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FUMETTI: Blondie

18 Febbraio 2009

[da: “Enciclopedia dei fumetti”, a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970]

L’AUTORE

MURAI «CHIC » YOUNGÈ stato scritto che Young, un « ingegno indolente che doveva for ­zare la propria natura per guadagnare trecen ­tomila dollari all’anno », è giunto ai fumetti più in conseguenza di situazioni ambientali che per convinzione personale. Nato nel 1901, a Cleveland, non rivela infatti durante gli anni di studio una particolare inclinazione artistica. Fa ­vorevolmente disposto per gli sport e le compa ­gnie femminili, accetta il destino della famiglia (una madre artista, una sorella che insegna arte e un fratello, Lyman, che si sta affermando nel mondo dei fumetti) con la stessa benevolenza con cui accoglie il soprannome di « Chic » impo ­stogli dai compagni di collegio. È ancora un amico di casa, il disegnatore Edgar Martin, crea ­tore di Bots and Her Buddies, a instradarlo nei comics, convincendolo che i personaggi fem ­minili avranno nelle strisce un grande avvenire. Abile nello schizzare figure di donne, egli ac ­cetta di buon grado un lavoro per ventidue dol ­lari alla settimana. Per caso gli viene proposto di trasferirsi a New York, al King Features Syndicate, con un compenso di diecimila dollari l’anno. Accettata l’offerta, Young tenta di im ­porre le sue idee, che sono poi quelle di ralle ­grare le strisce con splendide ragazze. Beautiful Babs, non a caso, è il titolo della sua prima creazione. Segue Dumb Dora, un’altra striscia incentrata sul sesso debole. L’eroina, come vuole il costume dell’epoca, è una flapper, os ­sia un personaggio infilato in un camiciotto flou e dalla vita lunga, che non esalta il fa ­scino, ma è pur sempre ritagliato sui modelli divistici del tempo. Ma un nuovo tipo di donna si sta intanto facendo strada nelle riviste e sullo schermo, in palcoscenico e nelle strade: quella che rifiuta di mimetizzare le proprie curve e non risparmia provocazioni (una Jean Harlow, per intenderci). Young coglie al fiuto l’occasione e «inventa » Blondie, una tipa – – come ha scritto Coulton Waugh – che gli uomini ame ­ricani si voltano a guardare perché è senza dubbio the prettiest girl in the funnies, la più invitante ragazza delle strisce. Con Blondie entrano nei fumetti decine di sue compagne altrettanto piacevoli e appetibili e per Chic Young è il trionfo economico, naturale conse ­guenza di quello popolare.

