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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

La solita Italia, tutti di corsa sul carro di Grillo

7 Marzo 2013

di Mattia Feltri
(da “La Stampa”, 7 marzo 2013)

Oh che bello Beppe Grillo! Quanto piace, Beppe Grillo: all’intellettualità più vitale, all’imprenditoria più illuminata, agli artisti più impegnati e naturalmente ai politici che si assumono le loro responsabilità e scoprono un ruolo da pontieri. Di colpo, in fondo. Diciamo da una decina di giorni, da lunedì sera/martedì mattina della settimana scorsa, si svelano quotidianamente fervidi sostenitori della rivoluzione dal basso. L’altra sera, per dire, Arturo Artom – uomo di telecomunicazioni con fama di innovatore – è comparso a Piazzapulita portando il titolo di imprenditore grillino, sebbene fosse alleato di Silvio Berlusconi sino alla vigilia del voto. Lo stesso Artom che quando era leader del suo Rinascimento italiano rimproverava Grillo perché «anche il M5S chiude la selezione per i candidati alle Politiche unicamente ai militanti ». La febbre però è salita. Le elezioni sono andate come sono andate. Uno pragmatico, Nichi Vendola, successivamente ad analisi è evoluto da «Grillo è un populista », «Grillo appartiene alla cultura delle macerie » e la sua parabola ricorda «il preludio al fascismo » – mica niente – a «Grillo non rappresenta nessuna delle varianti del passato », quindi «va preso sul serio » e anziché Mussolini «ricorda Pannella ».

È una febbre, sì, e percorre la Puglia. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano, uno che per la verità Grillo lo ha sempre guardato con occhio curioso, è ora giunto al parallelo funambolico: «Il premier deve essere Grillo, rappresentante del primo partito italiano. Sarebbe come Ronald Reagan ». Forse l’obiettivo era la suggestione, e allora raggiunto. Ma qui si scaldano cuori che si credevano di marmo. Uno come Stefano Fassina a settembre descriveva Grillo pari al ceffo che «ha imparato benissimo la lezione dell’aggressione e del vittimismo », un «totale irresponsabile », «come Berlusconi »; fermi tutti, ora c’è da fare un governo, assumersi le responsabilità, di nuovo e per sempre, e dunque il Fassina di oggi è con Matteo Orfini (un altro transitato da «per me Grillo e Berlusconi sono la stessa cosa » a «ora a Grillo faremo proposte chiare per risolvere alcune emergenze del Paese ») l’offerente dell’esecutivo all’ex mostro, e se dice no si torni a elezioni. Ma un’intesa così è persino poco, «non basta allearsi – dice Salvatore Settis, prestigioso storico dell’arte – è arrivato il momento che la sinistra italiana si sieda a un tavolo con Grillo per rileggersi insieme la Costituzione », e magari rileggere i passaggi sull’assenza di vincolo di mandato.

Tutti vogliono Grillo. Tutti amano Grillo. Aiuto, ci scrivono mail «allo scopo di ottenere un qualche tipo di legame », cioè di raccomandazione, dicono dal MoVimento. Di ogni febbre il termometro più straordinario è la Rai, dove sta nascendo un gruppo dei Giornalisti Liberi a Cinque Stelle. Liberi di essere grillini, niente di nuovo: li guida un redattore del Televideo, Fabrizio De Jorio, che indica in Maria Grazia Capulli del Tg2 il suo volto più noto (lei però smentisce: «Non ho niente contro Grillo, ma da una vita dico che dobbiamo svincolarci dai partiti: se c’è un diretto riferimento al M5S io non ci sto »). E poi il vento soffia sempre in faccia ad attori, cantanti e acrobati. Franco Battiato dice che Grillo «ha un’intelligenza politica notevole », e prima del voto voleva anche chiamarlo ma poi… Gabriele Lavia nutre una incondizionata simpatia e conserva una sola perplessità: «Non so usare il computer ». Raffaella Carrà crede fermamente «nella sua rivoluzione e spero la porti avanti ». Antonello Venditti condivide «l’aspetto morale » del MoVimento. Il compositore Giovanni Allevi vive una nuova identità: «Sono il Beppe Grillo della musica ». Le iscrizioni sono aperte.


