LETTERATURA: I MAESTRI: Le metafore e la bellezza
27 Maggio 2008
di Elémire Zolla
[da “La Fiera Letteraria di giovedì 29 dicembre 1966]
Fra gli errori popolari degli antichi era la credenza che gli sciami di api nascesse Âro dalle carcasse dei buoi, che dalle fermentazioni più pu Ârulente erompesse la vita, sotto forma di moschini.
Il Redi con naturali esperienze dissipò l’illu Âsione, ma le metafore sulla vi Âta che amerebbe nascere dalle decomposizioni sono rimaste, an Âzi, prive ormai di appoggio nel Âla realtà , si sono lanciate in una felicissima carriera nella frode: chi oserebbe ormai porre in dub Âbio che il bene della vita debba sprigionare dalla distruzione, che perciò più si deformi e sconvol Âga e maceri, meglio si possa spe Ârare in nascite meravigliose? La eversione delle forme viene salu Âtata come opera ghista e buona, che lascia la materia ben disgre Âgata, possibilmente in ebollizione.
Una colata di lava che non appena tenda a pietrificarsi do Âvrebbe essere rifusa da nuova materia incandescente, a giudi Âcare dalle metafore dei critici d’arte, sarebbe l’unico spettacolo naturale degno di prestar simili Âtudini, dunque conforme all’arte.
Un tempo altre erano le fonti dei paragoni; l’albero che cre Âsce secondo un archetipo già se Âgnato nella sua foglia era predi Âletto allorché l’arte doveva ri Âspecchiare le leggi delle forme organiche e si sapeva che vita è sinonimo di forma. Oltre all’al Âbero il corpo umano, come rica Âpitolazione del cosmo, forniva l’universale modello. Ecco che un uomo inscritto in un cerchio o in un quadrato rappresenta, dall’antica India e dai saggi Dogon fino a secentisti eruditi, il prototipo delle misure perfette su cui si edificano le città , i tem Âpli e le stesse case. Ecco che le arti debbono riflettere quelle pro Âporzioni perfette, nella musica come nelle composizioni pittoriche, secondo leggi che ancora la Musurgia universalis di Athanasius Kircher espone fedelmente. E quelle regole si applicarono fi Âno a quel momento assai bene individuato dal Wittkower in cui se ne smarrì, nel ‘700, la no Âzione.
Se la lava sostituisce l’albero e l’uomo, l’unica alternativa è fra stasi mortuaria e ribellione (rot Âtura, fermento, rovesciamento) in una parola si vive nella « no Âvità », oppure si da un « contri Âbuto alla ricerca », non sai di che cosa, forse del ritorno nelle vi Âscere infernali della terra don Âde secondo Piatone affioravano, con le eruzioni, i fetidi fiumi di metallo in fiamme. Non si parla più di crescita ciclica, nor Âma d’ogni trasformazione natu Ârale delle forme artistiche, ben Âsì di attualità , di progresso o evoluzione lineare, che è un mo Âto inesistente in natura e imma Âginario nella storia. E le mate Ârie predilette cesseranno di esse Âre il legno e la pietra, i ritmi non saranno più quelli fisiologi Âci, il verso che cadenza il respi Âro, le campiture in rapporti fra loro armonici come le crescite dei cristalli o delle piante.
Si useranno materie sinistre: il ferro o l’acciaio legati simbo Âlicamente alla morte, reggeranno il cemento, la pura coesività che non lega più i singoli mattoni dove sono fusi fuoco e terra, ma si presenta come un valore in sé e per sé. Bitumi, e altre ma Âterie maledette formeranno asfal Âti. L’aria sarà sulfurea di ema Ânazioni nelle città rette o dal di Âsordine o dalla meccanica sim Âmetria, l’antico connotato demo Âniaco. E le opere che dovranno decorare questo agglomerato non potranno che essere oggetti de Âstinati a deridere, confondere, reprimere il ricordo dell’antico ornamento ispirato al ramo, al Âla foglia, alle curve del corpo.
Chi volesse dar voce ai sim Âboli d’una città moderna, dalle lamiere contorte alle superfici bucherellate, udrebbe appuntò la risata satanica e sciocca della bellezza eliminata.