IL PERSONAGGIO

BLONDIE – « L’idea che nostro figlio, erede dei miliardi Bumstead, voglia sposare quella Blon ­die… Se Dagwood potesse vedere quella ra ­gazza nel nostro ambiente, si renderebbe conto che non sarà mai la moglie adatta per un gio ­vane del suo censo… Invitala a stare con noi per qualche giorno, basterà a guarirlo! ». Que ­ste, grosso modo, le iniziali battute della recita familiare iniziata da Chic Young il 15 settembre 1930 sulle pagine del quotidiano New York Ame ­rican Journal, sotto la testata di Blondie. È chiaro che si tratta delle affermazioni, chiaramente preoccupate, dei genitori del futuro protagonista-compagno della striscia, il quale, allo stremo della battaglia casalinga, non trova di meglio che esplodere in un: «…vorrei che fossimo povera gente qualsiasi, così potrei spo ­sare la ragazza che amo! ». La contrapposizione delle parti, dunque, è netta fin dall’esordio: da un lato i ricchissimi Ma e Pa Bumstead, coscienziosi difensori del proprio prestigio sociale e assertori convinti di una so ­cietà disposta a piramide (dove il denaro è il totem assoluto a cui inchinarsi) e, dall’altro, il timido ma non integrato Dagwood e la sua sventata Blondie, una ragazza del popolo con pochi capricci e una naturale sana convinzione nel matrimonio.
Poche strisce sono sufficienti a dare alla vi ­cenda un andamento che si stacca di netto dalle favole hollywoodiane dell’epoca. I modelli del cinema, come si sa, sono quelli che formano l’opinione pubblica americana degli anni trenta, allineando mitiche immagini di benessere e di sempiterna felicità. Di solito, gli eroi e le eroine di celluloide giungono al traguardo del « sì » dopo una variopinta serie di battibecchi e di incertezze, ma, pronunciato l’impegno, tutto si accomoda. Gli agiati genitori accettano la fidan ­zata povera (o il povero fidanzato, se le parti si scambiano) come una figlia, convinti del ­l’onestà del suo trasporto e della giusta scelta del loro amato erede. È il « lieto fine » che la platea attende fin dal primo fotogramma, par-teggiando per i deboli e immaginando che anche le classi at the top abbiano un cuore pulito. È, insomma, l’iterata soluzione di comodo che Hollywood ha manipolato per le sue storie pate-tiche: una persuasione neppure troppo occulta che la massa accoglie senza filtri con il mas ­simo della fiducia.
Blondie e Dagwood, invece, sfiorano solamente l’approdo delle commedie cinematografiche: giungono al matrimonio, ma Pa Bumstead non demorde dalla sua condotta: « Ricorda bene, Dagwood, se ti sposi contro la mia volontà… sei diseredato… e non venire poi a piangere da me: non ti darò mai un soldo! ». Potrebbe essere l’avvio di .una storia controcorrente, il riverbero del rifiuto di Chic Young alla suadente narrativa delle riviste femminili. Ma l’obiettivo del disegnatore è un altro. La settimana nera di Wall Street è appena passata, la crisi è an ­cora un vicino ricordo per tutti e sono in mol ­tissimi ad averla pagata di persona: è necessa ­rio lottare per riprendersi, rimboccarsi le ma ­niche per ricostruire l’economia sconnessa e riguadagnare il prestigio perduto. Chic Young intuisce questo momento psicolo ­gico d’attesa nella massa yankee e le propone allora un modello di comportamento contra ­stante – come s’è detto – con la favolistica di Hollywood, ma pur sempre in sintonia con la politica del potere. Blondie e Dagwood sono cioè gli eroi adatti alla situazione: lui ha « saputo » rinunciare alla propria vantaggiosa posizione, è ben disposto ai sacrifici per una famiglia, sulla strada di una tranquilla sistema ­zione; in quanto a lei, è al suo fianco con franco ottimismo. Una coppia da invidiare e da imitare per la disinvoltura con cui si dispone a far parte del numero dei « colletti bianchi », quelli che dovranno sopportare il maggiore peso della rinascita.
Che Dagwood, con il procedere della storia, rinunci ai sogni della vigilia e si accontenti di uno stato piccolo-borghese è un fatto che Chic Young sottolinea abbastanza concretamente. Del leggendario benessere non gliene toccano che briciole, quanto tuttavia gli basta per non dover affrontare gravi crisi di bilancio dome ­stico e sopperire alle necessità di una fami ­glia che nel frattempo (il 15 aprile 1934) è aumentata con la nascita di Baby Dumpling. L’attacco alla sua fantasticata libertà gli viene da un’altra frontiera: quella della società indu ­striale che si è già organizzata ad aggredirlo con verbosi commessi viaggiatori, instancabili piazzisti e inesorabili inviti pubblicitari. Dag ­wood, con la complice prevaricazione di Blondie, si trova sempre più invischiato in un giro di obblighi e di impegni che lo integrano gradual ­mente nel sistema.
È a questo punto che l’ottica di Chic Young, alla partenza abilmente stimolatrice e anche, se si vuole, « propagandistica », si muta in uno sguardo attento alle condizioni esistenziali della middle-class americana e critico nei riguardi delle stressanti imposizioni che essa è co ­stretta a subire. La « fatica » del vivere quoti ­diano è sottolineata dall’artista riunendo attorno al suo eroe le situazioni più eterogenee: la vita d’ufficio, i rapporti con i vicini, i capricci dei figli (a Baby Dumpling si aggiunge più tardi, nel 1941, l’altro erede, Cookie), le non ricusabili richieste della moglie, le sorprese e le consue-tudini di un’esistenza pianificata (non dal pro ­tagonista, certamente). Da questa complessità di legami Dagwood cerca di uscirne alla meno peggio, ora accettando, ora ripiegando, ora ras ­segnandosi, ma alla base della storia sta la sua convinzione di non poter assolutamente uscire da un cappio sempre più stretto che non gli concede alternative.
È chiaro che certe analogie strutturali hanno spesso invitato la critica al raffronto Blondie e Dagwood-Arcibaldo e Petronilla, avvicinando l’eroina di Chic Young alla matriarca Petronilla e il « piccolo » Dagwood al coriaceo Arcibaldo. Le similitudini possono sembrare trasparenti, ma una fondamentale diversità deve essere annotata, al di là, s’intende, di non poche ca ­ratteristiche minori: quella di essere Blondie una storia in progress (a differenza della si ­tuazione « chiusa » di Bringing Up Father) in ­terpretata da due personaggi che per età e motivazioni non possono considerarsi « finiti ». Mentre Arcibaldo e Petronilla recitano uno spettacolo, amabile e garbato quanto si vuole, che ha smesso da tempo di interessare quale rifrazione di un’America in fieri, Blondie e Dagwood possono tuttora offrire spunti e indi ­cazioni non marginali per una costante rico ­gnizione della fascia sociale cui appartengono. Il loro limite, semmai, il limite cioè della loro stessa essenza, è quello di aver ristretto al massimo l’orizzonte della striscia in un per ­corso obbligato casa-ufficio, che non offre aper ­ture consistenti, né un soddisfacente raggio d’azione, né ancora investigazioni oltre un an ­dirivieni scarsamente indicativo. Ma di questa limitazione, a giudicare dalle sta ­tistiche che gli esperti offrono a riprova della popolarità della striscia di Blondie, i tenaci lettori del fumetto non sembrano accorgersi. Milletrecento quotidiani (oltre a riviste e pub ­blicazioni varie) divulgano ogni giorno, in di ­ciassette lingue e per oltre settanta milioni di utenti, le avventure di uno stanco eroe che rap ­presenta, da quarant’anni, un pretesto di iden ­tificazione per chi mitiga la propria fatica man ­giando, dormendo e facendo il bagno ogni volta che può.


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Bart