Fini vacilla a un passo dal ko. Pure l’amico Casini lo liquida20 Ottobre 2012 di Francesco Cramer Roma – L’ultimo colpo può essere quello decisivo perché in molti descrivono Fini quasi ko: tremebondo, insicuro, demoralizzato e, qualcuno giura, «non è detto che la vicenda abbia risvolti drastici ». Poi però è stato l’Espresso, non la «macchina del fango » dei quotidiani di centrodestra, a riaprire il caso. Sono saltati fuori documenti sequestrati nella casa di Francesco Corallo, re delle slot machine (che ieri ha smentito il suo interessamento nella vicenda). Carte roventi: copia del passaporto di Giancarlo Tulliani, copia di quello della sorella Elisabetta e un modulo per l’apertura di un conto corrente a Saint Lucia intestato alla Jayden Holding. Nel modulo, l’effettivo titolare della società viene indicato proprio in Giancarlo Tulliani. Boom. E Fini? Nulla sapeva. Anche se il legale di Corallo è la colonnella in ascesa in Fli, Giulia Bongiorno? Sarà . Turlupinato anche questa volta. Sia da Giancarlo Tulliani sia, ecco la novità , da Elisabetta. Ancora la linea del «mi hanno fatto fesso », con quella nota a caldo: «Quanto scritto dall’Espresso suscita in me profonda amarezza per comportamenti che non condivido. Ma questo è un aspetto tutto e solo privato ». Ma il privato investe necessariamente anche il pubblico. Raccontano dell’ira furibonda di Gianfranco nei confronti della sua compagna e della famiglia di lei. Raccontano di aria di crisi e di uno sfogo culminato nell’indulgenza: «È pur sempre la mamma dei miei figli… ». Raccontano di una riunione tesissima con Bocchino, Della Vedova, Bongiorno e, al telefono, Menia; dove quest’ultimo, che da sempre ha chiesto al capo di lasciare la presidenza della Camera per ragioni politiche, sia tornato sull’argomento lancia in resta. Dicono che sia arrivato a un passo da darle, le dimissioni. Anche e soprattutto perché l’alleato Casini gliele avrebbe consigliate vivamente. Ovvio: avere un socio impelagato in una vicenda così torbida e soprattutto vedere la reazione del leader Fli, così caparbiamente attaccato alla poltrona, non giova neppure all’Udc. Fini come una zavorra. Da mollare. «C’è mancato poco che Gianfranco lasciasse », giurano i suoi. Poi, a seguito di un giro di consultazioni col Colle avviate dalla fedele segretaria Rita Marino, l’addio è rientrato. Con i colonnelli finiani a ragionare che «le tue dimissioni sarebbero un’ammissione di colpa e non farebbero certo fermare la slavina delle polemiche ». E tutti a dire: «Abbiamo bisogno di te ». Mai come adesso, visto che il Fli naviga in acque nere come la pece. Un partito allo sbando, con un capo quasi demolito. E pure tra i colonnelli tira una brutta aria, posto che la settimana scorsa è stato Della Vedova a dar sfogo a tutta la sua rabbia. Il finiano ha infatti minacciato le dimissioni da capogruppo per le scelte di Fini sulla legge elettorale. Della Vedova, convinto sostenitore dei collegi uninominali, ha visto Fini virare verso il pastrocchio proporzionalista. E ha letteralmente sbroccato. Un sintomo di un malessere destinato a deflagrare. Le elezioni si avvicinano e l’ultimo scandalo non giova. E quanti finiani riusciranno a rientrare in Parlamento? I segreti di Elisabetta Tulliani: dai lavori nella casa al caso del passaporto Anziché prendersi le sue responsabilità e dimettersi per la figuraccia fatta, Gianfranco Fini dapprima se l’era presa col cognato e ora ha scaricato la madre delle sue figlie. Il leader Fli già in occasione delle sue prime esternazioni sull’affaire immobiliare nel Principato, due anni e due mesi fa, confessò di essere caduto dal pero, e che a spingerlo giù era stata proprio la compagna: «Qualche tempo dopo la vendita ho appreso da Elisabetta Tulliani che il fratello Giancarlo aveva in locazione l’appartamento: la mia sorpresa e il mio disappunto sono facilmente intuibili ». All’epoca il reprobo sacrificabile era Giancarlo e non Eli, destinataria invece di un appello alle donne del Pdl della deputata finiana Flavia Perina per schierarsi contro quella che considerava «una lapidazione della donna del nemico ». Ma ora che dalle carte sequestrate dalla Gdf al latitante Corallo è saltata fuori anche la copia del passaporto di Eli, spedita via fax proprio a quel James Walfenzao che ha gestito le operazioni di compravendita «coperta » della magione monegasca, il leader di Fli sembra aver deciso di scagliare lui la prima pietra. SILENZI, OMISSIONI E MISTERI ATTENZIONE, LAVORI IN CORSO PASSAPORTI, BROKER E LATITANTI _______ Altri articoli sul tema, qui, qui, qui, qui, qui (intervista a Guido Paglia). L’arma (segreta) di Berlusconi: ripartire con la lista «L’Italia che lavora » Credeva di aver trovato la soluzione, «ho trovato un coniglio nel cilindro », diceva Berlusconi, convinto di poter rovesciare le sorti avverse mettendosi alla testa di imprenditori, di giovani e persino di intellettuali: «L’Italia che lavora, così si chiamerà la mia lista ». Perciò voleva far saltare l’intesa sulla riforma della legge elettorale, in