Due articoli1 Luglio 2012 Merkel, sindrome della sconfitta. Uno psicodramma nazionale BERLINO – Angela Merkel marcia verso Bruxelles: «Niente eurobond finché sarò in vita ». Torna con un occhio nero, una gamba e un braccio ingessati, sorreggendosi con un bastone: «Sono ancora viva ». Si tratta solo di una vignetta, di Klaus Stuttmann, pubblicata dal quotidiano berlinese Tagesspiegel. Non è però sbagliato vedere in questa immagine il senso della reazione di sorpresa, un po’ irriverente, con cui in Germania è stata accolta la «sconfitta » della cancelliera al vertice di Bruxelles. E ai colpi ricevuti nella battaglia contro Hollande, Monti e Rajoy si sono aggiunte nuove, e conseguenti, difficoltà sul fronte interno. Ne è una prova il fatto che oltre venti deputati dello schieramento governativo si siano dissociati venerdì sera nelle tre votazioni sulla ratifica dell’Esm, il fondo di salvataggio europeo permanente che sarebbe dovuto entrare in vigore il primo luglio. Niente «maggioranza della cancelliera », quindi, anche se alle critiche dell’opposizione («L’era Merkel è finita », ha detto il socialdemocratico Thomas Oppermann) la Csu ha risposto elencando altrettanti parlamentari Spd che hanno votato contro, nonostante le indicazioni del loro partito. LE METAFORE – Parlando di quanto è accaduto nella capitale belga, i giornali hanno usato nei titoli soprattutto due verbi: piegarsi, cedere. E l’inaspettata disfatta calcistica contro l’Italia è servita naturalmente ad alimentare il gioco delle metafore negative. I commentatori meno critici chiedono tempo, per valutare bene funzionamento e condizionalità dei meccanismi decisi, ma riconoscono, come ha fatto Thomas Schmid su Die Welt , «l’indebolimento » della posizione tedesca. Gli esponenti di primo piano della maggioranza, come il capogruppo Cdu-Csu, Volker Kauder, cercano di tranquillizzare tutti: «Con noi l’Esm non diventerà un negozio self-service ». Ministri come Wolfgang Schäuble si adoperano per mettere in luce gli aspetti positivi della svolta («la chiara agenda per sostenere la crescita »), per ribadire che i principi cari a Berlino, (il rafforzamento del controllo sui debiti) sono stati confermati, sottolineando infine che «i mercati sembrano accettare che non ha alcun senso speculare contro una zona euro che fa blocco ». Un monito chiaro viene dal ministro degli Esteri Guido Westerwelle, secondo cui «troppa poca solidarietà minaccia l’Europa, troppa solidarietà non la minaccia di meno ». I NODI – La situazione di incertezza è comunque forte. Se è vero che per la prima volta dopo molto tempo la cancelliera non ha guidato le decisioni a Bruxelles, non va dimenticato anche che mai come adesso la Germania si è trovata di fronte ad alcuni nodi da sciogliere politico-istituzionali, legati ai temi europei. Il presidente Joachim Gauck ha deciso nei giorni scorsi di ritardare la firma dell’approvazione del Fiscal Compact e dell’Esm in attesa del pronunciamento della Corte di Karlsruhe sui ricorsi presentati. Potrebbero essere necessarie alcune settimane, con il rischio che anche la seconda scadenza, il 9 luglio, venga disattesa. Ma al di là di questo, sono in molti a interrogarsi sul tipo di decisione dei giudici e a non escludere la possibilità che si renda indispensabile la strada di una consultazione referendaria. Sintomi di disagio si registrano anche in alcuni settori del mondo economico, che dopo aver chiesto sempre rigore alla Merkel ora denunciano il «danno all’immagine » che ne è derivato. «Non si va volentieri in negozio se il commerciante è antipatico », ha detto il presidente della Bga, l’associazione del commercio estero e all’ingrosso, Anton Börner. Supermario ha vinto ma la Merkel non ha perso L’andamento del vertice di Bruxelles, i provvedimenti presi e immediatamente esecutivi, gli obiettivi di fondo per la costruzione di un nucleo politico di Stato federale europeo, sono stati già ampiamente illustrati. I protagonisti hanno parlato e commentato. I mercati hanno risposto in modo estremamente positivo. Le Borse – specialmente quelle italiane spagnole francesi e Wall Street – hanno segnato i massimi di tutto l’anno; lo “spread” italiano è diminuito di 50 punti-base, il tasso di cambio euro-dollaro è aumentato di 2 punti-base. Ma sono gli effetti politici e le aspettative gli elementi più importanti del quadro che si è delineato venerdì scorso a Bruxelles, con conseguenze sull’Europa, in Usa e nei Paesi membri dell’Unione. Riassumiamoli per comodità di esposizione. 