CINEMA: I film visti da Franco Pecori25 Aprile 2009 [Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.] Earth – La nostra TerraEarth Il Sole, la Terra. I continenti, le stagioni, le piante, gli animali. Curato da BBC Natural History Unit con il sostegno del Federal Film board tedesco, girato in 19 mesi da 40 troupe specializzate, esce in Italia, il 22 aprile 2009 in coincidenza con la Giornata mondiale della Terra celebrata dal WWF insieme a Disneynature,  il bellissimo  documentario dedicato al nostro pianeta nel suo stato attuale, di fragile sopravvivenza, minacciata dal riscaldamento del globo. «Per difendere la natura –  ricorda Fulco Pratesi, presidente onorario del WWF Italia – bisogna prima conoscerla ». Il film di Fothergill e Linfield contribuisce a tale conoscenza attraverso una qualità estetica eccellente, che non sopravanza l’informazione ma se ne serve per raffigurare un’immagine della Terra quantomai realistica e affascinante. Dal Polo Nord all’Antartide, dall’inverno glaciale  all’estate torrida, l’occhio del cinema traccia  un viaggio “epico” seguendo con particolare attenzione i destini di una famiglia di orsi polari, di un branco di elefanti e di una balena megattera  col suo neonato. Questi e molti  altri animali si muovono attraverso paesaggi dall’aspetto incredibilmente spettacolare. La fotografia è degna del compito.  La tecnologia (riprese aeree cineflex,  definizione HD, foto time lapse, nessun effetto digitale)   non è usata in senso “espressivo” ma in funzione di una rappresentazione quanto più precisa anche  dei particolari. Il senso del tempo, del trascorrere delle stagioni, si compone complessivamente attraverso un montaggio rispettoso della scansione delle riprese, curate con maestria non disgiunta da passione verso i contenuti. La voce fuori campo di Paolo Bonolis (Patrick Stewart nell’originale)  ha l’arduo compito di misurarsi con la magnifica scena evitando di andare sopra le righe o di trasformare in “favola” il racconto della nostra Terra. Solo a tratti il testo cede alla tentazione del paragone più o meno esplicito tra vita naturale e umana. E si possono perdonare impertinenze  espressive  del tipo: «Uno più esotico dell’altro » per definire gli Uccelli del Paradiso.  Fuori menù – Fuera de cartaFuera de carta I temi dell’omosessualità hanno preso spazio progressivo e forma esplicita nel cinema del terzo millennio. Qualche titolo uscito in Italia: Una lei tra di noi, The Iron Ladies, I segreti di Brokeback Mountain, Infamous – Una pessima reputazione, XXY Uomini-donne o tutti e due?, Riparo, Milk, Diverso da chi? Ora dallo spagnolo Velilla, noto nel suo Paese per i successi televisivi, questo Fuori Menù che nello specifico affronta, anche se a prima vista non sembrerebbe, proprio il tema della famiglia nelle sue implicazioni omosessuali. Siamo a Madrid. Nel quartiere gay di La Chueca lo chef Maxi (Javier Camara: Parla con lei, Lucia y el sexo, La mala educacion, La vita segreta delle parole) conduce brillantemente il suo ristorante  e vive con libertà la sua vita di omosessuale. Ha due figli, Edu (Junio Valverde) e Alba (Alejandra Lorenzo), «fatti con poca voglia », ma dopo la separazione dalla moglie la sua vera famiglia è stata  la squadra dei collaboratori, prima fra tutti la maitre Alex (Lola Dueñas), le cui cure verso Maxi, come del resto verso tutti gli altri uomini,  risultano inutili. Tutto funzionerebbe se non ci fosse un “fuori menù”. Muore la madre  dei due figli  e Maxi, proprio mentre viene attratto dal nuovo vicino di casa, Horacio (BenjamÃÂn  Vicuña), ex calciatore argentino, deve ricordarsi di essere padre. La commedia che finora viaggiava sul filo di una fine ironia trasgressiva, con una buona capacità del regista di “condire” la ricetta in maniera digeribile per quanto gustosa, assume una trasparenza moralistica che attenua il divertimento  e concede  peso alla tesi di moda,  del diritto/dovere  del gay alla vera paternità . La “conversione ad U” di Maxi, il suo ritorno ai figli e alla vera felicità lascia il senso sospeso a mezz’aria, come se l’autore sperasse nel dibattito successivo alla visione  e affidasse il successo del film all’attualità del tema. TulpanTulpan Dopo il bel  documentario di Byambasuren Davaa e Luigi Falorni (La storia del cammello che piange, candidato all’Oscar 2005), dopo Il matrimonio di Tuya, forzato e doloroso, del cinese Quan’an Wang (Orso d’oro a Berlino 2007); e dopo il Genghis Khan di Sergei Bodrov (Mongol, 2007), questo  “matrimonio” rifiutato da Tulpan al marinaio kazako  Asa (Kucinnchirekov) tornato tra i pastori nomadi  dopo il servizio militare, sembra chiudere un curioso e interessante viaggio  nella sterminata Mongolia e nelle regioni attigue.  