 3725 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by norfolknightlife.Ning.com — 15 Maggio 2013 @ 09:56
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