Il firmamento dei sogni costosi
di Giovanni Sartori
(dal “Corriere della Sera”, 7 marzo 2013)

Grillo è dotato, oltre che di eccezionale bravura scenica, di straordinaria furbizia. Finita la campagna elettorale fa notizia stando zitto. La pubblicità se la fa fare (gratis) rifiutando di parlare alle televisioni e ai giornalisti italiani. Sia chiaro, non è che Grillo si neghi a tutti: ai giornali e alle televisioni del resto del mondo parla. A noi no, perché siamo corrotti, venduti, infidi. Se io fossi un giornalista ricambierei la scortesia: se lui non vuole parlare con me, nemmeno io voglio parlare con lui né di lui. Invece ho visto diecine e diecine di operatori delle varie tv accalcati e imploranti di fronte alla sua porta inesorabilmente chiusa. Così, dicevo, ottiene pubblicità gratis e non corre rischi. Attorno a un tavolo, parlando, è molto meno bravo di quanto non lo sia urlando, e dunque lì corre rischi. Alla fine lo dovrà fare; ma forse manderà in sua vece il suo guru.

Intanto, che fare? Io ho spesso criticato molte delle regole che abbiamo. Però riesco a capire che non possiamo vivere e convivere senza regole. Se Grillo non le rispetta o non le accetta, le regole che abbiamo debbono rifiutare lui. Per esempio, se il suo non è un partito, allora i suoi eletti non hanno il diritto di costituire un gruppo parlamentare né di usufruire dei benefici connessi (per esempio di utilizzare una sede che grava sul bilancio del Parlamento). E prima di precipitarsi a cercare di «comprarli » (così direbbe Grillo) qualcuno ci dovrebbe spiegare che razza di rappresentanti sono.

Chi rappresentano? Tra le richieste perentorie del Nostro c’è anche quella di abolire il divieto del mandato imperativo. Si avverta: questo divieto, istituito dalla rivoluzione francese, esiste a tutt’oggi in tutte le costituzioni democratiche. Perché? È perché altrimenti si ricade nella rappresentanza medievale, o comunque premoderna, per la quale il rappresentante è soltanto l’emissario, l’ambasciatore di un padrone. Il che, intendiamoci, a Grillo va benissimo, visto che tutti i suoi debbono obbedire soltanto a lui e funzionare soltanto come dei «signorsì ». Ma questa richiesta è evidentemente inaccettabile per qualsiasi costituzionalista serio (preciso perché non tutti lo sono).
Andiamo egualmente male per la proposta pericolosamente demagogica di sottoporre a referendum la nostra appartenenza all’euro. Tecnicamente non si può fare perché la creazione dell’euro discende da trattati internazionali, e per altre ragioni ancora. Che Grillo probabilmente non conosce.

Ci sono poi tutte le richieste-proposte economiche. Grillo propone un «reddito del cittadino » di mille euro al mese. Nel conteggio Istat i disoccupati in questione sarebbero circa 3 milioni: il che comporterebbe una spesa annua di 36 miliardi. Ma il conteggio dei disoccupati è notoriamente difficile: sono soltanto coloro che hanno perso il lavoro e che non ne trovano un altro? I 3 milioni di cui sopra includono i cassaintegrati. Ma poi ci sono quasi il 40 per cento di giovani disoccupati. L’altro versante del problema è che abbiamo un debito pubblico vicino al 130 per cento del Pil, del Prodotto interno lordo, e che, con lo spread che torna ad allargarsi, comporta un costo di interessi sui nostri buoni del tesoro che diventa davvero insostenibile. E tutti questi soldi Grillo dove li troverebbe? Io non lo so. Ma non lo sa nemmeno lui.


