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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Due articoli

15 Febbraio 2012

L’Ue, il cavallo e la quaglia
di Antonio Martino
(da “Il Tempo”, 15 febbraio 2012)

Nel 1994 accettai l’invito di intervenire a un dibatti ­to con Piero Fassino sulla moneta comune euro ­pea. Per dare un’idea delle difficoltà inerenti alla sua introduzione, ricordai una scenetta di Walter Chiari e Carlo Campanini. In quella gag, Campanini chiede a Chiari cosa facesse per vivere, ottenendo come risposta: «Vendo paté di quaglia ». Chiede allora: «Ma ci metti solo carne di quaglia?”. Risposta: «No anche carne di caval ­lo ». «Ma allora imbrogli? ». «No, perché le metto in parti uguali, un cavallo, una quaglia »!

Allora, infatti, sembrava che gli unici due paesi con le carte in regola fosserola Germaniae il Lussemburgo, un cavallo e una quaglia appunto. La situazione da allora è molto diversa, ma il problema dell’eterogeneità dei paesi dell’eurozona continua ad esistere e non è per nulla cambiato. Mio padre si diceva convinto che i tedeschi fossero un grande popolo, con molte qualità e pochi difetti. «Però, aggiungeva, purtroppo mettono le loro qualità al servizio dei loro difetti almeno due volte al secolo ». La vicenda dell’imminente catastrofica crisi economica dell’Europa (e non solo) mi ha ricordato quel giudizio di mio padre.La Germania, infatti, dietro un ipocrita velo di europeismo, condiziona le decisioni vitali di politica economica di molti paesi. È anzitutto il caso della Grecia che è stata commissariata da un gover ­no di grande coalizione a guida di un eurocrate (Papademos è stato membro della Bce ed è uno stimato economi ­sta) .Non basta, col pretesto di impedirne il fallimento le sono stati imposti da un lato grossi sacrifici, che hanno scatenato violente proteste, elargito «aiuti », e contem ­poraneamente imposto l’acquisto di costosi armamen ­ti di produzione francese e tedesca, col risultato di fare aumentare del 20% le spese per la difesa, mentre per tagliare il resto delle spese pubbliche,la Greciaè costret ­ta a licenziamenti e tagli draconiani agli stipendi di di ­pendenti pubblici e privati. I tedeschi sanno bene che l’avvento al potere di Hitler non fu causato dall’iperinflazione di Weimar ma dalla disoccupazione di massa che la seguì. Dovrebbe essere facile per loro rendersi conto che, imponendo queste contraddittorie scelte, si corre il rischio di un’involuzione antidemocratica in Grecia, an ­cora una volta un esito assai poco europeista. La vicen ­da greca ricorda molto la nostra: l’Italia non è e non è mai stata a rischio default. Non bisogna prendere come oro colato le valutazioni delle agenzie di rating né la ­sciarsi andare alla nevrosi da spread: la percentuale di debito pubblico italiano detenuto da stranieri è conte ­nuta e nessuna asta di titoli del debito pubblico è mai andata deserta. Se a questo si aggiungono le enormi proporzioni del patrimonio mobiliare e immobiliare dello Stato, si perviene alla conclusione che l’Italia non ha nessun bisogno di fare sacrifici né di addossarsi una politica di lacrime e sangue. Il nostro Paese ha solo biso ­gno di riforme che riducano l’insostenibile peso della spesa pubblica, di una riforma fiscale che ripristini le condizioni per la crescita (un’ aliquota unica del 20% sul reddito di persone fisiche e giuridiche) e l’alienazione graduale del patrimonio pubblico che consenta l’abbat ­timento del debito. Non sono per nulla ispirato da senti ­menti anti-tedeschi: ammiro le grandi qualità di quel popolo e so benissimo che un’Europa senzala Germa ­nia non è concepibile. Tuttavia, il governo tedesco sem ­bra voler dare l’impressione che, ancora una volta,la Germaniavoglia mettere le grandi qualità del suo popo ­lo al servizio dei suoi difetti. Come se avessero avviato la terza guerra mondiale, non con le armi ma con la finan ­za, e avessero intenzione di far precipitare l’intera Euro ­pa in un baratro. Se, a differenza delle altre due, la vinces ­sero, l’intero mondo sprofonderebbe in una crisi che farebbe impallidirela Grande Depressionedel ’29, rele ­gandola a un ruolo di trascurabile incidente.


