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Il comportamento di Fini e gli insulti di Di Pietro a Berlusconi

30 Settembre 2010

Chi, come me, ha seguito la diretta del dibattito sulla fiducia tenutosi ieri alla Camera (al Senato stamani c’è stato un intervento ludicissimo di Domenico Nania sulla sovranità popolare e sulla legalità, che spero qualcuno possa farmi avere come testo scritto), non può dimenticare il comportamento di Fini di fronte agli insulti lanciati a man bassa da Antonio Di Pietro.

Il Pdl è stato costretto ad uscire dall’aula, e più volte Berlusconi si è voltato verso il presidente della Camera chiedendo che il volgare deputato fosse fermato. Fini si è limitato ad ammonirlo, senza nulla fare quando Di Pietro se n’è fregato cinque (dico cinque) volte dei richiami del Presidente. Fini sembrava godere di questo profluvio di parole che faceva il suo gioco. Tante è vero che intorno ai minuti 7:49 sentirete Fini dire che ha richiamato Di Pietro due volte, mentre lo aveva già richiamato 4 volte. Di Pietro stava esibendo, infatti, una specie di anteprima della campagna elettorale che ci attenderà di qui alla primavera prossima. Quindi agiva a vantaggio pure del suo prossimo partito.

Come avete potuto constatare, anche dall’ascolto del video che ho linkato, mai è stato pronunciato nelle aule del Parlamento italiano un discorso così triviale. Ne sono uscite mortificate le Istituzioni. Qualcuno ne sarà rimasto contento, gli antiberlusconiani avranno gioito, ma se le Istituzioni cadranno così in basso, saremo tutti a pagare.

Di Pietro ha aperto la strada ad un precedente pericoloso, come l’aprì il giorno in cui i suoi senatori occuparono palazzo Madama.

È dimostrato, dunque, che Di Pietro non ha alcun riguardo per il Parlamento, lui che accusa Berlusconi di essere un antidemocratico. Ormai a Di Pietro non manca altro, per coronare il suo sogno di potere, che fare pure lui, come Mussolini, la marcia su Roma. Si è messo sulla stessa strada e non se ne accorge. Il guaio è che nessuno pare accorgersene, e il rozzo tribuno viene tollerato per calcolo di parte, come furono tollerate alle origini dal Pd le brigate rosse.

Per chi ancora non avesse capito l’importanza che ha il ricoprire la carica di presidente della Camera (come quella del Senato) ieri ha potuto rendersene conto in concreto. Il presidente poteva togliere legittimamente la parola ad un Di Pietro ingiurioso, scorretto e senza alcuna educazione, ma non lo ha fatto. Anche quando Di Pietro se n’è infischiato dei suoi ammonimenti. Un altro non sarebbe arrivato a tanto, ma, ieri, con il suo comportamento, Fini ha lasciato che qualcun altro facesse al suo posto ciò che anche a lui piacerebbe di fare.
Occorrono altre prove per dimostrare che non è un presidente imparziale? Credo proprio di no.

E se Di Pietro ha sporcato ieri l’aula della Camera con le sue parole, altrettanto ha fatto Fini lasciandogliele pronunciare.

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Mi è stato gentilmente messo a disposizione il testo stenografico dell’intervento di stamani 30 settembre del senatore Domenico Nania. Lo riproduco qui sotto:

Intervento di Nania al Senato (resoconto stenografico)

NANIA (PdL). Signora Presidente, signor Presidente del Consiglio, la stagione costituente mi sembra essere l’espressione che può caratterizzare e dare senso e contenuto al suo intervento.

Più lontano lo sguardo, signor Presidente del Consiglio, più vicina la meta. Il presidente Cossiga inviò nel 1991 un messaggio alle Camere. Era un messaggio che guardava lontano: più lontano lo sguardo, più vicina la meta. Dopo qualche mese, di fronte a quel messaggio si registravano il crollo di Tangentopoli e la scomparsa della Democrazia Cristiana, che pure sembrava vincente rispetto al crollo del comunismo: più lontano lo sguardo, più vicina la meta.

Oggi noi, qui, torniamo ancora una volta a questo tipo di discorso, e il suo intervento sulla fiducia riguarda in pieno questo tema, perché in tutti gli argomenti che lei ha sottoposto all’attenzione del Parlamento torna ancora una volta il problema della sovranità. È questo un grande problema, che il presidente Cossiga in quel messaggio pose all’attenzione di tutti e, in particolare, della Democrazia Cristiana. Egli disse alla Democrazia Cristiana di fare attenzione, perché la sovranità della quale tanto si parla appartiene al popolo. Il Parlamento è delegato dal popolo all’esercizio di quella sovranità. Egli pose il quesito se potesse il Parlamento, nell’esercizio della sovranità, offendere il titolare della sovranità; se l’esercizio dalla sovranità potesse uccidere il titolare della sovranità. Questo è il tema, perché è fin troppo evidente che, se il Parlamento diventa sovrano al posto del popolo, si possono fare tutti i Governi, tecnici, istituzionali o balneari che si voglia, ma si verificherà la situazione avvenuta in Sicilia, dove chi ha perso le elezioni contro Lombardo governa con Lombardo.

