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Il suicidio è una resa

28 Settembre 2008

Commentando qui il bell’articolo di Sergio Garufi, scrittore sopraffino al pari della sua sensibilità e della sua cultura, pubblicato per ricordare David Foster Wallace, il narratore che recentemente si è tolta la vita, dichiaravo la mia convinzione che il suicidio è una resa. Le cause di questa resa possono essere tante, più o meno vigorose, ma sta di fatto che il suicidio è una resa.
Non so quali sorprese mi riserveranno questi ultimi anni della mia vita, e se qualcuna di queste cause riuscirà ad avere la meglio su di me; se questo dovesse avvenire, le cose non cambieranno, giacché sempre di una resa si tratta, ed io sarò, in sovrappiù, un soccombente con meno scuse di altri, poiché già sapevo bene ciò a cui sarei andato incontro.

Il “male oscuro” ci coglie all’improvviso, magari dopo un periodo di grande fervore, in cui ci siamo illusi di aver raggiunto la felicità. Invece ecco che ci aspetta, maligna, la sorpresa. La mente si rattrappisce, diviene malinconica, non riesce a tenere più la conta dei giorni e perfino dei minuti, che sembrano eterni. Il futuro, che ci aveva sempre attratto con le sue illusioni, ci appare svuotato e inutile. Sentiamo che le forze ci vengono meno e che non desideriamo più proseguire il cammino. La nostra vita sembra marchiata a fuoco dalla vacuità.
Perfino l’affetto dei cari ci soffia accanto senza più toccarci, darci emozioni. Sempre davanti a noi sta, insesorabile, la inutilità della nostra vita.
E’  in questo momento che viene richiesto lo sforzo massimo della nostra mente e della nostra volontà. L’istinto di sopravvivenza non è facile a subire la sconfitta. Basta alimentarlo appena e il suo fuoco si riaccende. Si deve affrontare il male oscuro così come si affronta una spaventosa vertigine (ne ho avute di terribili e le conosco bene). Si deve soffrire, accettare la sofferenza e stringere i denti, e ficcarsi nella mente, smarrita da tante paure e da tanti fantasmi, questo solo pensiero: come avviene con la vertigine anche con il male oscuro occorre soffrire e stringere i denti, ed esso passerà allo stesso modo che passa la vertigine. Il male oscuro, che ci ha penetrati e feriti, trrovandosi di fronte a questo solido pensiero, erettosi a nostra difesa, sarà costretto a prendere la strada del ritorno, uscire dalla nostra anima e allontanarsi per sempre. Per sempre. Perché una volta sconfitto, noi abbiamo anche imparato a riconoscerlo e ad approntare per tempo le nostre difese.


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2 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 13 Ottobre 2008 @ 00:21

    Una efficace immagine della depressione, Bart.
    Ho passato due momenti della mia vita in preda a questo mostro e sempre ne sono uscito sbattendogli sul muso le porte del mio muro. Quell’ordito che al posto di pietre e calcina reca l’insopprimibile impulso a vivere e stupirsi ancora.

    Su tutto questo pagine memorabili ci ha donato l’insigne scritotre e psichiatra Eugenio Borgna (tra i massimi in Italia ed Europa nell’uno e l’altro campo) mio buon dirimpettaio in Borgomanero. A volte mi telefona e ancora si complimenta per il mio Il Naso di Pinocchio, che tu, con fiuto personalissimo, decidesti prima di leggere e commentare pubblicamente e poi di inserire nella tua ultima Antologia delle generazioni del Novecento a confronto.
    Di Eugenio Borgna ti consiglio assolutamente (traendo spunto da IBS):

    1) Le intermittenze del cuore, 2008, Feltrinelli
    € 6,80

    2) Nei luoghi perduti della follia, 2008, Feltrinelli
    € 25,60

    3) Come in uno specchio oscuramente, 2007, Feltrinelli
    € 12,80

    4) Il suicidio. Amore tragico, tragedia d’amore
    Borgna Eugenio; Manica Mauro; Pagnoni Adriana, 2006, Borla

    Se proprio dovessi darti un consiglio di scelta ti indirizzerei innanzitutto su “Le intermittenze del cuore”, il migliore in assoluto. Però se vai su IBS, alla voce Eugenio Borgna troverai una quindicina di libri, uno più bello dell’altro. Borgna appartiene a una sopraffina scuola di pensiero di impronta germanista. Per due fortunate volte ho avuto modo di discorrere con lui sui temi centrali di due sue opere: “Le figure dell’ansia, 2005, Feltrinelli, e soprattutto “Il Volto senza fine”, 2004, Le Lettere. Quest’ultimo è fondamentale per chi voglia capire la tragedia intima e streaziante che muove alcuni artisti del novecento come Munch e soprattutto De Chirico.

    Un caro saluto

    Carlo

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 13 Ottobre 2008 @ 00:35

    Ciao, Carlo. Ti ringrazio dell’attenzione. So che la depressione prende la vita di taluni artisti, ma non solo. Probabilmente si scatena contro persone ultrasensibili. La vicenda di Foster mi ha richiamato alla memoria questo male oscuro, che forse sta pascendosi della vita turbolenta e frettolosa dei nostri tempi. Sono convinto che il nostro organismo abbia le risorse per vincere qualsiasi tentativo di sopprimerlo.
    Ad esempio, dal 2001 soffro di acufene, comparso improvvisamente. Nei primi mesi non sapevo a che santo votarmi. La notte mi alzavo disperato. Oggi, aiutato da una pasticca – di cui forse potrei anche fare a meno – riesco a sopportarlo, ed anzi, la sera quando vado a letto e aspetto il sonno, ho la sensazione che mi faccia compagnia. Potevo mai immaginare un esito simile?
    Domani parto e starò fuori fino al 17 ottobre.

    Bart

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