Bersani e la liturgia dell’amaro calice
di Arturo Diaconale
(da “L’Opinione”, 7 marzo 2013)

Il rito prevede che Pierluigi Bersani beva l’amaro calice fino all’ultima goccia. E nel Pd, dove si sono persi i valori di una volta ma rimane intatta la liturgia della tradizione comunista, nessuno si sogna di fermare il rito. Per cui Bersani si recherà dal Capo dello Stato con il consenso formale del proprio partito a compiere la prima mossa per la formazione del governo e riceverà da Giorgio Napolitano, che conosce alla perfezione le liturgie un po’ sadiche della storia da cui proviene, l’incarico esplorativo di dare vita ad un nuovo esecutivo fondato sulla speranza di un appoggio esterno al Pd da parte del Movimento di Beppe Grillo. Quanti esponenti della direzione che ha autorizzato Bersani a compiere la prima mossa credono che il segretario possa avere una qualche possibilità di portare a termine la propria impresa? Nessuno. E c’è da immaginare che neppure Bersani creda sul serio all’ipotesi di finire l’esplorazione entrando a Palazzo Chigi. Ma anche lui sa bene che la liturgia deve andare avanti fino alla fine. E non può sfuggire al rito che deve sancire definitivamente la sua sconfitta e la sua uscita di scena dal vertice del Partito Democratico.

La liturgia che chiude la carriera politica di Bersani, l’uomo che voleva farsi primo Presidente del Consiglio post-comunista espresso dalle elezioni e non dalle manovre di Palazzo e che non è riuscito nel suo intento, è decisamente crudele. Ma per la ritualità interna del Pd assolutamente necessaria a cambiare pagina ed avviare una nuova fase all’interno del partito. Quella che porterà Matteo Renzi alla segreteria ed alla candidatura a premier nelle prossime elezioni? Può essere. Ma nessuno s’illuda che il percorso sia già segnato e sgombro di ostacoli di sorta. Al contrario, la giubilazione di Bersani apre una fase di grandi contrasti e discussioni da cui il Pd potrebbe uscire non con un nuovo leader ma con le ossa rotte e una probabile frantumazione. Serve questa liturgia per arrivare tra quindici giorni a stabilire ciò che Beppe Grillo, nella sua brutale chiarezza, ha già indicato all’indomani delle elezioni definendo Bersani un “morto che cammina”? Al paese non di certo.

In un momento in cui servirebbero decisioni rapide, scelte nette, iniziative concrete ed immediate per frenare gli effetti perversi della crisi sulla stragrande maggioranza della società nazione, si torna incredibilmente ai riti bizantini della Prima Repubblica, agli incarichi esplorativi che servono solo a perdere tempo, alla lunghe ed estenuanti riunioni di direzione dove si consumano liturgie di altri temi, ai balletti di consultazioni che si rincorrono tra di loro e che hanno come unico scopo quello di allungare all’infinito le procedute, alle trattative sottobanco tra forze politiche che ufficialmente non si parlano, alla compravendita di parlamentari che se viene fatta da Berlusconi è corruzione ma se effettuata da Prodi con i senatori a vita è salvaguardia della democrazia. Chi ha lavorato per tornare alla Prima Repubblica, da Casini a D’Alema, è servito.

Da oggi in poi avremo un mese di questa ottusa tarantella che servirà solo a rafforzare l’intimazione di Grillo all’intera classe politica tradizionale ad “arrendersi” a nuovo che l’ha circondata e che intende spazzarla via. Nel dramma, comunque, un barlume di luce non manca. Ed è la speranza che di fronte ad uno spettacolo ed una prospettiva del genere anche i più ottusi e riottosi avversari della riforma istituzionale sul modello francese del semipresidenzialismo e del doppio turno possano aprire gli occhi e convincersi che l’antipolitica si combatte solo con la buona politica. Cioè con un accordo per una legislatura breve ma costituente tra le forze politiche più responsabili.