Ondas (Besikbasov), marito di Samal (Esljamova),  sorella di Asa, accoglie con durezza il giovane non ancora iniziato alla cura del gregge: la condizione perché Asa possa considerarsi della famiglia è che prenda moglie. Purtroppo, l’unica ragazza disponibile, Tulpan, si nasconde (non la vediamo mai) e non accetta il pretendente  a causa delle sue orecchie troppo larghe. La commedia (con elementi seri, documentari e anche drammatici) si svolge nella polvere della steppa, tra le pecore e sotto la tenda dove vivono Samal, Ondas e i loro due figli. La civiltà moderna s’intuisce soltanto, rappresentata dal trattore sobbalzante di un altro giovane che va e viene dalla città , la lontananza della quale  è proprio il cuore del film, del suo senso culturale.  Ancor più che nei  titoli succitati, dove tra antichità e attualità si poteva misurare una distanza prospettica, un’armonia consequenziale, Tulpan è intriso di un’ansia e di un’inquietudine che sfiorano il dramma. Asa, mentre  vorrebbe reintegrarsi nella pastorizia, è continuamente tentato di fuggire in città e tuffarsi nella vita che  il periodo  da marinaio gli ha fatto intravedere. Ma il passo si dimostra – e soprattutto s’immagina – troppo lungo, tanto che, soffrendo l’inesperienza  e superando persino il disgusto del contatto con gli animali (catartico, a suo modo, è il parto difficile della pecora “smarrita” che il ragazzo si ferma ad aiutare quando egli  già sembrava aver dato l’addio alla steppa), Asa desiste, si “convince” a rimanere. Quel viaggio forse troppo lungo è forse anche un ritorno, un rientro, o magari ancora  una sosta, prima che la “città ” arrivi a trasformare  perfino la steppa. Un gregge e la Tv satellitare – 900 canali! promette ad Asa il suo amico sbarazzino – saranno presto conciliabili anche là nell’infinita tempesta di polvere. O forse non presto o non così direttamente. Conosciuto in Europa per i suoi corti e mediometraggi,  Sergey Dvortsevoy,  kazako 47enne, è qui al suo primo film  lungo. L’impressione, buona, è che il contatto con la “realtà semplice” rappresentata si traduca in poesia senza bisogno di artifici o “aggiornamenti” tecnici, effetti o simili. Il regista coglie la magia del cinema nel suo stadio, per così dire, nascente, primitivo. Con risultati non primitivi. Generazione 1000 euroGenerazione  1000 euro Barcellona o Viterbo? Il marketing o la matematica? Matteo (Tiberi) dovrebbe scegliere. Ha 30 anni, all’università è stimato dal suo maestro (Villaggio) prossimo alla pensione ed è in attesa di un dottorato che non arriva (troppi “nipoti” nei concorsi). Intanto, tira avanti con i contratti a tempo in una società di marketing. È un lavoro che disdegna, ma quando su di lui cadono gli occhi di Angelica, una “capo” bionda e spregiudicata (Crescentini), qualche prospettiva di sistemazione Matteo comincia a intravederla. A Barcellona, per esempio. Sebbene l’azienda  sia sull’orlo del crollo, Angelica, che non è un angelo, proprio dalla crisi saprà trarre il massimo vantaggio. Non solo per sé, se Matteo vorrà . La tentazione è forte. Il legame con Valentina (Inaudi), assorbita dal suo lavoro di medico,  non funziona più. Squattrinato e incasinato su tutti fronti il trentenne vacilla. È stufo di dividere, come uno studente, l’appartamento che cade a pezzi con l’amico Francesco (Mandelli), spiritoso, appassionato di playstation e destinato forse a restare proiezionista al cinematografo. E però, da un po’ di tempo è capitata in casa da Todi un’inquilina inattesa e in attesa di supplenza. Innamorata del greco antico, votata all’insegnamento,  Beatrice (Lodovini) è già contenta di ottenere un incarico di qualche mese a Viterbo. Per Matteo la scelta  si presenta davvero dura. Far sembrare vere le bugie dei professionisti del marketing oppure inseguire il sogno della matematica e l’amore sincero di una brava ragazza? Venier (Chiedimi se sono felice, Tu la conosci Claudia?) insiste sulla strada della commedia di situazione approfondendo progressivamente le sue capacità di osservazione e di sintesi. Coglie bene alcuni aspetti della vita attuale senza limitarsi alla macchietta o alla metafora facile, osserva i caratteri e con tocchi rapidi costruisce i personaggi. Nel film ciascun ruolo, anche il più piccolo, ha una sua complessità ed offre un qualche spiraglio alla riflessione. Uno per tutti il “professor” Villaggio, con l’attore bravissimo a dare tutto se stesso in una sorta di “messaggio finale” (faccia pure gli scongiuri) racchiuso in poche essenziali inquadrature. Tutto bene, ma per favore bisognerà decidersi a fare a meno della fastidiosa “voce narrante” che spiega e tematizza. Non è necessaria e rischia, con la riduzione del racconto a tipicità televisiva (il pubblico va guidato, assistito, gli va suggerita l’interpretazione più semplice, più vicina all’ovvio!) di uccidere il senso del film, la sua probabile ricchezza artistica. Lasciate stare la “generazione” e godetevi i personaggi non  per ciò che “rappresenta” ma per ciò che  ciascuno di essi è. Letto 2232 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||