Quindi, chi vince perde e chi perde vince. È questa la sovranità prevista nell’articolo 1 della Costituzione italiana? Questo è il grande tema che pone non la destra politica, che pone non oggi Silvio Berlusconi, ma che primo tra tutti ha posto all’attenzione del mondo politico italiano Francesco Cossiga.

Ebbene, l’articolo 1 della Costituzione dice: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione ». Le forme e i limiti non riguardano la titolarità della sovranità, ma l’esercizio. Durante l’esercizio si può espropriare il popolo della titolarità? Questa è la tesi dei terzopolisti, dei centristi, i quali sostengono che tutto sommato il Parlamento, diventando sovrano, come ho detto, può fare qualunque tipo di Governo. Forse si potrebbe anche arrivare ad una interpretazione del genere, ma a condizione che quel voto sia rispettato e cioè che quella maggioranza sia la maggioranza che ha espresso il popolo italiano.

Questo grande tema è un tema centrale e distingue tra chi, per uscire dalla transizione italiana, vuole mettere il piede sul freno e chi lo vuole mettere sull’acceleratore. Chi vuole mettere il piede sul freno? Purtroppo la sinistra italiana, che in qualche momento si è spostata in avanti (leggi la famosa Commissione bicamerale D’Alema), ma che poi ha accettato l’idea e la tesi che il popolo italiano, tutto sommato intelligente e avanti quando vota direttamente per il sindaco, quando vota direttamente per il presidente della Provincia, quando vota direttamente per i governatori, diventa un minorato e un incapace e da non prendere in considerazione quando deve scegliere direttamente chi governa, e mette il piede sul freno. Sicché, ragionando da questo punto di vista, giustizia, stabilità, bipolarismo, alternanza, democrazia e Stato sono tutto un concetto, è tutto un insieme di termini che tornano alla sovranità.

C’è una sovranità per la quale i partiti politici ed il Parlamento possono non tener conto del voto degli elettori? C’è una sovranità per la quale il Parlamento non deve dar conto al voto degli elettori? C’è una sovranità per la quale i componenti del Parlamento non devono rendere conto agli elettori?

Nelle democrazie che funzionano, nelle democrazie moderne, nelle democrazie che viviamo, come si svolge il contenzioso politico, la competizione politica? In queste democrazie esiste mai un centro o un terzo polo a distanza eguale dalla sinistra e della destra? Nelle democrazie che funzionano esiste un partito politico di Governo di sinistra o di destra che utilizza la stessa parola “centro” come etichetta? In Inghilterra sono laburisti e conservatori, in Francia socialisti e gollisti, in Spagna popolari e socialisti, in Germania cristiano-democratici e socialdemocratici, negli Stati Uniti repubblicani e democratici: non c’è un partito, nelle grandi democrazie che funzionano, terzopolista o che si definisce ricorrendo alla parola “centro”. Ed è fin troppo ovvio, perché i moderati stanno dalla parte opposta a quella dove stanno i socialisti e i socialisti stanno dalla parte opposta a quella dove stanno i moderati. Non c’è un partito di centro che sta a distanza eguale dalla destra e dalla sinistra e un po’ sta di qua e un po’ sta di là, a convenienza. Questo è l’equivoco della politica italiana: ecco perché dobbiamo lavorare sulla stagione costituente e dobbiamo renderci conto che tanti temi da lei centrati anche se non, per ovvie ragioni, approfonditi, entrano prepotentemente nell’agenda politica italiana.

Primo problema: se la sovranità appartiene al popolo e se i giudici sono soggetti alla legge, l’indipendenza è un diritto dei magistrati o un dovere dei magistrati? L’indipendenza del giudice è un diritto del cittadino ed un dovere del magistrato o è un diritto del magistrato, fregandosene del cittadino? Questo è il punto centrale, perché se la sovranità appartiene al popolo, l’indipendenza del magistrato è un diritto del cittadino e un dovere del magistrato. (Applausi dal Gruppo PdL e dai banchi del Governo).

E qui si incarna il discorso che lei ha fatto sulla responsabilità civile, che non è collegato all’errore che può commettere un magistrato, sempre possibile ed ovvio quando è di natura fisiologica, ma che punta sulla domanda: come mai con Tizio così e con Caio in un altro modo?

Qui entra in campo il diritto alla indipendenza. Vi è un’azione con la quale un cittadino può invocare questo diritto all’indipendenza dei magistrati?

