FUMETTI: Tiffany Jones13 Ottobre 2013 [da:”Enciclopedia dei fumetti” a cura di Gaetano Strazzulla, Sansoni, 1970] GLI AUTORI PAT TOURRET E JENNY BUTTERWORTH – Gli anni sessanta sono stati senza dubbio i più generosi per il fumetto di produzione britan nica. Non che esso sia nato in quest’epoca re centissima; illustri predecessori come Buck Ryan e Garth, per fare solo un paio di esempi, risalgono, con buona fortuna, a trent’anni prima. Si vuole solo dire che la spinta più generosa, di netto antagonismo, conservando caratteri stiche nazionali inconfondibili, nei confronti del comic statunitense che sempre ha straripato nei fogli europei, la strip inglese l’ha avuta in giorni a noi molto vicini. Sembrerà strano tutto ciò, essendo la Gran Bretagna la patria — si può dire â— della vignetta umoristica, satirica, parodistica, di contenuto sociale e politico. Un genere grafico di sferzante forza polemica che idealmente si somma tutto nella testata cam pione più rappresentativa: Punch. Negli anni sessanta, dopo un periodo di rodag gio, si afferma il personaggio fantascientifico Jeff Hawke di Sidney Jordan; prende beffarda sostanza il « mezzemaniche » Bristow di Frank Dickens; dalla pagina scritta di lan Fleming e di Peter O’Donnel trovano dimensione grafica due supercampioni del genere spionistico: Ja mes Bond e Modesty Blaise. Soprattutto que st’ultima, espressa con affascinante dinamismo dalla penna di Jim Holdaway, raccoglie falange di fans. Un successo meritato. Nascono quindi, il primo dovuto ancora ad Hoidaway qui in pieno terreno umoristico, la seconda uscita dal team Rat Tourret e Jenny Butterworth, lo scalci nato, timidissimo, imprevedibile detective Ro meo Brown, basato insieme alla sua comicità sull’erotismo dei personaggi femminili che gli ruotano intorno, e la svagata fotomodella bionda e attraente, nonostante la sua aria disarmata (o forse proprio per questo), Tiffany Jones. Il cu rioso della faccenda, per quanto riguarda que st’ultima, è che il summenzionato team Tourret e Butterworth appartiene al sesso femminile. Cre diamo si tratti dell’unico caso, nella storia del fumetto mondiale, voluto e creato da Mr. Julian Phipps, art editor della Associated Newspapers. Un giorno del 1964, costui si mise in testa di dar vita a un nuovo personaggio in gonnella, capace di continuare in qualche modo il suc cesso che per tanti anni presso il pubblico ma schile (successo straripante durante la guerra tra i soldati) era stato monopolio della bionda, generosa di curve e di furba ingenuità (nonché di facili strip-teases) Jane di Norman Pett. Non solo. Mr. Phipps, il quale aveva nella mente già completo il nuovo personaggio, agganciato ai tempi nuovi, come specchio di tanta gioventù « moderna » londinese, chiamò sia per la ste sura dei testi, sia per la confezione dei disegni, appunto due donne, entrambe â— sia pure non nel campo fumettistico â— già affermate, pos siamo dire di buona popolarità: Pat Tourret ebbe il compito di dare realizzazione grafica alle storie sceneggiate che sarebbero state scritte da Jenny Butterworth. Pat, originaria del Kenton (Middlesex), ha altre due sorelle che, come lei, disegnano e dipingono, le cui firme sono piut tosto quotate. Quanto a Jenny, sappiamo che è laureata in lingua inglese alla London University, che vive con il marito Mike, pure lui scrittore e « artista », e con i tre figli nati dal matrimonio, a Newmarket. Le notizie biografiche si fermano qui: è già qualcosa, trattandosi di donne. Le date di na scita sono intuibili. Entrambe devono essere ab bastanza giovani, sebbene non giovanissime, ca paci quindi di sapere interpretare le mode, i gusti, gli atteggiamenti dei giovani adeguando-visi con una partecipazione equilibrata, priva di totale partecipazione, comunque comprensiva e assolutamente acritica. Anche se talora dalla strip affiora qualche motivazione mordace, di sottolineatura ironica. Esattamente il 16 novem bre 1964, dunque, il Daily Sketch si arricchisce di una nuova striscia (in Italia sarebbe apparsa solo pochi mesi più tardi, nel marzo 1965). Prima che in America, dove apparve comunque presto e dove poté verificarsi l’operazione con traria a quella che per decenni aveva caratte rizzato il mercato dei fumetti. Una striscia in glese riusciva cioè a condizionare gli acquisti e veniva diffusa in tutti gli States e nel Canada. Prima tappa che doveva condurre alla diffusio ne pressoché mondiale di questa testolina ricca di capelli dorati, assennata per quel tanto che le basta conservarsi « immacolata » (nei senti menti, ché i suoi contatti con l’altro sesso sono naturalmente frequenti anche se sempre giusti ficati) lungo un itinerario che gode di ottima popolarità tra i fruitori d’ambo i sessi. Oggi le strisce di Tiffany Jones appaiono sulle pagine di giornali di ventitré paesi, e in taluni di essi, come sovente accade con i personaggi dei fumetti (valga l’esempio di Mickey Mouse, divenuto da noi Topolino e camuffato sotto di versa identità dentro i confini di ogni diversa nazione che pubblica e diffonde le sue storie) è chiamata in modo differente. In Germania, per esempio, è divenuta Peggy nelle strisce giorna liere e Conny nelle pagine domenicali. In Svezia si chiama Anita, in Danimarca Bebs. Negli Stati Uniti la sua immagine appare spesso, come una cover-girl in carne e ossa (e Tiffany è comun que una modella) sulle copertine appunto di ri