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LEGGENDE: Il monaco di Rupecava

18 Aprile 2010

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]    

Nel libro “Rupecava – Alle radici della memoria†di Giovanni Paolo Benotto (Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 1997), si riporta questo brano dello storico pisano Raffaello Concioni, estratto dalle sue “Istorie Pisaneâ€, “scritte non prima del 1592â€: “Dico adunque che, dal CCCXIII fino all’anno CCCXC non occorse cosa degna da farne memoria: ma il seguente fu molto famoso e celebre per questa città. Imperocché avendo santo Ambrogio convertito Agostino alla vera via di religione, essendo egli tocco dallo Spirito divino l’anno CCCXCII si partì da Simpliciano abbate per andarsene a Roma; e passando per la Toscana, visitò tutti quei luoghi dove abitavano sante e devote persone, e nel contado di Pisa particolarmente. E trovando ne’ monti pisani alcuni romiti santi dimorò con esso loro alquanti giorni, e quivi istituì l’ordine de’ frati Eremitani, e vi compose diverse opere: ed il luogo appunto fu dove oggi è posto il convento di S. Maria Lupocavo; così detto per esservi molte grotte, che sono profonde e cavate sotto ad una gran massa di pietre.†Si dice anche che S. Agostino vi abbia composto   il suo libro “Della Trinitàâ€.  Sempre Benotto scrive: “nella chiesa di Rupecava nel 1666 (stile pisano) furono raffigurati in affresco alcuni episodi legati alla permanenza di Agostino nelle spelonche di Lupo Cavo. Di due di essi si poteva leggere la descrizione di un cartiglio sulla parete destra guardando l’altare: «Doppo che S. Agostino fu battezzato partito / di Milano venne a Lupo Cavo l’anno (…)89 » e in un altro sulla sinistra: «S ° Ag.no stete qui a Lupo Cavo (…) anni / scrisse della S. Trinità e della Be.ma / Vergine Maria ».â€

Ricordo che da ragazzo ho potuto vedere anch’io quelle scritte, ora quasi del tutto scomparse per l’abbandono in cui è stato lasciato il luogo e per i vandalismi che vi sono stati compiuti ed ancora vi si compiono.

È a proposito di questi vandalismi che desidero raccontarvi una storia che mi è capitata nell’anno 2001.  

Ricordo bene il giorno. Era giovedì 13 settembre. La sera si sarebbe tenuta per le strade di Lucca la solenne processione della Santa Croce, detta anche del Volto Santo. Al mattino volli tornare all’eremo di Rupecava, dove ero stato qualche giorno prima, in occasione della festa della Natività della Madonna, l’8 settembre. È un luogo dell’anima; le rare volte che mi spingo lassù, ne traggo una serenità che mi procura gioia per molti giorni. Così volli tornarvi in un momento in cui non avrei certamente trovato l’affollamento piacevole ma rumoroso del giorno della festa, quando al mattino, nel piccolo cortile, vengono celebrate più Messe e nel pomeriggio è recitato il Rosario alla presenza della statua lignea raffigurante la Madonna di Rupecava, ora conservata nella chiesa di Ripafratta.

Avevo provato sconforto nel vedere in quale stato si trovasse l’eremo, in cui si dice abbia soggiornato S. Agostino. Il tempo, e soprattutto i vandali lo avevano devastato. Gli uomini lo avevano saccheggiato degli arredi e avevano aperto le tombe in cui erano sepolti alcuni eremiti.

Andavo da solo e svagavo coi pensieri, muovendomi lentamente in mezzo a quella ombrosa selva di castagni. La mia mente scorreva su molte cose e sembrava vivesse un momentaneo delirio. Mi voltavo qua e là a cercare nemmeno io sapevo che cosa, i miei occhi si smarrivano nella selva o sul fianco della montagna. Stavo ormai per giungere davanti ai ruderi del convento. Mi affacciai sulla valle. Là in basso scorgevo i paesi e le strade, e dietro il crinale di una collina sapevo essere il mio paese di Montuolo. Mi accingevo a salire i pochi gradini e a varcare il cancello che mi introduceva all’eremo, quando ad un tratto scorsi un monaco venirmi incontro. Pensai che come me si fosse recato a rendere omaggio a quel luogo antico e sacro. Lo salutai con molto rispetto e stavo per dirigermi verso la chiesetta semidistrutta, quando egli mi seguì e si accostò.

– Perché sei tornato? Tu eri quassù il giorno della festa. Lo ricordo bene. Venisti con tuo figlio Stefano. Ascoltasti la Messa, e poi salisti sulla scalinata che porta alla grotta della goccia. Non è così?
– È vero – risposi, un po’ turbato.

La mia voce prese un tremito che non conoscevo. Non ero stato bene in quei giorni, avevo sofferto una labirintite acuta che mi aveva costretto al ricovero in ospedale, dove ero restato otto giorni. Ancora avevo la paura addosso e nel camminare avvertivo un equilibrio precario. Inoltre, un fastidioso ronzio mi impediva la notte di riposare come era mio solito. A volte mi fissavo su quel ronzio e non riuscivo ad addormentarmi. Anzi, mi accadeva di sudare nel momento in cui mi rendevo conto che avrei potuto anche non abituarmi mai a quel rumore che mi invadeva le orecchie e il cervello come un ribollire del sangue. Attribuii perciò il tremore della voce alla mia malattia da cui non ero ancora guarito.

– Ti domanderai come faccia a conoscerti, non è vero?