Scelta di campo sbagliata. Il Cavaliere salvo se diventa di sinistra
di Vittorio Feltri
(da “il Giornale”, 7 marzo 2013)

Quello che comincio a scrivere è un arti ­colo aspramente critico nei confron ­ti di Silvio Berlusconi. Lo pubblico sul Giornale della sua famiglia non per ingratitudine, ma per coerenza col mio pensiero talmente debole da essermi ve ­nuto in mente soltanto tre minuti fa, dopo una ge ­stazione quasi ventennale. Vado subito al sodo. Il Cavaliere nella sua vita ha commesso un solo grave, imperdonabile errore che gli ha reso e gli rende impossibile l’esistenza. Questo: ha sba ­gliato non a fondare un partito, ma a fondarlo di destra. 0 di centrodestra, che è anche peggio. Se proprio non resisteva alla tentazione di dare cor ­po a un’inedita forza politica, perdio, doveva mettere in piedi un colosso di sinistra, più a sini ­stra di quello postcomunista guidato da Achille Occhetto, poi da Massimo D’Alema, poi da Piero Fassino, poi da Walter Veltroni, poi da Dario Franceschini e, infine, da Pier Luigi Bersani.

Parliamoci con franchezza. Il Partito democra ­tico non è abbastanza progressista. Anzi, non lo è affatto. Sembra il club della caccia: conservatore, moralista, legato alle banche (ne cito una a ca ­so: il Monte dei Paschi di Siena), ossessionato dal denaro, legatissimo alle coop, innamorato dei sa ­lotti chic, del cinema, dello spettacolo in genere, dei comici, dei satirici, dei ricconi con l’anima bella, delicata, sensibile all’integrazione degli ex ­tracomunitari, indulgente verso le ragioni degli islamisti.

Insomma, il Pd è un vecchio arnese, altro che usato sicuro: cavalca perfino il giustizialismo, go ­de di fronte a un paio di manette tintinnanti, è favorevole alla car ­cerazione cautelare (preventiva), è ostile alla riforma della giustizia, solo a sentir parlare di responsabilità civi ­le dei magistrati inorridisce, ama il co ­dice Rocco, aggredisce chiunque ma ­nifesti il desiderio di sostituire l’attua ­le legge sui reati a mezzo stampa con una normativa di stampo anglosasso ­ne. Il Pd – se non avesse ceduto all’idea (che definisce prioritaria) di in ­trodurre il matrimonio fra gay e di ga ­rantire la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri – presenterebbe tutte, ma proprio tutte, le caratteristiche di un partitaccio reazionario, altro che quello di Jean-Marie Le Pen.

Ecco perché Berlusconi, se avesse avuto fiuto politico, non avrebbe da ­to luogo a Forza Italia e poi al Popolo della libertà; figuriamoci, creature de ­crepite fin dalla nascita. Gli è mancata la furbizia necessaria per andare ol ­tre la banalità del centrodestra e offri ­re al mercato politico un soggetto nuovo, autenticamente di sinistra e denominato, per esempio, Bandiera rossa trionferà ( cioè il Bat). Se il Cavaliere fosse stato a capo del Bat, anzi ­ché del Pdl, oggi il Paese non avrebbe alcun problema. Il grado di litigiosità in Parlamento sarebbe pari a zero. Ov ­vio. Egli avrebbe il sostegno incondi ­zionato non soltanto del Pd, ma an ­che del Sel. Mario Monti non sarebbe senatore a vita, ma si godrebbe la pen ­sione di docente, rettore e presidente della Bocconi; Pier Ferdinando Casi ­ni e Gianfranco Fini sarebbero felice ­mente assisi su scranni della Camera, pronti a pigiare i pulsanti per manife ­stare con i fatti la loro ubbidienza a Sil ­vio, l’unico leader degno di questo so ­stantivo.