RIVOLTA RUSSA E AVANGUARDIA
C’è  stata  una  falsa  possibilità  di  sottrarsi  alla tirannide  del nuovo e  del  moderno,  dell’arte vulcanica; dalla caduta dell’avanguardismo bolscevico, in Russia, fino a oggi, è stata anzi inco Âraggiata un’arte tradizionale. Non erano soltanto i gusti reazionari e classicisti di Marx ed Engels a riflettersi nello Stato sovietico, ma anche la teoria stes Âsa del marxismo che echeggiava l’antica estetica organica: il pro Âdotto è umano e non animalesco soltanto se l’uomo non « produ Âce parzialmente », come gli ani Âmali collettivistici: « L’animale produce solo se stesso, mentre l’uomo riproduce l’intera natu Âra… l’uomo sa conferire all’og Âgetto la misura inerente, quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza » (Marx, Ope Âre filosofiche giovanili, Roma, 1950, pagg. 231).
Le leggi della bellezza, le mi Âsure inerenti all’oggetto, volte al Âla riproduzione dell’universale, cioè del cosmo: che cosa di più classico e metafìsico, di più in Âcompatibile con l’avanguardia?
Che precetti sì graziosi abbia Âno dato frutti tanto poveri sarà forse dovuto alla contraddittorie-tà fra essi ed un utopismo so Âciale indeterminato: semmai chie Âderebbero un organismo sociale retto dal diritto di natura. Op Âpure il fallimento dell’arte sovie Âtica risale all’incapacità di lascia Âre gli artisti liberi di ritrovare lentamente norme e modelli (co Âme accadde a Pasternak, tutto improntato, nelle linee segrete delle ultime poesie e del roman Âzo, consapevolmente alla liturgia protoslava), costringendoli inve Âce ad apoteosi del regime chiaramante non affioranti dal cuore. Oppure piuttosto alla più occul Âta ma più importante contraddi Âzione, quella fra le norme eter Âne della bellezza e una ideologia antimetafisica e antirituale. Tutt’al più un nemico della metafi Âsica potrà tentare di ripristinare le frigidezze neoclassiche giaco Âbine « plutarchiane », caso ana Âlogo di apparente rispetto dei ca Ânoni d’armonia senza riferimen Âto alcuno alla metafisica. Del re Âsto senza arte sacra non c’è nem Âmeno arte profana come non c’è ombra senza corpo. E’ questa la spiegazione più persuasiva se rende ragione del Âl’impossibilità di ogni bellezza do Âvunque oggigiorno, poiché man Âca alla bellezza il radicamento in qualcosa che sta di là della bel Âlezza.
L’arte per l’arte è vacua non perché l’arte sia inferiore o pari ad altri fini umani, o addirittura, come vuole l’animo più bie Âcamente volgare, perché debba istruire o confortare o sollazzare o comunque servire la società . La società potrà servire l’arte, soltanto se l’arte e la società fisseranno entrambe un punto che le trascenda e l’una e l’al Âtra: la metafisica. Se la società s’illude di servire l’arte senza una metafisica che le impartisca le norme del bello, finirà col farsi ingannare da un sistema di frode pubblica. Sistema fraudo Âlento non per volontà soggetti Âva di truffatori, ma per oggettiva mancanza di criteri eviden Âti e perenni.
Ma quali sono i criteri peren Âni della bellezza? Quale l’archeti Âpo rispetto a cui l’artista, potrà variare nel raggio stesso entro il quale ogni specie può ruotare attorno al suo prototipo, senza incorrere nell’ibrido e nel mo Âstruoso? La difficoltà di ristabi Âlirlo è dovuta alla riluttanza, do Âpo secoli di distacco fra le due, a riconoscere che non si scioglie il problema dell’arte in genere senza prima porre quello del suo apice massimo, dove diventa me Âditazione ed estasi: l’arte sacra. Occorre rovesciare lo scellerato grido con cui Fitz-James O’Brien tentava di cancellare dalla storia Herman Melville: « lasciate la metafisica e tornate alla natura ».L’opera di Titus Burckhardt Les principes fondamentaux de l’art sacrée (ed. Derain) e quelle di Frithjof Schuon (a comincia Âre dalla più propedeutica: Perspectives spirituelles et faits humains, ed. Cahiers du Sud), han Âno mostrato quali siano le vie per ricreare in sé una chiara nozione della bellezza, a comin Âciare da quella sacra.