Aveva un accento dolce e amichevole, che mi rincuorò. Avevo udito raccontare brutte storie accadute in quel luogo, dove si potevano fare terribili incontri. Addirittura circolavano delle voci sulla presenza di spiriti maligni che avevano colpito più d’uno. Si diceva che un giovane avesse dovuto ricorrere ad un esorcista e il diavolo fosse uscito digrignando i denti dal suo corpo, maledicendo il luogo e bestemmiando Dio.

– Forse ci siamo parlati il giorno della festa – dissi.
– Io vivo qui – mi rispose.
– Lei vive qui!? esclamai meravigliato.

E mi prese di nuovo quel tremore nella voce. Pensai ad un ladro che si era vestito da monaco ed ora compariva per rapinarmi. Non avevo molti soldi con me e forse mi avrebbe ucciso per questo. Mi preparavo a difendermi, mi girai per trovarmi pronto ad una fuga, ma il monaco, che aveva il cranio completamento rasato ed una barba lunga che gli scendeva sul petto, dovette intuire la mia paura e volle rassicurarmi.

– Sono davvero un monaco – disse – e sono vissuto quassù molti secoli fa, al tempo che vi dimorò S. Agostino. Io l’ho visto, l’ho conosciuto quel grande Santo. Potrei raccontarti molte cose su di lui e su ciò di cui abbiamo parlato nelle sere trascorse su questo monte. Ma non sono qui per questo e non sono qui per te. Quando ti ho visto avvicinarti ho pensato che fossi un uomo a cui potevo manifestarmi. Non mi sono sbagliato, vero?
– Devo tenere segreto questo nostro incontro?

Lo dissi con parole che non riuscivo più a controllare.

– No, al contrario, devi raccontare ciò che hai visto, dato che io sono stato mandato per proteggere l’eremo dai malvagi, e desidero che si sappia.
– E come lo proteggerai, se sei solo?

Negli anni ’80 dei vandali avevano saccheggiato il monastero; forse si trattava di una setta religiosa che era arrivata perfino a violare le tombe a dispetto di Dio. Sicuramente li animava una furia selvaggia, oltre che sacrilega. Come avrebbe fatto quel monaco a difendere l’eremo da solo?

E allora mi parlò di un enorme cane mastino, che aveva un manto vivo come le fiamme di un incendio, e sarebbe comparso all’improvviso e il suo fuoco avrebbe aggredito i malvagi. Li avrebbe messi in fuga e i più cattivi inceneriti sotto le sue zampe unghiate.

Ci congedammo e mentre mi allontanavo dal monastero, mi voltai più volte per capire se avessi avuto una visione, un delirio, e se ciò che avevo visto ed ascoltato fosse solo il frutto della mia fantasia. Ma il frate stava ritto sugli scalini e mi salutava. Risposi ogni volta al suo saluto, e capii che egli si rendeva conto della mia incredulità. Tornai infine sul sentiero e lo percorsi gravato da quel ricordo. Quando fui più lontano, cominciai di nuovo a dubitare che tutto ciò fosse realmente accaduto. Si sa, la mente nessuno la conosce ed è piena di mistero. Così tenni la storia che avevo vissuta tutta per me e non la raccontai a nessuno, finché una sera non sentii narrare nella vecchia locanda del mio paese che alcuni giovani erano stati aggrediti da un mostro.

– Un grosso cane tutto avvolto da fiamme – raccontava un vecchio che aveva udito la storia. – È stato un miracolo che si siano salvati.

Narrava di alcuni giovani che si erano recati all’eremo e vi avevano tentato alcuni riti satanici.

– Hanno udito un grosso latrato, e non hanno fatto in tempo a voltarsi che dal sentiero nel bosco è comparso il mostro avvolto nel fuoco. Aveva fauci enormi e avrebbe potuto ingoiare un cristiano. Hanno fatto appena in tempo a lasciare le loro cose e a fuggire. La fortuna ha voluto che quella bestia infernale si fermasse poco dopo, appena fuori del convento. Solo per questo si sono salvati.

Fu allora che raccontai per la prima volta del monaco che avevo incontrato.

– Ci stai prendendo in giro – mi dissero quasi tutti, mentre alcuni tacevano pensierosi. Sta di fatto che ebbi la sensazione che nessuno mi credesse e me ne tornai a casa sconsolato. Mi sentivo in colpa nei confronti di quel monaco che aveva voluto che avvertissi il mondo di quella sua presenza. Mi aspettavo un suo rimprovero in una forma che non riuscivo ad immaginare. Ma non mi accadde mai nulla di ciò che temevo, ed anzi, passati alcuni mesi, seppi di una nuova apparizione del mastino dal manto coperto di fiamme. Aveva scacciato nuovi sacrileghi che vi erano andati per dissacrare quel poco che vi restava, avvicinandosi alla grotta della goccia col proposito di distruggere la piccola edicola dentro cui è esposta una minuscola statua della Madonna. Questa volta il cane aveva afferrato la caviglia di uno di quei giovinastri e aveva lacerato il muscolo. Si conobbe il fatto poiché la ferita fu tale da richiedere le cure dell’ospedale. Messo alle strette, il giovinastro aveva dovuto confessare. Disse anche che aveva visto uno strano monaco dal cranio rasato e dalla lunga barba accorrere a frenare la furia del mastino. Solo grazie a lui si era salvato.

Si trattava sicuramente del monaco che avevo incontrato quel 13 settembre. Sono certo, perciò, della sua presenza e della protezione che viene fatta a quel luogo sacro e antico, dove spesso ancora oggi sale la mia anima.


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Bart