Il futuro e il presente della nostra Repubblica sarebbero radiosi e sgom ­bri dalle banane. Un Cavaliere di sini ­stra come il defunto Hugo Chàvez avrebbe sempre camminato e cammi ­nerebbe in discesa tra due ali di folla plaudente, verso qualsiasi obiettivo: il possesso di 27 emittenti televisive, 14 case editrici, 10 quotidiani nazio ­nali e 21 locali, un numero imprecisa ­to di periodici, aziende cinematogra ­fiche, banche.

Conflitto di interessi? Non diciamo bischerate. Il dominus di un super-partito progressista è in grado di far coincidere gli affari propri con quelli del popolo, con il bene della Patria. Diciamola tutta e con sprezzo della volgarità: Berlusconi avrebbe avuto facoltà di scoparsi le migliori figlie ita ­liane con l’approvazione (unita a un filo di orgoglio) dei genitori e dei pa ­renti tutti. Diritti d’autore, questioni fiscali, rapporti con i vari De Gregorio e Scilipoti? Lasciamo perdere: un uo ­mo di sinistra è probo per definizio ­ne, non merita di subire seccature, processi, indagini. Quando mai?

Si è visto, talvolta, raramente, un compagno indagato o addirittura pro ­cessato? Certamente, la forma va ri ­spettata. Però solo fino alla prescrizione o proscioglimento: cambiano i termini ma il nocciolo non muta. Poni ca ­so che – anni fa – Silvio avesse incassa ­to montagne di rubli. Pace amen: una bella amnistia, come quella del 1989, e fine della menata. La sinistra avan ­za, non può essere intralciata da pan ­dette e roba simile. Berlusconi col fazzoletto rosso al collo e con la falce e martello ricamata sulla camicia (ros ­sa pure questa, si capisce) sarebbe presente in effigie in ogni casa, sosti ­tuendo le foto di Papa Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II, Benedetto XVI. Naturale. Il Milan vincerebbe lo scudetto senza nemmeno partecipare al campionato.

A parte Primo Greganti, conoscete un compagno che sia andato in gale ­ra? 0 che abbia rischiato di andarci? Purtroppo per lui, il Cavaliere non ha avuto l’accortezza di adeguarsi al cli ­ma nazionale, e, invece, di fondare un partito ex comunista 2, ha dato al ­la luce una specie di Democrazia cri ­stiana, senza però, l’appoggio delle parrocchie (solamente di qualche cardinale: non basta). E si è dimenti ­cato che la Dc – esclusa la corrente di sinistra – è stata fatta secca da Mani pulite. Ora, se è stato sgominato lo scudocrociato, come poteva illuder ­si, Berlusconi, che fossero risparmia-ti il Pdl e lui medesimo? Una grossa ingenuità. Eppure l’esperienza avreb ­be dovuto insegnargli a stare al mon ­do.

Mario Tanassi fu condannato, ma era socialdemocratico, cioè lontano un miglio dalla sinistra. Idem Bettino Craxi, considerato dai comunisti una sottospecie fascista, salvo essere ria ­bilitato al momento delle esequie. Sil ­vio, sei ancora in tempo. Diventa un compagno. Togli dal tuo simbolo la si ­gla Pdl e mettici Bat (Bandiera rossa trionferà). Così te la potrai cavare. Anche i pidiellini che grazie a te sono sta ­ti rieletti il 25 febbraio, e che già meditano di scaricarti nell’imminenza del ­le sentenze di cui sai, anche loro, dice ­vo, si guarderanno dal voltarti le spal ­le come adesso hanno in animo di fa ­re. Bastardi.

Deciditi, compagno Berlusconi: sal ­ta il fosso e ti salverai. Fraterni saluti.


Qui la condanna di oggi a carico di Berlusconi


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Bart