CINEMA: I film visti da Franco Pecori6 Giugno 2009 [Franco Pecori dal 1969 ha esercitato la critica cinematografica – per Filmcritica, Bianco & Nero, La Rivista del Cinematografo e per il Paese Sera. È autore, tra l’altro, di due monografie, Federico Fellini e Vittorio De Sica (La Nuova Italia, 1974 e 1980). Nel 1975, ha presentato alla Mostra di Venezia la Personale di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet; e alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, con Maurizio Grande, una ricerca su Neorealismo: istituzioni e procedimenti (cfr. Lino Miccichè, Il Neorealismo cinematografico italiano, Marsilio). Dal 2002, ha tenuto per 4 anni, sul Televideo Rai, la rubrica settimanale Film visti da Franco Pecori. Noto anche come poeta, Pecori può vantare la stima di Franco Fortini.] Ca$hCa$h Sembra che un elegante e perseverante  truffatore da Costa Azzurra (Dujardin)  in cerca di polli da spennare  s’innamori di una bella ragazza (Taglioni)  e, tutto timido, si appresti a chiederla in sposa al papà (Reno), elegante pure lui, tutto vestito di bianco, pizzetto e occhiali,  imponente figura. Sembra. E sembra anche che un’ispettrice Europol dagli occhi irresistibili (Golino)  stia per mettere fine alla catena di truffe. Sembra. Ma spunta  qualcosa di più serio: una valigia di diamanti, altro che piccole truffe un po’ buffe. Suspence, azione, ma senza violenza, col sorriso sulla bocca come se la vita fosse un gioco. La vita, invece, è complicata,  molto. Può stravolgere  i destini di tutti (i personaggi) fin dentro i loro caratteri e le loro fisionomie. Il francese Besnard, già sceneggiatore di commedie come L’antitodo (Vincent  de Brus, 2005) e di thriller fantascientifici come   Babylon A.D. (Mathieu  Kassovitz, 2008),  chiede ai suoi “eroi” di divertirlo come quand’era ragazzo, appassionato di cinema. Dirige Dujardin e sogna Paul Newman. Lo vuole anche più “leggero”, meno esistenzialista. Cancella quasi completamente la Golino vera, le riduce drasticamente la capigliatura,  la normalizza fino a farne restare la sola voce, inconfondibile. Riduce a massima vaghezza Reno, incredibile “padre della sposa” quanto misterioso  fantasma della furbizia. Nessun personaggio è credibile alla vista degli altri e ciascuno finisce per  credere poco perfino  a se stesso, sembra. Mare blu, scene di lusso estivo, sequenze intrecciate col computer che le rende grafiche, sintetiche rispetto alla linea del racconto. Lo svolgimento prende improvvise accelerazioni  riducendo  i passaggi-chiave a finestre da sfogliare in fretta, seguendo l’ansia di arrivare al gran finale. Beffa in chiusura, ovvio, c’è da aspettarselo. L’intrigo infinito contrasta bene  col tono patinato e un po’ snob, che giustifica una sorta di pulizia del Male in nome della gradevolezza dell’Intelligenza. Perfettamente francese. L’amore nascostoL’amour caché La disperazione di un amore materno, tema di drammatica attualità , che ritroviamo con ricorrenza impressionante nelle cronache quotidiane. Il disagio psicologico può prendere la forma più o meno immediata di un rifiuto esplicito della maternità e può nascondere un’ansia affettiva profonda, un amore nascosto, dissimulato, negato attraverso manifestazioni autopunitive o punitive anche violente. Capone, regista che sa di teatro televisione e musica di ricerca, utilizza il romanzo/diario di Danielle Girard (stesso titolo del film) per costruire il racconto della cura, proposta in forma di autoanalisi dalla dottoressa Nielsen (Scacchi) alla sua paziente, Danielle (Huppert), dopo che quest’ultima, ha tentato per la terza volta di togliersi la vita. Danielle ha rifiutato la figlia Sophie (Laurent) sin dai primi momenti dopo il parto, mantenendo poi sempre vivo il conflitto madre-figlia, tanto da concludere, senza mezzi termini: «Un brutto essere umano ha dato vita a un altro brutto essere umano: questa è la storia mia e di Sophie… Sophie mi detesta, e io vorrei non averla mai messa al mondo ». La lucidità con cui Danielle esprime il proprio disturbo è resa magistralmente dalla Huppert, chiamata ad una prova molto impegnativa e coinvolgente. Difficile, e ben risolta, anche la parte della psichiatra, la quale ad un certo punto si ritrova dentro alla vicenda “fino al collo”. Non meno impervia la strada della figlia, prigioniera del sistema di negazioni e ricatti materni che la portano a difendersi con durezza. Tutto questo non deve far credere che si tratti, specificamente, di un “film di attrici”. Le protagoniste sono brave ma è la struttura del lavoro ad “obbligarle” ad una recitazione molto consapevole, analitica e passionale insieme, trasparente e corposa, sempre in bilico tra verità e bugia, proprio come l’amour caché del titolo. Il regista sa resistere ai pericoli di mimetismi in agguato, sia televisivi che teatrali. Un importante aiuto glielo dà la fotografia di Luciano Tovoli, maestro della discrezione. Opportuna ed efficace anche la scelta di una musica “free” (Riccardo Fassi),  le cui forme jazzistiche “colte” dialogano intensamente con le situazioni sceniche. Letto 1693 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||