Andiamo all’articolo 21 della Costituzione: il diritto di manifestare il proprio pensiero. Certo, è un articolo di grande importanza, scritto in un’epoca storica in cui, venendo dal fascismo, era importante che la stampa manifestasse il proprio pensiero: ma il diritto di formarsi liberamente un pensiero esiste in questo Paese? Il diritto ad essere informati in maniera corretta ed imparziale esiste in questo Paese? Il Capo dello Stato, nell’intervento sulla Giornata della memoria, ha messo in evidenza che, per esempio, sul tema delle foibe, su 19 libri di testo soltanto 5 scrivono che erano delle fosse carsiche dove i comunisti titini buttavano fascisti ed italiani mentre gli altri dicono che sono fosse carsiche dove i nazisti buttavano i comunisti. (Applausi dal Gruppo PdL e dai banchi del Governo). Come si forma un giovane a scuola su questi libri di testo un pensiero che poi ha diritto di esprimere?

E ancora: legalità. Mi è piaciuto tantissimo l’utilizzo della parola Stato. Finalmente, il principio di legalità ha un suo significato ben preciso. Significa che nessuno può essere condannato se non in forza di un reato che conosceva. Il principio di legalità, come viene invocato, è il risultato di una cultura di sinistra che, siccome non voleva investire nello Stato come sovrano e come alternativa vera sul territorio (perché sul territorio vi è la sovranità dei cittadini e dello Stato e non ci può essere quella della mafia, dei poteri occulti, delle oligarchie, dei grandi finanzieri), (Applausi dal senatore Benedetti Valentini), ebbene, lei per la prima volta ha utilizzato questo termine, riportando al centro lo Stato e ciò che rappresenta. (Applausi dai Gruppi PdL e FLI).

E tutto ruota intorno a lei. Bersani ha detto: dica una cosa positiva. Gliene è uscita una. Vede, onorevole Bersani, durante la monarchia si coniugò un termine, il trasformismo, per dire che vinceva sempre la monarchia; durante il fascismo non si votava, quindi vinceva sempre Mussolini; durante la prima Repubblica vinceva sempre la Democrazia Cristiana e perdeva sempre il Partito Comunista. Non c’era mai l’opposizione che vinceva.

Ebbene, nel 2001, dopo 5 anni di opposizione, per la prima volta l’Italia fa ingresso nelle grandi democrazie perché l’opposizione vince. E poi vince Prodi nel 2006. Ma non è un grande risultato che in una democrazia non c’è chi vince per sempre e chi perde per sempre? E si parla di tornare indietro? Di fare il terzo polo? Di riportare indietro le lancette dell’orologio? (Applausi dal Gruppo PdL)

Concludo, signor Presidente: più lontano lo sguardo, più vicina la meta. Mi lasci concludere con questo passaggio, presidente Bonino: sa, io che vengo da AN, dalla destra, da una storia gloriosa e da una lunga traversata nel deserto, molto spesso mi sento dire in giro: ma da quale parte stai? Stai con Fini o con Berlusconi ? Ebbene, noi stiamo con la nostra storia e la nostra cultura, con un campo di valori, ed è un campo che fa della coerenza e della lealtà uno dei passaggi fondamentali. È un campo dove conta chi lascia tracce, chi dimostra di essere un interprete del cambiamento, chi dimostra – rispetto al passato – di volerlo destrutturare.

In questi casi non decidiamo noi da quale parte stare perché forse i pazzi – e penso a quel Tartaglia – capiscono bene chi vuole cambiare, chi vuole costruire il nuovo, chi, trovandosi in una postazione da dove si avvista il passato, organizza il domani. Questa è la ragione per la quale noi diamo la fiducia al suo Governo. (Applausi dal Gruppo PdL, dai banchi del Governo e dal senatore Alberto Filippi – molte congratulazioni).
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Su Flavia Perina, qui (lettera 18). Da cui estraggo:

“La domanda resta una sola: chi ha sparato la sera del 30 settembre del ’77 a Walter Rossi in via delle Medaglie d’Oro?
La notte tra il 30/9 e 1/10 la DIGOS di Roma ferma 15 missini successivamente dichiarati in arresto. L’accusa è di omicidio volontario, tentato omicidio e rissa aggravata. I loro nomi sono: Cavallari Gabriele, Briguglio Ilio, Renda Claudio, Romagna Giancarlo, Leoni Silvio, Leoni Alberto, Accolla Dario, Durante Luciano, Pasquali Alberto, Bragaglia Riccardo, Ferdinandi Ferdinando, Aronica
Luigi, Macrì Antonio, Andriani Germana e Perina Flavia.

Ass.Cult.”lalottacontinua” ”

“Walter Rossi: tutti vogliamo la verità” di Flavia Perina. Qui.

“Cara Perina, su Rossi non c’è alcun mistero”. Qui.


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