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Tre articoli

7 Gennaio 2012

Gianfry, Casini e Rutelli bruciati dal sole delle Maldive
di Giordano Tedoldi
(da “Libero”, 7 gennaio 2012)

E l’anno prossimo, i virtuosi sostenitori del sobrio governo Monti, dove stapperanno lo champagne? A Honolulu? A Las Vegas? All’isola di Mustique? Quale sarà la meta che Fini, Casini e Rutelli sceglieranno per dimostrare concretamente che sono vicini ai sacrifici degli italiani, che la classe politica, dopo l’orgia del potere berlusconiana, ha comportamenti normali, che non è una casta di ricconi sfaccendati senza alcun rapporto con i guai dell’uomo della strada? Sgombriamo il campo da alcuni ingiusti sospetti. Ognuno, persino un leader del terzo polo, è libero di andare dove gli pare e piace. Le Maldive, dove costoro insieme a Schifani e Stefania Craxi hanno passato il capodanno, non sono uno stato canaglia. Sono atolli da sogno nell’oceano indiano. Il desiderio di andarci è umano, e i nostri politici, per quanto continuino a fornire prove del contrario, sono ancora umani. Né si può pensare che, se lo stato maggiore del terzo polo fosse rimasto in Italia, a fare il capodanno a Cerro sul Lambro, i mercati avrebbero smesso di azzannarci. Ma il problema è che il mantra della sobrietà, questa fesseria cosmica, è stato brevettato da loro. Sono loro che quando il governo Monti si è installato hanno vistola Madonna, come dimostrava il bigliettino di Enrico Letta al neopremier, in cui si blaterava di miracolo. Sono loro che ci hanno spiegato che quel sibarita di Berlusconi, quel satrapo persiano che poi nelle sue ville off-shore ci sarà andato due volte negli ultimi vent’anni, preferendo rinchiudersi nella gotica maestà della villa brianzola, era la dinamite che faceva saltare in aria lo spread. Dunque sono loro che avrebbero dovuto, per primi, dare l’esempio.

Abbronzatissimi E invece eccoli che tornano abbronzatissimi dalle isole incantate, con la proverbiale sabbia bianca e le acque cristalline, dopo aver soggiornato in cosiddetti resort, strutture di vacanza che, solo a visitarne il sito internet, ti senti alleggerito nel portafogli e la carta di credito sanguina. Rutelli, che a dir la verità la faccia di incarnato un po’ bronzeo la doveva avere già alla nascita, è stato l’unico a avere la condiscendenza di rispondere alle critiche: «Mia moglie e io abbiamo fatto il viaggio di nozze che non avevamo fatto   in trent’anni ». Per carità, nelle questioni coniugali di casa Rutelli non osiamo mettere il dito, anche se spiace che egli abbia chiosato, con visibile coda di paglia: «Se qualcuno vuol scriverne in modo diffamatorio, se ne occuperà il mio avvocato ». A noi, più che col suo avvocato, piacerebbe avere a che fare col suo tour operator, così tanto per sapere, saldi alla mano, quanto è costato il viaggio di nozze a scoppio ritardato.

Guarda il video del vicedirettore Pietro Senaldi su Libero Tv

Le spiegazioni Casini e Fini, invece, sobriamente, hanno scrollato le spalle. Certo, non sono tenuti a dare alcuna spiegazione. Anche perché, francamente, c’è poco da spiegare, a meno che anche loro avessero un anniversario in canna da trent’anni. Più probabilmente, e senza puerili giustificazioni, avevano solo voglia di concedersi una lussuosa e sontuosa vacanza. Così adesso, fenomenologicamente, li conosciamo bene, questi portavoce della sobrietà. I signori che ci hanno venduto l’era del governo Monti come quella in cui tutti saremmo diventati misurati, pudichi, quasi squallidi. Ci hanno ripetuto che il Caimano, così eccessivo, doveva sloggiare perché la politica dei mercati globali è fatta di credibilità, di immagini e di segnali, e se potessero avrebbero scritto un Elogio della tristezza come fattore fondamentale per la stabilità finanziaria. E infatti, eccola qui l’immagine che ci hanno consegnato, a noi e al mondo, nel capodanno 2012: belli spaparanzati al sole dell’atollo, forse nelle notti stellate avranno avvistato anche lo spread sfrecciare a quote cosmiche, ma sarà stato solo il pensiero di un momento, che non avrà rovinato lo snorkeling della mattina dopo né il sapore della frutta esotica. Intanto in Italia, il loro governo, quello del miracolo, torchiava gli Italiani i quali, altro che andare in vacanza, a malapena non si sono rifugiati sotto un ponte. Naturalmente tra poco più di un anno, il presidente Monti avrà concluso il suo mandato. Ma questi signori, il trio abbronzato, che sicuramente offrirà un gran contrasto cromatico con le poltrone bianche di Porta a Porta, rimangono. Ecco il problema. Monti è come un mercenario (anche se non si fa pagare, a onor del vero) e prima o poi tornerà alla Bocconi, i nostri politici villeggianti extralusso, invece, saranno quelli che meneranno le danze della prossima campagna elettorale. Quale danza? Ma il Bodu Beru, naturalmente, tradizionale delle Maldive.


Monti lo sa: è un disastro
di Vittorio Feltri
(dal “Giornale”, 7 gennaio 2012)

Meglio tardi che mai. Anche Mario Monti ha compreso che i guai italiani (debito pubblico a parte) non dipendono tanto dalla nostra incapacità di reagire alla crisi internazionale, quanto dal marasma dell’Unione europea che sta inghiottendo l’euro con conseguenze drammatiche. Il premier, visto il crollo della Borsa e le crescenti difficoltà interne, giovedì è corso a Bruxelles nella speranza di avere lumi dalla Comunità. Ma non pare che la luce si sia accesa. E ieri, come previsto, si è incontrato con Nicolas Sarkozy. Scontato il tema della discussione fra i due: come faremo a salvarci?

La situazione, infatti, nonostante gli sforzi dei vari Paesi membri, non è migliorata rispetto a mesi orso- no. L’Italia, in particolare, non riesce a trovare una via d’uscita. Molti si erano illusi che il ritiro di Silvio Berlusconi avrebbe avuto effetti benefici  non solo sui mercati ma anche sull’economia. Qualcuno, come Rocco Buttiglione (per citarne uno), si era addirittura lanciato in previsioni esaltanti: «Se il Cavalie ­re toglie il disturbo, lo spread gua ­dagnerà 300 punti ». Ullallà! Nem ­meno per sogno. Lo spread conti ­nua imperterrito a viaggiare sopra quota 500 e non accenna a scende ­re. Come mai?

Evidentemente il problema non era a Palazzo Chigi e neppure delimitato daipatrii confini. Il nuovo governo prima ancora di esordi ­re con un provvedimento era stato osannato. Poi incoraggiato, e an ­cora applaudito. La manovra solo tasse e niente tagli alla spesa corrente (eccettuate le pensioni), pro ­pagandata dalla stampa come in ­dispensabile alla sopravvivenza, ha messo invece in ginocchio pa ­recchi cittadini e non ha aiutato l’Italia a rialzarsi. L’agognata fase due, quella che dovrebbe stimola ­re la crescita economica, è di là da venire. Se ne parla. Le si attribui ­sce un potere taumaturgico. Ma finora è soltanto un sogno.

Le indiscrezioni trapelate sui contenuti delle misure, posto che siano fondate, sono deludenti: la riforma del lavoro è vaga e si ha l’impressione che sia destinata a rimanere una buona intenzione; le liberalizzazioni sono all’acqua di rose e riguardano poche catego ­rie, le meno tutelate dalle lobby: farmacisti, tassisti, edicole. Roba minima che, fra l’altro, susciterà proteste a non finire. Insomma, l’impresa dei celebrati professori si sta rivelando più difficile (con esiti al momento fallimentari) di quanto si pensasse. D’accordo, bi ­sogna dare ai ministri il tempo per riordinare le idee. Ma il tempo pas ­sa (quasi due mesi se ne sono an ­dati) e di idee neppure l’ombra. Tanto che la sfiducia e il pessimi ­smo stanno subentrando all’entu ­siasmo iniziale.

A Monti cominciano a ballare i cerchioni. E lui si renderà conto che rischia di perdere la partita, se non l’ha già persa. Per quanto as ­sai convinto dei propri mezzi, il bocconiano, proprio perché esperto, avvertirà le minacce che gravano sull’Europa e se ne preoccuperà, anche se è attrezzato per dissimulare i suoi timori. Lodevo ­le il comportamento freddo e di ­staccato del premier, però le gra ­ne sono più grandi di lui, come era ­no più grandi di Berlusconi.

L’implosione dell’euro è dietro l’angolo ed è probabile avvenga presto. Ventisette Paesi, ciascuno con storie, lingue, economie e po ­tenzialità diverse, non si tengono insieme con una moneta unica che non rappresenta nessuno di essi. Ci vorrebbe un miracolo. Ma non sarà certo Monti a compierlo. È un bravo professore, non un dio.


Più incapaci che ladri
di Maurizio Belpietro
(da “Libero”, 7 gennaio 2012)

Giovedì sera ho partecipato alla trasmis ­sione che Corrado Formigli conduce su La7. Argomento: gli evasori e a seguire gli emolumenti della Casta. Niente di nuovo: il solito teatrino. Il parlamentare che perde le staile, l’altro che gli risponde sui denti e così via per l’intera serata. Non ci sarebbe dunque nulla da dire, se non che durante il programma ho avuto la riprova di quanto gli onorevoli siano sordi alla sollecitazione a ridirne i costi della politica. Di fronte allo tsunami che si sta per abbattere sul Palaz ­zo – una gigantesca onda di disgusto dell’opinione pubblica nei confronti di tutto ciò che ruota intorno a partiti e istitu ­zioni – essi si affannano a discutere se la lo – ro retribuzione sia o meno superiore a quella dei colleghi francesi o tedeschi. Per i rappresentanti del Parlamento tutto si ri ­duce a una questione meramente conta ­bile, a un confronto dei trattamenti fiscali e a una perequazione trai benefit di cui godono i colleghi esteri e i loro.

Difficile dire se si tratti di pura e sempli ­ce miopia o di un’astuta manovra per evi ­tare di affrontare il centro del problema. Sta di fatto che deputati e senatori difen ­dendo i loro stipendi paiono non capire che il tema non è costituito da quanto gua ­dagnano. 0 meglio: esiste anche quello. Sedicimila euro è una cifra che pochi in Italia hanno mai visto tutta insieme e sa ­pere che i rappresentanti del popolo prendono in un solo me ­se ciò che la maggioranza del popolo in ­cassa in un anno non mette di buon umore. Però credo che l’irritazione pro ­fonda della gente derivi dal fatto che, ol ­tre a ricevere lauti emolumenti, i politici testimoniano quotidianamente il loro fallimento. Mi spiego subito. A me interessa poco se l’onorevole guadagna più o meno di me. Ciò che mi preme è che sappia far funzionare il Paese. Se fosse in grado di esprimere un governo che ridu ­ca le tasse facendole pagare a tutti in misura equa e distribuendo servizi efficienti a tutti i cittadini, io sarei disposto a pa ­garlo il doppio di quanto prende ora. Il nodo è dunque se i rappresentati del popolo ci rappresentano bene o male. Se siano cioè in grado di fare ciò per cui so ­nono stati eletti. Purtroppo, a giudicare dai risultati, ossia da quel che è accaduto ne – gli ultimi anni, direi di no. Dunque, mille, diecimila o ventimila euro per me sono soldi buttati via, indipendentemente che siano più o meno rispetto a quelli che vengono corrisposti ai parlamentari di altri Paesi europei.

C’è di più. L’altro ieri Libero ha docu ­mentato quali siano i costi delle istitu ­zioni in Francia, Germania, Gran Breta ­gna e nel resto della Ue. Facendo una media, le Camere e le Presidenze della Repubblica, oppure le Corone laddove esiste la monarchia, non costano più di 500 milioni di euro. Da noi la cifra è più del triplo, ossia 1 miliardo e ottocento milioni, vale a  dire 1,3 miliardi di troppo.

Il dato, indipendentemente dallo sti ­pendio dei parlamentari, è un monu ­mento al fallimento della nostra classe politica. Spendere tre volte tanto per avere un Parlamento il quale produce leggi che non funzionano e che compli ­cano la vita dei cittadini anziché facili ­tarla non può non produrre irritazione.

Avere istituzioni che in oltre sessant’an ­ni di vita sono cresciute a dismisura, di ­vorando la ricchezza dei contribuenti e moltiplicando i costi – senza riuscire pe ­rò a risolvere i problemi di questo Paese, ma anzi spesso aggravandoli – è la testimonianza di una bancarotta. La prova quotidiana che la classe politica, non riuscendo a incidere nemmeno sulle istituzioni che essa rappresenta, difficil ­mente riuscirà ad affrontare e risolvere i guai della nazione.

È questo il nocciolo. Oggi che la crisi economica impone a tutti i Paesi occi ­dentali una gestione rigorosa della cosa pubblica, balza agli occhi l’incapacità della nostra classe diligente di saper af ­frontare i problemi. Dopo aver riempito Montecitorio di barbieri, valletti, reggi ­coda e lustrascarpe; moltiplicato uffici, auto, spese e nonne, non essendo capaci di far dimagrire la bestia affamata che hanno creato, deputati, senatori e presi ­denti (del Consiglio e della Repubblica) danno quotidianamente dimostrazione del dissesto politico in cui siamo precipi ­tati. Insomma, ciò che voglio dire è sem ­plice. O i nostri parlamentari provano a smontare la macchina mostruosa che essi e i loro predecessori hanno creato in sessant’anni di Repubblica, o è meglio che si facciano da parte. Se ne hanno uno, tornino a fare il loro mestiere. Se non ce l’hanno cerchino di impararlo e lascino fare il proprio a chi ce l’ha. Come scriveva nel 1929 Luigi Einaudi, futuro capo dello Stato quando lo Stato era an ­cora una cosa seria: «Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi, i quali sono persuasi di avere il dono divino di guida ­re i popoli nel procacciarsi il pane quoti ­diano. Troppo a lungo li abbiamo sop ­portati. I professori ritornino a insegna ­re, i consiglieri di Stato ai loro pareri, i mi ­litari ai loro reggimenti e, se passano i li ­miti d’età, si piglino il meritato riposo, gli avvocati non si impiccino di fare miscele di caffè o di comprare pelli o tonni. Ognuno ritorni al suo mestiere. (…) Co ­loro che lavorano sono stanchi di essere comandati dagli scribacchiatoli di carte d’archivio ». Soprattutto, sono stanchi di pagare.


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Bart