CINEMA: I MAESTRI: I sette samurai20 Agosto 2010 di Filippo Sacchi Chi ha capito e ammirato il realismo demoniaco di Rasciomon non mancherà di vedere I sette samurai sapendo che vi troverà lo stesso regista, Akira Kurosawa, e lo stesso interprete, quello scatenato Scinodu Hascimoto che impersonava Tagiomaru, il sel vaggio bandito. E per prima cosa stupirà, come tutti stupimmo l’anno scorso a Venezia, di trovare un film completamente diverso. Noi siamo ormai talmente abituati a veder sfruttare sino alla con sumazione ogni minima trovata che abbia avuto fortuna, che ci pare impossibile che avendo in mano il regista e l’attore di Ra sciomon il produttore giapponese non si sia subito precipitato a dare un seguito a quel film, che rappresentò pure uno strepitoso successo mondiale girando (faccio così per dire) Il ritorno di Ta giomaru, o magari Rasciomon, amore e gelosia, questo beninteso in compartecipazione italo-giapponese! Ma la freschezza d’invenzione essendo l’appannaggio della ef fervescenza creativa, e il cinema giapponese trovandosi per il mo mento ancora in quel fortunato stadio, si vede che non avevano nessun gusto a rimasticare le idee. Anche quella dei Sette samurai è una grande idea. Siamo nell’antico Giappone medioevale e feu dale, quella eroica e favolosa età in cui essi amano proiettare i loro dilemmi attuali e insieme le loro poetiche fantasie. E una torbida età di fazioni e di violenze. Condottieri feroci, al servizio di signorotti o per ruberia, corrono alla testa di bande armate le province, combattendosi quand’è il caso, ma più spesso scaricando la loro furia in devastazioni e saccheggi contro villaggi inermi e poveri contadini. Gli abitanti di uno di questi villaggi, sentendo che una grossa banda ha invaso il territorio, hanno nella loro in genuità una curiosa pensata: ingaggiare alla loro volta dei samurai, ossia di questi mercenari che fanno professione di portar armi, e, offrendo una lauta vita al villaggio, persuaderli di venire a stare con loro per difenderli contro gli assalitori. Il più svelto è mandato dunque alla città vicina, per avvicinare i samurai che coi loro spadoni e pennacchi e fieri cipigli gironzolano per le piazze e i mercati in cerca di scrittura, come faceva no una volta i gigioni in Galleria, ma probabilmente se ne tor nerebbe scornato, perché quei gradassi hanno altro in mente che mettersi al servizio di spregevoli villani, se non si imbattesse per caso in un vecchio e saggio samurai, ormai per età vicino ai limiti della professione, e che dall’esercizio funesto della guerra ha im parato l’odio della violenza e l’umana pietà per i deboli. Costui, attratto dal caso, un po’ con le buone un po’ con le cattive persuade altri sei a seguirlo, compreso un finto samurai, un samurai mistificatore che diventerà il capro espiatorio e lo zimbello della compagnia. Cosi i sette samurai vanno al villaggio. Ci vanno (tranne il vec chio) con un loro programma preordinato: mangiare e bere a ufo, ma non arrischiare per nessun patto la pelle, e al primo odore di combattimento squagliarsela senza lasciar traccia. Ma poi le cose prendono un giro diverso. Stando assieme, quegli uomini così lon tani per mentalità e per costume imparano a conoscersi. I samurai entrano nella vita dell’umile comunità, finiscono per dividerne i pa timenti e i problemi, per cui lentamente sono trascinati loro malgra do .i investirsi di quella missione che avevano intrapresa senza cre derci. Essi difenderanno il villaggio. Sotto la guida del vecchio sa murai, predisposto un piano di difesa, erigono sbarramenti, tagliano accessi, e incominciano a istruire i contadini all’uso delle armi per ché come pari combattano al loro fianco. Kikuciyo, il falso samu rai, che si rivela per un buffo e servizievole diavolaccio, fa da caporale istruttore, tra la delizia dei ragazzini. Finalmente viene il giorno temuto, lo stormo dei razziatori si avvicina al villaggio. Si appicca una battaglia furiosa, in cui samurai e villani compiono gomito a gomito prodigi di valore, e gli assalitori sono alla fine massacrati. Kikuciyo, il povero falso samurai, è caduto da valoroso con altri quattro compagni e vien seppellito su di un’altura che domina i campi dorati di messi che egli ha contribuito a difendere. Il vecchio capo, che ne ha il potere, pianta sulla sua tomba la spada, e cosi lo consacra nella morte vero samurai. E guardando intorno nella campagna le schiere dei contadini affaccendati nell’allegro tramestio della mietitura, saluta nel suo savio cuore la loro fatica, l’avvento dell’operosa pace sopra la maledetta guerra. Questo il racconto, che necessità di tagli (il film originale era lunghissimo) in parte hanno reso confuso nell’edizione italiana. Però anche la sola traccia basterà per far capire al lettore quali straordinarie possibilità apra in tutte le direzioni, come visione spettacolare, come interesse drammatico, come prestazione istrionica, come ispirazione morale e, non ultimo, come sintomo dei liberi fermenti che agitano il nuovo Giappone. E bisognerebbe aggiungere, come materia musicale, perché il commento dei Sette samu rai, tutto costruito, come Bach, intorno a un monolitico nucleo sonoro, è riuscito per forza, aderenza, fuoco lirico, strumentale no vità, una delle più memorabili partiture che il cinema abbia dato. Letto 2494 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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