modo da scegliere chi nominare in Parlamento, per questo aveva affidato ad alcune fedelissime deputate il compito di costituire un gruppo alla Camera. Ma l’eugenetica non può essere applicata alla politica, non basta una lista dell’«Italia che lavora » per competere con le novità di Renzi e Grillo. Ancor più banalmente, non è cambiando l’ordine (e il nome) degli addendi che può cambiare la somma dei voti nelle urne. Anzi, è una regola che certe operazioni abbiano un saldo negativo. Anche perché i debiti finiscono comunque per ricadere sul leader e lo inseguono. L’aveva avvisato per tempo Gianni Letta, «guarda Silvio che così non prenderesti più del 15% ». E i sondaggi hanno dato ragione all’antico consigliere di Berlusconi, siccome la lista non raccoglierebbe più del 4-6%, e sarebbe superata persino dal Pdl, quotato in caso di spacchettamento tra l’8 e il 10%. Sono numeri che raccontano il paradosso di un Cavaliere che rottamerebbe il Cavaliere, condannandosi all’irrilevanza politica, «a una triste uscita di scena », come dice Matteoli. Di più: quei numeri evidenziano come il Pdl riuscirebbe a sopravvivere al suo leader, che continua a marcare la distanza dal suo partito. Per questo motivo il gruppo dirigente ha deciso di sfruttare l’intervista della Santanchè al Foglio come casus belli: per quanto i rapporti tra Alfano e Berlusconi siano tesi, l’offensiva non va infatti interpretata come un gesto ostile verso il Cavaliere, semmai come un appello a rompere gli indugi, per farsi interprete e protagonista del rilancio del Pdl. «Bisogna portarlo a ragionare, senza mai rompere », spiegava sere fa Verdini nel corso di una riunione. Nessuno lavora a un 25 luglio, tuttavia c’è una bella differenza tra l’idea di «rottamare » e quella di «resettare » il Pdl. Il fatto è che il capo per ora non ci sente e continua a cercare ispirazione nei colloqui con persone estranee alla politica. Nei giorni scorsi gli sono brillati gli occhi quando un imprenditore suo ospite lo ha esortato a un «grande gesto »: «Berlusconi deve fare Berlusconi ». «E come? », gli ha chiesto il Cavaliere. «Tu devi denunciare il patto che ha portato alla nascita del governo Monti, dire che sei stato costretto ad appoggiarlo ». «Ma così perderei le elezioni ». «Sì, ma saresti coerente ». Avanti un altro. Perché c’è sempre qualcuno che è pronto a vellicarne l’ego, perciò l’ex premier non si cura dei suggerimenti di chi lo segue da decenni. Gianni Letta più volte lo ha esortato a fare i conti con la cruda realtà , una settimana fa lo ha invitato a prendere per esempio in considerazione l’ipotesi di puntare sull’ex sindaco di Milano Albertini come candidato a Palazzo Chigi: sarebbe un modo per sfidare i centristi di Casini. Niente. E siccome Berlusconi non ha bloccato l’opera di demolizione del Pdl da parte dei suoi fedelissimi, Alfano ha deciso di reagire. Perché era ormai chiaro il disegno: se è vero che il voto siciliano rappresenta un test politico, com’è possibile che il partito venga screditato dai suoi stessi dirigenti mentre è in corso la campagna elettorale? L’obiettivo era (e resta) quello di scaricare sul segretario la responsabilità dell’eventuale sconfitta, per chiederne poi la testa. Si vedrà se il candidato del centrodestra Musumeci riuscirà a battere anche quanti dovrebbero stargli al fianco nella sfida con Crocetta. Intanto è stata preparata la contromossa, di cui peraltro Berlusconi è a conoscenza. È il progetto che Alfano aveva già presentato al Cavaliere, un po’ modificato. Il segretario è pronto a varare il programma del partito, le nuove regole e una nuova squadra, nel segno di un «profondo ricambio ». Non ha ancora deciso se muovere il passo già prima del voto in Sicilia, per giocare d’anticipo, ma la road map – concordata con il resto del gruppo dirigente – porterà il Pdl alla convention del 2 dicembre, quando si discuterà anche il cambio del nome e del simbolo. «Il partito non si scioglie », su questo Alfano è stato chiaro con Casini, che mira a un patto solo con una parte del Pdl, depurata dagli ex An. Un’opzione scartata da Alfano, che ha fissato i confini della sua forza politica, «ancorata all’europeismo e al Ppe » e che non accetta «analisi del sangue ». In attesa del risultato in Sicilia, sono a sua volta evidenti le difficoltà del progetto centrista, incapace di sfondare elettoralmente e ora colpito dal «caso Montecarlo » in cui è coinvolto Fini. Il leader di Fli si è rattristato per il modo in cui Casini lo ha invitato a dimettersi da presidente della Camera. È un ulteriore segno dello sgretolamento di un’area che un tempo fu maggioranza nel Paese. Difficile immaginare una ricomposizione nel rassemblement dei moderati, è certo che il Pdl vuole giocarsi la partita della sopravvivenza. Con o senza Berlusconi, questo è il rebus tuttora irrisolto. Ma se il Cavaliere non ha ancora dato il via al suo progetto, c’è un motivo: all’operazione «Italia che lavora » manca il quid. Letto 2519 volte.  Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||