viste di ogni Stato: dal Texas al Massachusetts, da Long Island a Seattle… È stato chiesto a Says Noel Barber, manager dell’Associated News papers Syndication un giudizio plausibile di questo successo a catena, esploso in brevis simo tempo. Ha così risposto: « Lo si deve al fatto che Tiffany è la personificazione della swinging London, della Londra alla moda, della Londra elegante, della Londra sofisticata ma con accettabile sobrietà. Tiffany inoltre è gio vane ed è l’immagine in cui si riflettono le ra gazze, non solo inglesi, di oggi. Usa infine un linguaggio comprensibile ovunque, alla portata cioè dei fruitori giovani sia di Hong Kong sia di Copenaghen ». IL PERSONAGGIO TIFFANY JONES – Che questo personaggio esca dalle mani di cartoonists inequivocabilmente fem mine se ne ha conferma a ogni vignetta, a ogni battuta ch’essa pronuncia, a ogni situazione in cui si trova invischiata. Una questione squisi tamente psicologica. Di lei, Jacques Sadoul, nel suo volume Enfer des bulles, scrive questa lapi daria didascalia come commento di alcune im magini che colgono Tiffany in atteggiamenti in timi: nella vasca da bagno mentre s’insapona una delle sue tornite lunghe gambe e mentre si spazzola i lunghi morbidi capelli: « Mens sana in corpore sano ». Squisita piccola giovane ragazza britannica. Perché infatti Tiffany, pur esplicando un’attività che comporta una certa spregiudicatezza, com’è quella appunto della fotomodella, dell’indossa trice, dell’attrice cinematografica, anche, all’oc casione, e di shorts pubblicitari per la televi sione, nella libertà delle sue decisioni, delle sue scelte, insomma dell’intera sua vita (non cono sciamo la sua famiglia: per il lettore non esiste alcun suo aggancio con un qualsiasi nucleo di parenti vicini o lontani), è una donna fonda mentalmente sana. Un poco ingenua, talora, ma solo per le « fiammate » che può prendersi nei confronti di un play-boy intraprendente e belloccio per quel tanto ch’è sufficiente a far so gnare qualsiasi diciottenne. Graficamente è resa con segno di pennino pre ciso, e non soltanto lei, ma tutto ciò che si vede all’interno di ogni quadretto, figure umane e paesaggi e interni ed esterni di case, strade e macchine, dona un insieme di pulizia, di accu ratezza, di « incisione », come qualcuno ha scritto. Non siamo d’accordo con chi ha voluto invece paragonare i suoi intrecci, il dipanarsi delle sue vicende, al fumetto sentimentale di marca italiana che ebbe origine sul settimanale Grand Hotel nell’immediato dopoguerra (più tardi modificato e in parte soppiantato appunto dalle storie fotografiche). Non siamo d’accordo in quanto alla originalità del segno grafico fa riscontro una maggiore cesellatura delle psico logie. Insomma Tiffany è più elaborata: la sua dimensione di ragazza « indipendente », le sue debolezze appunto psicologiche, le sue fragilità, i suoi rientri, i suoi ripensamenti e i suoi rin-savimenti hanno sfumature accettabili, che van no al di là, anche, di certa staticità, tutt’altro che fastidiosa, anzi!, del disegno. Perché piace alle donne? Perché è uno dei fu metti â— rarissimi! â— preferiti dalle giovani? Ri sponde Julian Phipps: « Perché Tiffany è la quin tessenza della ragazza londinese moderna che ha vissuto nei quartieri alla moda, King’ Road, Chelsea, Annabel’s; destinata quindi in partenza a piacere da una parte alle così dette dolly-girls, diciamo alle giovinette spregiudicate, « lo lite » in senso lato, studentesse, giovani spose, dall’altra ai lettori giovani e dell’età di mezzo. Per i suoi vestiti, sempre rifatti esattamente su modelli autentici di moda in quella particolare settimana o in quel preciso scorcio di stagione, ma anche per la sua candida vulnerabilità ». Tiffany, cioè, suscita tenerezza. Divide spesso la propria stanza con un’amica, ma sostanzial mente è sola. Tanto da dover ricorrere, all’oc-correnza, al computer di un’agenzia tuttofare per tentare di trovare la ragazza giusta che possa senza troppi sbalzi convivere a metà spese nel suo miniappartamento. E in quanto sola, è aperta con i suoi diciotto anni .e con il suo cuoricino palpitante affettuosità a ménages con l’altro sesso talora deludenti. Ne esce però incontaminata. Con un’esperienza in più, però ricca di un ottimismo integro. Viaggia spesso, come richiede il suo lavoro. Il fumetto, quindi, si arricchisce di scenari diversi. E talora incappa nelle pieghe del « giallo », della vicenda tinta di sfumature drammatiche. Appena qualche ac cenno, incapace di turbare oltre una certa mi sura l’equilibrio emotivo delle fruitrici cui il fumetto è destinato. Quanto ai lettori, il lieve sapore erotico che emana dal corpo perfetto, e messo in risalto da opportune toilettes, di Tiffany Jones è una si cura e insostituibile componente d’attrattiva. Te nuto inoltre dentro una calibrata misura che impedisce alla striscia di scadere nel cattivo gusto e quindi nella volgarità. Tiffany è dun que una figuretta del nostro tempo. Rappresenta gli echi morali e insieme spregiudicati della odierna gioventù economicamente soddisfatta e quindi indipendente. Il suo volto incorniciato da una chioma acconciata all’ultimo grido, sempre però rispettosa della frangia che abbondante le cade sulla fronte, finisce per essere la cosa più attendibile che il fumetto ci abbia dato nei suoi settant’anni e oltre di vita.
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