CINEMA: I MAESTRI: Gioventù bruciata
8 Settembre 2008
di Filippo Sacchi
[da “al cinema col lapis”, Mondadori, 1958]
Nuova puntata sul problema educativo con Gioventù bruciata di Nicholas Ray. Più che bruciata direi che questa gioventù è scottata: scottata leggermente nel cervello. Avverto subito che è un film falso, uno di quei film profondamente in mala fede, nei quali il pretesto sociale e moralista serve soltanto a vendere cocaina fu mettistica per la sensibilità morbosa dello spettatore. Manco dal l’America dal ’50, ma non mi faranno mai credere che in cinque anni la scuola e la famiglia americane siano così degenerate da diventare, come appaiono qui, fabbriche per la produzione inten siva di isteria e di sadismo collettivo.
È un altro film che mostra la gravità dell’involuzione a cui il cinismo commerciale ha portato il cinema americano. A furia di puntare soltanto sulle emozioni estreme, di sottoporre in perma nenza la realtà alla lente deformante d’ingrandimento del sensa zionalismo più sfacciato, esso ha perduto il contatto con la vita, e quindi si è tolta in anticipo la possibilità di poter esercitare quel la funzione non dico moralistica, che non avrebbe importanza, ma rappresentativa della società e del mondo che lo esprime; il che, inducendo lo spettatore alla riflessione, è poi il modo migliore di essere moralisti.
Tutti i casi qui rappresentati non sono casi psicologici, casi uma ni, sono pure convenzionali macchinette sceniche. Consideriamo per esempio le due famiglie, la famiglia di Jimmy e la famiglia di Julie, che pure hanno un’importanza fondamentale per tutto lo sviluppo del dramma, e ne sono anzi il presupposto, visto che la tesi dell’autore è di far risalire ai genitori la responsabilità della crisi dei figli («I tuoi non ti hanno compreso… », «Vorrei avere intorno a me una vera famiglia » ecc). Ebbene il mondo è pieno di poveri papa che non sanno fare i papa. È così difficile; ve ne accorgerete, figlioli, quando toccherà a voi! Però due papa così idioti bisogna proprio andare a cercarli col lanternino. Basti que sto. La sera in cui, forzato da un compagno bravaccio, Jim correrà la tragica gimkana che finirà per precipitare il provocatore nel l’abisso, Julie sente si capisce l’incubo di quella sfida che essa ha contribuito a istigare, e ha il bisogno di rifugiarsi in un moto di tenerezza. Suo padre è ancora seduto a tavola, ed ella gli va dietro per abbracciarlo. Più tardi, quando lo vedremo in pigiama, capi remo che un uomo che arriva a indossare un pigiama simile è ca pace di tutto. Ma in quel momento ha ancora l’apparenza di una persona distinta e autorevole, un papa borghese come tanti altri, che si attarda al suo posto dopo desinare nell’euforica immobilità della digestione. Ma appena Julie gli mette le braccia al collo, egli la ributta villanamente. « Sei grande e grossa » dice « e ancora fai le smorfie! » Lì a tavola c’è anche il fratellino, uno di quei ram polli stupidi e asfissianti, col complesso del cow-boy, che devono essere una specialità delle famiglie dei produttori, perché si tro vano indistintamente nei film di tutti i Paesi. Il papa lo prende in braccio e amorosamente se lo coccola. Allora incoraggiata da quella scena la povera Julie si china di nuovo e bacia il babbo sulla guancia. Costui si volta irosamente e le molla un potentissimo ceffone. « In questa casa bisogna essere di ghiaccio » grida la ra gazza e infila la porta. Correrà via, correrà nella notte, correrà anch’essa lassù, al folle Sabba romantico della gioventù bruciata.
Evidentemente questo padre non è un padre: è un grottesco fan toccio di comodo, che l’autore si è creato per suo conto, per giu stificare reazioni morali che non avrebbe saputo altrimenti come introdurre. Ma non si impostano problemi sociali o educativi su fantocci. Perché naturalmente, essendo fantocci i padri, sono per forza anche fantocci i figli. Non c’è nessun interesse umano e poe tico in questi ragazzacci viziati, maleducati e ignoranti, nei quali la vivacità è delinquenza e il sentimento epilessia. E non ci sono nemmeno quesiti pedagogici seri. Io comincerei col levargli l’au tomobile. Metteteli a piedi e vedrete che metà dei loro stupidi e arzigogolati complessi scompariranno. Infatti, se glielo avessero levato, James Dean non si sarebbe poco dopo fracassato in mac china. Coincidenze imperscrutabili: il destino che aveva evitato nella finzione, doveva raggiungerlo nella realtà. Recitava, e non sapeva di avere come sceneggiatore anche la morte.
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 8 Settembre 2008 @ 22:23
Questo interessante articolo mi riporta, fatte le dovute distanze, agli episodi di bullismo, purtroppo di grande attualità, ed al libertinismo in cui spesso si abbandonano molti nostri giovani. Se volessimo fare un’analisi approfondita di questi “fenomeni”, occorrerebbero pagine e pagine, dibattiti a non finire. Tuttavia mi piacerebbe sentire, anche sinteticamente, l’opinione dei lettori di questa rivista. Lancio il sasso nello stagno: cosa si pensa della gioventù del nostro tempo (fortunatamente esistono tanti giovani perbene, che non fanno notizia)? Che cosa si pensa dei genitori, spesso assenti, non di rado disorientati, se non incapaci di educare? E della scuola? Cosa si pensa, in modo particolare, di questa attuale riforma scolastica (voto in condotta decisivo per la promozione, grembiulino, per evitare disuguaglianze, insegnante unico in prima classe dal prossimo anno)?
Gian Gabriele Benedetti