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Dopo Bersani, ora è D’Alema che perde colpi

11 Dicembre 2009

Bersani non s’era accorto, quando ha domandato dove Berlusconi intenda portare l’Italia, che Filippo Graviano gli aveva già risposto, in anticipo, battendolo sul tempo, così che la sua campagna denigratoria  non è neppure partita. Si è fermata là, non appena qualcuno gli ha sussurrato all’orecchio di fare più attenzione, giacché Graviano è proprio a lui e ai suoi compagni che ha voluto far intendere che un’Italietta   sempliciotta e meschina è bellamente presa in giro da certi pentiti. Berlusconi questo lo sa già, poiché lo ha imparato a sue spese. Bersani no: è stato molto fortunato, e non ha ancora avuto l’esperienza, per esempio di Enzo Tortora. Forse quando  lo sfortunato presentatore televisivo reclamava la sua innocenza, lui era distratto o si trovava in vacanza, lontano.

Ma la tegola che stamani ha colpito Bersani per mano di Graviano, invece di cadere a terra, deve aver fatto un rimbalzo e colpito anche l’illustre ex presidente del consiglio Massimo D’Alema. E’ stata così forte la botta che un bernoccolo, oltre che sulla testa, gli è spuntato perfino sulla lingua. Leggete ciò che ha avuto l’ardire di dichiarare (qui):

“ANSA) – NAPOLI, 11 DIC – Secondo Massimo D’Alema, la smentita di Filippo Graviano delle affermazioni di Spatuzza, ‘non e’ la prova che la giustizia non funziona’. Sugli sviluppi del processo Dell’Utri, il presidente della Fondazione Italianieuropei ha detto: ‘Spatuzza e’ un pentito e Graviano no. Certo, spetta ai magistrati accertare il pentimento ma se un pentito fa una rivelazione sul capo mafia e’ difficile che l’altro lo confermi. Graviano e’ un capomafia che non collabora con lo Stato’.

Dunque, vediamo di riepilogare e di metterli in fila questi masturbatori della materia grigia.

La Finocchiaro  avvia una nuova strategia, visti gli ultimi clamorosi successi del governo con gli arresti di boss di grosso calibro: non è il governo Berlusconi che combatte la mafia, ma i magistrati e le forze dell’ordine. Ieri a Ballarò anche Di Pietro ha voluto precisare a Mantovano che no, non è il governo ma sono le forze dell’ordine e i magistrati a contrastare la mafia.

L’ordine è partito e tutta l’opposizione, Di Pietro compreso, si è lestamente allineata, giacché non era più possibile andare avanti   e subire questi successi senza contrastarli con qualche raffinatezza intellettuale.

Poi stamani arriva Bersani, che si dichiara incapace di capire che cosa voglia fare Berlusconi. Graviano gli risponde e glielo deve spiegare qualcuno che Berlusconi sta facendo una lotta nell’interesse suo personale ma anche di tutti i cittadini, e quindi anche dello stesso Bersani. Illuminato sulla strada di Damasco il fresco segretario non è riuscito a smozzicare più una sillaba.

Ci voleva allora un intervento immediato.    Guai a lasciare spazio perché la gente rifletta. Qui si deve subito mettere in piazza un concetto arruffacervelli, di quelli che almeno qualche allocco lo incantano. Ed ecco la pensata di Massimo D’Alema, di uno che alla Normale di Pisa ci deve essere entrato per sbaglio.

Questo è il suo cervellotico ragionamento:   se due mafiosi danno versioni diverse di un fatto, occorre dare valore al mafioso che si è dichiarato pentito e che, aggiungo io, grazie a ciò, è andato a vivere, invece che nelle spelonche, in un bell’appartamento con stipendio e confort vari.

Per D’Alema, Dell’Utri (e quindi Berlusconi), nonostante le smentite del non pentito, è colpevole  al di là di  ogni ragionevole dubbio.
La sentenza l’ha emessa lui, che si presenta, dunque, quale  leader di quella magistratura che ha deciso di mettere in galera Dell’Utri e Berlusconi, fossero pure innocenti.

A D’Alema, al quale poco importa dell’articolo 27 della Costituzione (che  afferma che  un cittadino è non colpevole fino a condanna definitiva),   non è passato nemmeno per la cotica del cervello che, ove due testimonianze confliggano, e in mancanza di prove reali, deve valere il principio costituzionale dell’innocenza  a favore dell’inquisito.

Sembra di rivivere l’epoca di Stalin, quando i soldati italiani venivano mandati a morte anche se non colpevoli, e nel silenzio totale di Togliatti.

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L’editoriale di Augusto Minzolini. Qui.

Di Pietro sulle barricate. Qui.


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5 Comments

  1. Commento by Ambra Biagioni — 11 Dicembre 2009 @ 20:58

    Secondo un sillogismo facile facile si potrebbe dunque evincere che baffino è un capomafia…

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 11 Dicembre 2009 @ 21:59

    Beh, i suoi fili li sa tirare…

  3. Commento by Ambra Biagioni — 11 Dicembre 2009 @ 23:15

    Articoli correlati di Lino Iannuzzi qui , qui e qui

  4. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 12 Dicembre 2009 @ 01:00

    Molti, Ambra, non riescono ad avere le idee lucide, dopo la botta in testa…
    Ci vorrà un po’ di tempo prima che si riprendano.

  5. Commento by Ambra Biagioni — 12 Dicembre 2009 @ 09:18

    Qui i commenti del Legno

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