Schuon comincia precisamen Âte da uno studio della materia signata, cioè dei materiali e delle forme e a questo vaglio si pale Âsa l’insussistenza d’una bellezza moderna: « l’arte moderna co Âstruisce chiese in forma di mol Âluschi e le fora con finestre asini-metriche che paiono fatte a raf Âfica di mitragliatrice… si ha un bel vantare l’ardimento delle for Âme, non si sfugge alle significa Âzioni intrinseche delle forme, e non si può impedire che una tale opera si apparenti, in forza del suo linguaggio formale, al mondo delle larve e degl’incubi ».
I CANONI ETERNI
L’arte sacra, insegna Schuon, « ignora in gran misura l’inten Âto puramente estetico: la bellezza le deriva innanzitutto dalla ve Ârità spirituale, dunque dalla pre Âcisione della simbologia nonché dalla sua utilità in vista del culto e della contemplazione e soltanto in seconda istanza dagli imponde Ârabili dell’intuizione personale; di fatto, questa alternativa nean Âche si poneva in antico. In un mondo come quello tradizionale, che ignora la bruttezza sul piano delle produzioni umane, ossia l’er Ârore nella forma, la qualità este Âtica non costituiva la preoccu Âpazione essenziale dell’artista ».
Perciò le antinomie poste dai teorici dell’arte moderna si risol Âvono all’interno della teorica di un’arte sacra tradizionale: l’arte deve andare oltre l’arte, l’arte dev’essere anonima, le arti deb Âbono essere corali e popolari (ma non perché legata ai bisogni col Âlettivi, bensì perché si muove in una sfera dove le categorie della vita privata e pubblica sono tra Âscese). L’arte moderna essendo una parodia infernale dell’arte sa Âcra, sarà buffa un’arte sacra mo Âderna.
L’arte sacra impone canoni in Âflessibili, e questi reprimono il capriccio, l’ostentazione, la suggestività imprecisa: le fantasti Âcherie che si vantano odiosamen Âte d’essere « sincere » e di coglie Âre, con metafora repellente, « gru Âmi di realtà ». I canoni vivifica Âno l’intelletto e il talento, come ancora insegna Schuon, poiché il genio non ha bisogno di inno Âvare: « Un’arte è tradizionale e sacra non in virtù della persona Âle intenzione dell’artista ma in grazia dei suoi tre elementi oggettivi: contenuto, simbologia, stile. In grazia del contenuto: perché il tema dev’essere rappre Âsentato qual è e non altrimenti, sia dal punto di vista del model Âlo canonico, sia in un senso più ampio, ma pur sempre canonica Âmente determinato; in grazia della simbologia: il Santo – ov Âvero il simbolo antropomorfo – può fare certi gesti e non altri; in grazia dello stile, perché l’im Âmagine deve essere espressa in un linguaggio formale ieratico e non in uno stile estraneo o fantasioso ».
Schuon accusa il Rinascimen Âto (condannato dalla Chiesa di Oriente, ancora nel XVI secolo, a opera del patriarca Nichon, co Âme eversore dei canoni iconici sacri) così come il quinto seco Âlo avanti Cristo, di aver imbroc Âcato la strada del descrittivismo che « obbliga l’artista a rappre Âsentare come se l’avesse visto ciò che non può aver veduto e a manifestare una virtù sublime come se la possedesse ».
In verità il Rinascimento ten Âne tuttavia fede alle auree pro Âporzioni tanto che si può alli Âneare in una antologia dei misti Âci anche un Pacioli o un Giorgio Veneto. Certamente però questo fondo « cosmico » e normativo nel secolo XVIII scomparve. Al Âlora si cominciò a staccare l’arte dalle sue contenzioni, cioè dai patti che aveva stretto con la metafisica e con l’idea del bello, e ad avviarla verso il relativi Âsmo, morte dell’intelligenza.
Tre sono i criteri della bellez Âza: la nobiltà del contenuto, con Âdizione spirituale dell’esistenza stessa dell’arte, l’esattezza della simbologia, o almeno l’armonia compositiva, e infine la purezza dello stile, cioè l’eleganza delle linee e dei colori: va da sé che una opera moderna potrebbe per caso, avere tali qualità , ma sa Ârebbe un errore ravvisarvi per Âciò la giustificazione di un’arte sfornita di princìpi.
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Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: I MAESTRI: Le metafore e la bellezza - Il blog degli studenti. — 27 Maggio 2008 @ 07:23
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