Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Civinini, Guelfo

27 Aprile 2019

Pantaloni lunghi

Pantaloni lunghi, 1933

Lo scrive lo stesso autore: un ricordo della sua infanzia che lo tormenta è un ricordo alla De Amicis. Si tratta del tempo della scuola, e di un giorno in cui un giovane professore d’italiano (che morirà l’anno dopo di tisi) riporta i compiti fatti in classe e chiama l’autore a leggere   il suo che, ben svolto, ha preso 10. Il tormento discende dal fatto che di quel compito, intitolato “Lo spaccapietreâ€, non riesce a ricordare nulla, nonostante gli sforzi.

La scrittura si presenta subito piacevole e ci vien fatto di immaginare che fosse già questa semplicità d’espressione a meritargli l’ottimo voto. Grazie a quel tema diventa famoso nella scuola, anche perché presto è “il più bravo in italiano di tutto il ginnasioâ€. Ciò gli monta la testa e in breve si trasforma in “un ragazzo col naso al vento, ruzzaione e rissoso, avido di vita libera e di tutte le cose belle che incontrava, ambizioso, incostante, impaziente, soprattutto impaziente, e un po’ civetto.â€. Non era facile, infatti, mantenere un tale primato, al punto che gli era venuto in odio lo scrivere e lo studiare.

Questo ricordo ne stimola altri che saranno oggetto di altrettanti capitoli. Come sempre avviene, il ricordo degli anni giovanili porta con sé un po’ di malinconia, ed è sempre un ricordo tenace, pronto ad affacciarsi alla minima occasione. Basta incontrare un vecchio compagno di scuola e la mente torna indietro e quel ricordo si espande e si arricchisce di umori. Sembra che il Civinini voglia assegnare alle nostre prime esperienze quell’alone di eternità che forse hanno per davvero e ci sfuggono. Lo fa con delicatezza, carezzando le parole. Sono ragazzi, uomini (il vecchio cieco), donne (bella e malinconica la figura di Olga; povera e disgraziata quella della domestica di casa della sua infanzia, Bettina), fiori (la vainiglia), oggetti (la chitarra, che non riuscirà mai a suonare), feste (il carnevale), i quali emergono con la morbidezza che il tempo ha conferito loro negli anni, smussandone le asperità. Ogni capitolo ha un suo epicentro, piccolo in principio e poi sempre più esteso, esplorato con una scrittura un po’ crepuscolare, sempre nutrita di chiarezza e di semplicità. Si ricordano anche le imprese militari italiane in Africa al tempo in cui avere delle colonie rappresentava lo status di grande Potenza, e la tragedia di Dogali con almeno cinquecento morti. Si era a carnevale (26 gennaio 1887) e “Di colpo, la luttuosa notizia piombò sul quell’allegria. Nel cielo che aspettava le matasse delle stelle filanti e le gragnuole dei coriandoli, si disegnò ad un tratto la visione di quei cinquecento morti.â€.

A   sedici anni ha la sua esperienza amorosa con Maria, una bella ventottenne rimasta vedova a vent’anni: “Quando passava lei con quel suo andare ondeggiante ed elastico e quel bel viso svagato proteso come a bere i soffi del maestrale, pareva che le vecchie case si illuminassero e che dalle logge e dalle finestre fiorite i gerani e i garofani si sporgessero a salutarla.â€. I ricordi di Civinini spaziano dalla nativa Livorno, alla maremma, a Roma dove visse, e tuttavia ci consegnano momenti di vita che possono accadere dappertutto e che ci mostrano una umanità diffusa e affine: “Allora pensavo ai bastimenti che vanno lontano lontano, e fantasticavo che un giorno anch’io sarei partito per chi sa doveâ€.

La figura di Maria (“Maria biondaâ€) è di una straordinaria bellezza, ritratta in più momenti, sempre con efficacia. Riportiamo questo brano che la disegna nel momento in cui, tirata la secchia d’acqua dal pozzo, si accinge a bere: “Rivedo le braccia forti color del grano, e vellutate come la buccia delle pesche, levate in alto a inclinare verso la bocca avida la secchia gocciolante; e i sussulti delle lunghe sorsate nella gola liscia e pienaâ€. Anche la figura del barbiere della sua infanzia, Melillo, riemerge dalla memoria con una certa efficacia e suggestione: “Beato, rovescio il capo sull’appoggiatoio. Melillo comincia a insaponare. Fra le palpebre socchiuse mi guardo nella specchiera verdastra. Bella, quella gran schiuma che m’incornicia il viso, e cresce e si gonfia sotto al pennello. (…) Ecco ora ha finito di insaponare. Ha passato e ripassato il rasoio sulla còte, se lo ripassa due o tre volte sulla palma, e attacca a radere.â€. Erano questi, precisi al millesimo, i gesti dei barbieri d’una volta, qui restituiti alla loro bellezza dimenticata. Così pure l’impiegato del fermo posta addetto alla consegna delle lettere. O la triste povertà descritta in uno dei capitoli più belli dal titolo “Un vecchio amicoâ€. Nell’ultimo capitolo, “Quelli del Tartaroneâ€, i vecchi uomini di mare, seduti sui “muriccioli lungo la marina e i pilastrini   degli ormeggi alle panchineâ€, “Brache rattoppate, camice e camiciole scolorite, vecchi berretti e vecchi cappelli da gente di terra.â€, ricordano, colmi come sono di malinconia e di tragicità,  quelli immortalati dal viareggino Renato Gragnani e, prima di lui, dal grande conterraneo Lorenzo Viani. Aspettano “che venga a prenderli l’ultima barca, il sandolino con la croce nera. Immobili, silenziosi, già assenti, strizzano gli occhi nel viso di legno: e guardano il mare con uno sguardo estraneo, come se non lo capissero più.â€.


Letto 659 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart