LETTERATURA: Guerre indiane
5 Settembre 2007
di Daniela Toschi
Arrivammo alla tomba di Toro Seduto, a Mobridge, nel South Dakota, dopo una tappa di oltre 500 chilometri, al tramonto, e rimanevano pochi minuti per fare le foto.
Non c’era segno di presenza umana salvo poche luci isolate, in lontananza, sull’altra sponda del Missouri.
Davanti alla tomba di Toro Seduto ebbi una specie di insight. Con un processo simile al pensiero primario (quello dei sogni, degli psicotici e dei primitivi) ebbi la sensazione di comprendere in un lampo tutta la sua vita e tutta la mia vita, forse la vita dell’uomo. Sensazione fugace e imprendibile: la solita visione con la coda dell’occhio, che quando ci punti lo sguardo scompare e non la riafferri più.
La lapide sotto al monumento diceva che il villaggio natale di Toro Seduto era lì, sul Missouri, e lì, dopo molte peregrinazioni in vita e in morte, erano state riportate le sue spoglie. Un cerchio che si chiude.
Era uno di quei luoghi fortemente suggestivi: una solitaria prateria dorata, accesa dal tramonto e solcata dal fiume azzurro cobalto. Silenzio assoluto. E il monumento alludeva a qualcosa, con potenza archetipica.
Dopo aver scattato qualche foto proseguimmo oltre, verso Cheyenne, e lungo il tragitto ero invasa da ricordi sepolti e confusi di guerre indiane e del circo di Buffalo Bill. In America lungo la strada si respira l’universo, come deve aver detto Kerouac, e secondo me anche la storia, forse perché più recente, forse perché i luoghi non appaiono contaminati dalle costruzioni come da noi. E dal Manitoba al South Dakota le grandi praterie, le Black Hills, le Badlands, luoghi di guerre indiane, ci avevano più volte offerto la visione di tribù, battaglie, fughe, agguati.
Quella notte al Motel sfogliai ossessivamente le guide e i libri che avevo acquistato in viaggio alla ricerca di notizie su Toro Seduto, e in particolare sulle ultime tappe della sua esistenza, che non conoscevo.
Ritenuto il maggior responsabile della sconfitta di Custer a Little Bighorn, aveva cercato rifugio in Canada, ma era stato vinto dalla nostalgia della sua terra ed era tornato: “Io chino il capo”, aveva detto.
Si era allora adattato alla vita nella riserva di Standing Rock e aveva accettato di far parte del circo di Buffalo Bill, il Wild West Show, riscuotendo grande successo.
Infine era stato ucciso da Testa di Toro, un indiano poliziotto al servizio dei bianchi.
Una figura complessa. Da filosofo e profeta a capo guerriero che aveva condotto le guerre indiane all’ultimo sangue. Da esule a fenomeno da circo. Da presente fautore della “danza degli Spettri” a vittima, in un certo senso, del proprio popolo.
Passaggi inspiegabili, contraddittori, eppure per me misteriosamente allusivi. Il viaggio continuò verso la costa californiana e gli spettri degli indiani scomparvero.
Ma al ritorno in Italia sviluppammo le foto e quella del monumento di Toro Seduto era magica. E’ tuttora in una piccola cornice. Mio marito ed io ci siamo chiesti più volte se era il caso di farne un ingrandimento, come facciamo di solito con le foto più belle, ma non l’abbiamo mai fatto: è sacra, è tabù, lo spirito dell’universo, l’anima dell’umanità … O semplicemente è qualcosa di più di una foto perché vi ho proiettato qualcosa di importante che non so definire. Spesso la osservo, la penso. Ai piedi del monumento ci sono io, colta in quell’atteggiamento interrogativo. Quando la osservo o la penso sono ancora in atteggiamento interrogativo. Mi sono chiesta qual è la mia domanda e qual è la risposta. Ma non c’è risposta, solo associazioni di ricordi e di pensieri. “Il processo primario del pensiero va dove col processo secondario non si arriva se non con le più rigorose analisi freudiane”, dice mio marito.
Una volta ho osato un’interpretazione.
Il ciclo di vita di Toro Seduto, dal suo villaggio natale sul Missouri alla sua tomba sul Missouri, rappresenta (e prego di fare attenzione ai termini e alla loro consequenzialità ) la consapevolezza, la giustizia, la lotta, la sconfitta, la fuga, l’adattamento ridicolo, la ribellione all’adattamento, la sconfitta definitiva.
Si diviene consapevoli di una situazione e in base a ciò si forma un ideale di giustizia. Per la giustizia si combatte, e, se si perde, allora si fugge. Ma non si può fuggire per sempre: l’esilio ci annulla. E talora la via di fuga non esiste. Allora si tenta di adattarsi. L’adattamento può essere ridicolo e poco dignitoso: Toro Seduto, guida spirituale e grande capo guerriero dei Sioux, nel circolo di Buffalo Bill! La lotta riprende, infine ci si arrende a malincuore e si viene uccisi da un alter ego (Testa di Toro) che si è invece definitivamente arreso e adattato, perdendo sé stesso.
Toro Seduto è l’eroe che sopravvive alla sconfitta. Generalmente l’archetipo dell’eroe è quello di colui che muore sul campo di battaglia. Cavallo Pazzo, morto a trentatré anni nel pieno della gloria, ha una grandezza facilmente comprendibile, come Braveheart e molti altri che una morte precoce e tempestiva ha sottratto all’inevitabile contaminazione della vita. Toro Seduto, sopravvissuto all’età degli eroi, ha dovuto percorrere una serie di sequenze di vita all’apparenza meno eroiche. E’ l’archetipo di chi combatte, si arrende e cerca di sopravvivere con alterne vicende, senza mai perdere la sua dignità , il suo scopo. Chi di noi sa quanto costa “piegare il capo”, sentirsi ridicoli nei nostri sforzi adattativi, essere traditi dai numerosi Testa di Toro che ci circondano ed essere talora costretti a tradire noi stessi, ammetterà che Toro Seduto meriterebbe un monumento altrettanto grande di quello di Cavallo Pazzo, per il quale è stata scolpita un’intera montagna.
Ho letto una biografia di Toro Seduto, che credo confermi questa mia personale intepretazione. L’autore ha riscontrato la serie di passaggi che ho descritto, ed è con questi che giustifica l’atteggiamento ritenuto ambiguo e le interpretazioni discordi sul carattere di Toro Seduto.
Un passaggio del libro infine spiega il simbolismo che colgo nel fatto che Toro Seduto sia stato ucciso non dal nemico, ma da Testa di Toro, un Lakota come lui, e quindi una specie di alter ego. E’ una delle ultime profezie avute da Toro Seduto, quando ormai si trovava in confino più o meno volontario nell’agenzia di Standing Rock:
Una mattina al sorgere del sole, assalito dalla tristezza, percorse cinque chilometri e raggiunse il luogo dove aveva impastoiato alcuni cavalli. Mentre saliva su una collina, udì all’improvviso una voce risuonare poco lontano. Si fermò e tese l’orecchio fino a quando, su un piccolo dosso di fronte a lui, scorse un’allodola. Fin dall’infanzia aveva sempre avuto un rapporto speciale con gli uccelli, ma le amiche migliori per lui erano le allodole; le considerava dispensatrici di saggi consigli a cui la gente avrebbe dovuto dare ascolto. Ora l’allodola gli parlò in Sioux: “I Lakota ti uccideranno”. L’avvertimento lo addolorò moltissimo. Da quel momento sembrò veramente convinto che sarebbe stato ucciso dalla sua gente.
Nella dura lotta per la vita, il popolo indiano uccide se stesso. La parte di noi “ragionevole” che si arrende uccide la parte genuina di noi, ogni nostro ideale di giustizia.
La storia di Toro Seduto assomiglia a tante storie umane. E’ forse la storia di ognuno di noi: ideali, lotte, fughe, adattamenti ridicoli, rese… Apparenti contraddizioni necessarie per la sopravvivenza.
Ma c’è qualcosa di più.
La reazione dell’uomo di fronte ai grandi mutamenti storici e sociali, in particolare a quelli che portano allo sterminio di culture e valori, è un tema infinitamente grande e Toro Seduto lo rappresenta bene.
Toro Seduto, nel suo ciclo di vita, tentò ogni strategia di sopravvivenza, per se stesso, per la sua cultura, per il suo popolo.
E non è solo questione di indiani.
Gli indiani non difendevano solo la proprietà della propria terra, ma un particolare rapporto con la terra, quello che oggi cerchiamo di riconquistare. Meno antropocentrico, ma l’unico, alcuni dicono, che garantirà la sopravvivenza della specie umana.
Sembra che fino a mille, duemila anni fa anche le popolazioni indigene anglosassoni avessero un rapporto con la terra simile a quello degli indiani. Invasori antropocentrici lo distrussero. Lo ritennero barbaro e pagano. Tra le righe di una storia raccontata dagli invasori, emerge una resistenza altrettanto appassionata.
Devono esserci state tante guerre indiane, nella storia dell’uomo. E affronta tante guerre indiane, ognuno di noi.
Toro Seduto rappresenta una delle tante sconfitte che periodicamente l’umanità infligge a se stessa: la ragione politica contro la ragione del cuore. L’oro delle Black Hills contro l’anima delle Black Hills.
Ma gli indiani sono sopravvissuti, e sopravvive l’indiano dentro di noi.
Depredati e umiliati dagli invasori, traditi e soppressi da Testa di Toro, gli spettri degli indiani ricompaiono: quando un paesaggio suggestivo, un ricordo luminoso, un’azione umana che ha della bellezza ci colpiscono con un sentimento forte che ci eleva sopra di noi, e sa di nostalgia.
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Commento by Antonio Colonna — 8 Luglio 2008 @ 14:36
Più che di un racconto, si tratta di una riflessione lirica e commossa su quella cosa apparentemente ovvia (ma che non lo è affatto!) che chiamiamo Storia e che, probabilmente, è soltanto una convenzione umana, basata su una serie di scremature, veri e falsi ricordi, vere e false interpretazioni, ecc. di ciò che è successo nel nostro passato e che non è mai ricostruibile nella sua totalità e verità perché il passato e i miliardi di uomini e di generazioni che vi sono succeduti hanno lottato e vissuto tanto (come noi oggi), ma di loro sono rimaste poche tracce (così come rimarrano di noi). Tutto questo, certo, sa un po’ di Infinito leopardiano, quando davanti a un cimelio, a un mausoleo, a una tomba, ecc. ci sentiamo letteralmente far venire le vertigini di fronte all’immagine di tutto quello che é passato e che soltanto simbolicamente è riassunto in quel monumento. Personalmente, qualcosa del genere l’ho provato davanti all’austerità del Mausoleo di Teodorico a Ravenna. Sono tante le cose che vengono in mente in quei momenti. E poi chissà ? Forse quella che chiamiamo Storia é stata tutta un grande imbroglio. Forse chi é rimasto nel tempo o chi è prevalso non è mai colui che aveva più ragione di altri, ma era soltanto più violento o più furbo o meno pieno di scrupoli. La Storia é qualcosa che viene ricostruito a posteriori sui pochi frammenti rimasti della grande battaglia e sforzo degli uomini e degli storici è forse solo questo di ricostruire dei nessi posticci di causa-effetto su quei pochi frammenti, che non rappresentano affatto un risultato finale voluto e progettato, ma piuttosto le ceneri e le macerie della grande battaglia che si è svolta.
E’ forse vero però che, nella Storia, ci sono situazioni, personaggi e giochi delle parti ricorrenti, come quelli di un dramma shakespeariano. E questi sì ci insegnano qualcosa e ci fanno riflettere, aldilà dei casini, della confusione e delle stragi della storia vera. Così, per esempio, Testa di Toro versus Toro Seduto fa venire in mente Bruto versus Cesare. La Storia fa passare questi personaggi “traditori” come i “cattivi”, che hanno soppresso l’eroe vero. Ma siamo proprio sicuri che è così? Probabilmente, anche questi cosiddetti “eroi negativi” avevano delle valide motivazioni per agire in quel determinato modo: forse erano dei “duri e puri” che, da sempre, sono i veri bistrattati dalla Storia semplicemente perché non vincono mai e non avranno seguito.
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 8 Luglio 2008 @ 15:23
Un bel commento il tuo, grazie.
Ho visto che hai letto anche l’altro bel servizio scritto dalla brava Daniela Toschi (qui: https://www.bartolomeodimonaco.it/?p=1349), un’autrice interessante.
Bart
Commento by clelia ciriminna — 2 Dicembre 2008 @ 18:41
Daniela Toschi ci offre nella vicenda di Toro Seduto la magia del Tempo che si ferma e si narra.La narrazione scorre in un linguaggio che ci riporta al favoloso ma che ci impegna a meditare.
Toro Seduto è archetipo,ma è anche frantumazione degli archetipi.L’uomo può essere tutto e niente,avere una patria,un potere e diventare un clow perchè tutti recitiamo e la vita è la più divertente commedia in cui si fondono il tragico e il comico per dare luogo al grottesco.
Così Daniela indagando su Toro Seduto ,squarcia il velo pietoso dell’esistenza e dell’esistente.La nudità diviene allora purezza, KafKiano dilemma in cui l’uomo è persona e personaggio,spettro di sè, ombra della luce del mondo.
Commento by Maria Antonietta — 5 Gennaio 2010 @ 03:33
E QUESTO SAREBBE UN RACCONTO?
Commento by daniela toschi — 8 Gennaio 2010 @ 00:55
No, è una riflessione su Toro Seduto.