Il Quirinale e i tagli alle spese
di Gian Antonio Stella
(dal “Corriere della Sera”, 15 febbraio 2012)

Lunga vita a re Giorgio, Gli storici ci diranno quanto il capo dello Stato sia stato determinante in questi anni difficili e in particolare nel riaffermare come il nostro ì sia un Paese pieno di guai ma anche dì persone serie.
Non a caso la sua popolarità è altissima.
Di più, riconosciamo che mettere la retromarcia a una mac ­china lanciata in una corsa pazza (le spese correnti tra il 2001 e il 2010 sono salite del 62%) non è facile. Ma i toni di soddisfazione del comunicato diffuso dal segretario generale Donato Marra nella nota illustrativa del bilancio di previsione per fl 2013, con tutta la migliore buona volontà, lasciano sinceramente stupiti.
Dice quella nota che «le economie conseguite con le misure adottate autonomamente a partire dall’inizio del settennato am ­montano complessivamente a circa 60.500.000 euro al 31 dicem ­bre 2011 ». Non capiamo. Nel 2006 (dati della Ragioneria genera ­le) il Quirinale ci costò 217 milioni di euro. Oggi, dice il dato ufficiale, ce ne costa 228. Come mai? Gli italiani li hanno visti, i tagli veri: da518 a70 milioni di euro (-91%) tra il 2009 e il 2012 al Fondo politiche sociali; da551 a84 milioni (-85%) ai fondi per il Rischio idrogeologìco… Nel caso del Colle non si tratterà solo di rinunce agli aumenti ipotizzati? Prevedi di spendere100 inpiù, poi rinunci e ti vanti d’aver «tagliato » 100… Comodo, così…
Dice il comunicato che «la dotazione del Quirinale è quindi sostanzialmente pari a quella del
2008, a fronte di un’inflazione che da allora ha già raggiunto la misura dell’8,4.% ». Dati incontestabili. Ma vogliamo aggiungerne un altro, per capire? Dice la tabella del Fondo monetario (www.imf.org) che nel 2008 il Prodotto interno lordo italiano fu di 2.307.429 miliardi di dollari ma nel 2010 è sceso a 2.055.114, Insomma, ci siamo impoveriti. Molto. Tant’è che dal 2001 al 2010 il Pii prò capite degli italiani non solo non è cresciuto: è calato del 4,94%.
Il personale del Colle è sceso dal 2006 dì «ben 394 unità »? Ottimo. Ma fateci capire: compresi i «comandati » restituiti alle amministrazioni da cui venivano? Perché, se è così, i loro stipen ­di gravano comunque alla voce «uscite » dello Stato. Dicono: il Quirinale costa perché è un museo. Vero. Sul suo stesso sito web, però, è scritto che nel 2011 il Palazzo è stato aperto al pub ­blico «tutte le domeniche dalle ore 8.30 alle ore 12.00, con esclu ­sione dei seguenti giorni: 2 gennaio, 16 gennaio, 24 aprile, i °: maggio, 29 maggio, 18 dicembre, 25 dicembre e del periodo da domenica 26 giugno a domenica 18 settembre ». Cioè 3,5 ore a settimana e mai d’estate. Più l’apertura delle Scuderie, ogni tan ­to, per grandi mostre tipo quella di Caravaggio.
Insistiamo: tutto sarebbe più chiaro se i bilanci fossero traspa ­renti. Online. Voce per voce. Come quello di Buckingham Palace, dove la Regina ha potuto vantarsi d’aver tagliato il 61% della Civil List. E ci scommetteremmo: la totale trasparenza rendereb ­be più forte lo stesso Napolitano nei confronti di chi, all’inter ­no, ai tagli resiste.


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Bart