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La posizione di Antonio Ingroia. Paura? Temo di sì

28 Agosto 2012

Le critiche rivolte ad Antonio Ingroia da Alfredo Mantovano, ex sottosegretario agli Interni, sulle colonne de “il Foglio†ci stanno tutte.

Un pm che si rispetti non abbandona (in pratica si tratta di questo) un’indagine praticamente conclusa, lasciandola in eredità agli altri.
Né si spiega – scrive ancora Mantovano – come il ministro della Giustizia e il Csm abbiano dato il consenso alla richiesta di Ingroia di lasciare l’indagine per andare a svolgere un lavoro internazionale in Guatemala.

In pratica Mantovano chiama in causa, per ragioni di verità, non solo Ingroia, ma anche le due Istituzioni che non si sono opposte alla sua richiesta, mettendo, come avrebbero dovuto fare, al primo posto l’esigenza costituzionale di salvaguardare la Giustizia.
Nessuno conosce l’indagine – continua Mantovano – meglio di Ingroia, il quale si giustifica asserendo che altri suoi colleghi sono in grado di prendere il suo posto. Non è vero, solo Ingroia, restando a sostenere l’accusa, è in grado di penetrare negli interstizi della vicenda.
Il ragionamento di Mantovano non fa una grinza e solleva più di una questione.

Prima questione. Perché Ingroia lascia il processo?

Qualcuno, come ad esempio Ferrara, insinua che lo abbandoni perché le sue accuse, come tutta la sua indagine, sono fasulle. Egli cioè ha costruito nel vuoto per pura ambizione di apparire. E si ritira per non fare una brutta figura.
Altri hanno sostenuto che lo fa per stanchezza, e perché non se la sente più di trovarsi al centro di accese discussioni che riguardano la famigerata trattativa tra Stato e mafia.

Io invece la penso diversamente. E cioè che, essendo la richiesta di esonero datata nel maggio 2012, Ingroia si è imbattuto in quei giorni nelle due telefonate tra Napolitano e Mancino, il cui contenuto, seppure non vi abbia ravvisato reati, lo ha in qualche modo spaventato. Ossia le due telefonate di Napolitano, come ormai tutti hanno capito (anche quelli che lo difendono) sono “scottanti†per la massima carica dello Stato.
Nessuno capirebbe altrimenti perché Napolitano lasci crescere questo tsunami che lo sta investendo e, se innocente, non faccia l’unica cosa sensata che gli si richiede: fare pubblicare le sue telefonate con Mancino.

Lo scrive su “il Fatto†anche Guido Scorza con ragionamenti ineccepibili.
Ingroia dunque ha paura di ciò che ha scoperto (cose da impeachment mica da quattro soldi)?
Temo di sì e la prova sarà proprio la sua partenza per il Guatemala.

Seconda questione. Perché il ministro della Giustizia e il Csm hanno accolto rapidamente la richiesta di Ingroia senza porsi il problema che la sua presenza ad un processo così rilevante restava e resta ancora fondamentale? Oppure, se il problema se lo sono posto, perché hanno accolto la sua richiesta? Forse perché hanno deciso che ciò era assai meno rilevante di un qualcos’altro che anch’essi sono venuti a conoscere?
E questo qualcos’altro non sarà forse il contenuto delle due telefonate di Napolitano a Mancino (presumibilmente riferite dallo stesso Ingroia)?

In mancanza di chiarimenti più convincenti questa ipotesi resta, a mio avviso, la più probabile e apre un interrogativo sui comportamenti poco ortodossi (lo fa intendere anche Mantovano) dei due organi istituzionali, i quali potrebbero aver preferito indebolire la ricerca della verità, togliendo al processo un uomo informato come Ingroia, piuttosto che lasciare nel suo incarico un uomo che avrebbe potuto anche superare la propria paura e battersi ancora per la verità.


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