1. L’asse tra Germania e Francia con l’evidente egemonia tedesca ha ceduto il posto ad una direzione collettiva i cui pilastri di sostegno sono la Germania, la Francia, l’Italia, la Spagna. Tre. È un errore sostenere che la Merkel sia stata sconfitta a Bruxelles; la cancelliera ha ottenuto quello che è il destino della Germania: la nascita dell’economia federale dell’eurozona con i tempi che essa richiede ma con l’adesione della Francia, la più difficile da ottenere. Hollande dal canto suo ha anche lui ottenuto ciò che voleva: porta a casa provvedimenti di crescita e di difesa dell’euro. Cessione di sovranità a medio termine, solidarietà economica in tempo immediato. 4. Mario Monti è stato il protagonista numero uno. Forse il paragone calcistico è irriverente ma di questi tempi aiuta a capire meglio: Hollande – come Cassano – ha fornito gli “assist”; Monti – come Balotelli – ha messo la palla in rete. Non a caso i mercati italiani in Borsa e nelle quotazioni dello “spread” sono stati in testa a tutti gli altri. 5. Ripercussioni molto rilevanti e positive si sono verificate anche in Usa a favore di Obama. Giovedì il presidente aveva incassato una sentenza della Corte suprema che approvava e rendeva esecutiva la riforma sanitaria varata dallo stesso Obama nel 2010, ma che era stata bloccata dai repubblicani. Il giorno dopo il vertice di Bruxelles ha raggiunto risultati che Obama aveva più volte auspicato e che rafforzeranno la ripresa economica americana. * * * Un articolo sulla prima pagina del “New York Times” di ieri racconta con dovizia di particolari il vertice di Bruxelles concludendo col dire che il vero protagonista, quello che è riuscito a impedire un finale generico e senza risultati come molti prevedevano sarebbe avvenuto, è stato Monti. È andata esattamente così. Il nostro premier ha portato a casa quanto aveva promesso, non soltanto per far fronte alle necessità impellenti del nostro Paese ma anche per rafforzare l’Europa modificandone il quadro generale e le prospettive di fondo. Sarà molto difficile ora mettere il governo in difficoltà e paralizzarne l’azione. Della debolezza italiana Monti ha fatto una forza: questo è stato il fatto sorprendente che prende ora in contropiede i “berluscones” che puntavano su elezioni anticipate per riportare in proscenio forze e personaggi che ormai ne sono definitivamente e meritatamente usciti. Resta il tema della recessione, che infuria non solo in Italia ma in tutto il mondo e che richiede un tempo tecnico e appropriate politiche concertate a livello internazionale per esser trainata e poi invertita in ripresa produttiva e occupazionale. L’alternarsi di crescita e di recessione è il modo d’essere del capitalismo, il famoso calabrone che continua a volare nonostante che il suo peso e la sua velocità farebbero presumere che debba cadere a terra. La recessione europea e italiana è cominciata un anno fa, non è quindi quella novità di cui la Confindustria si accorge oggi. Purtroppo tenderà a durare e addirittura ad aggravarsi fino al prossimo autunno; poi, se le politiche anticicliche prenderanno corpo in Italia e in Europa, potrà rallentare nell’ultimo trimestre dell’anno e iniziare un’inversione di tendenza ancora tenue ma significativa fin dal primo semestre del 2013. Nel frattempo bisognava garantire alcuni “fondamentali”: il rapporto tra rendimento dei titoli pubblici, consistenza del fabbisogno, deficit e prodotto interno lordo, saldo della spesa corrente, lotta all’evasione fiscale. Spetta al governo, alle forze politiche e a tutta la classe dirigente del Paese canalizzarla, spiegarne i passaggi, intervenire e mobilitare risorse aggiuntive per garantire tutela ai più deboli, attuando ora più che mai la politica contro le rendite e gli oligopoli e predisponendo ammortizzatori sociali che accompagnino il Paese soprattutto nella fase recessiva fino a quando il corso ne sarà invertito. Poi, fra dieci mesi, si aprirà il tema assai spinoso del dopo Monti e quello altrettanto importante del dopo Napolitano il quale – sia detto perché è una realtà oggettiva – è stato insieme a Monti l’artefice del successo che ha coronato una stagione di sforzi, di difficoltà e di tempesta congiunturale. Mi vien fatto di pensare che cosa sarebbe accaduto se in questa circostanza non ci fossero stati Napolitano al Quirinale, Monti a Palazzo Chigi e Draghi alla Banca centrale europea. Concludo con due battute e le riferisco per chiudere in allegria un periodo assai tormentato: un tempo c’erano i Tre-monti, adesso ci sono i Tre-Mario (il terzo è Balotelli). E poi: forse le cose sarebbero andate ancora meglio se al posto di Monti a Bruxelles ci fosse andato Renzi. Letto 1308 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||