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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LEGGENDE: La Crociata

9 Giugno 2014

di Bartolomeo Di Monaco
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Scrive Franco Cardini: “nella spedizione del 1095-1099 convergono di fatto situazioni, esperienze, soprattutto l’esperienza religiosa del pellegrinaggio e l’esperienza militare della lotta contro potenze islamiche, che sono state vivissime nell’XI secolo. Il pellegrinaggio è l’elemento che finisce col costituire, per così dire, l’asse viario e l’asse religioso portante di tutto l’XI secolo. Naturalmente va visto in un ambito ampio, in una rete anche stradale che da Santiago de Compostela in Galizia, quindi all’estremo ovest-nord-ovest dell’Europa, arriva fino a Gerusalemme attraverso Roma, e quindi attraverso le grandi vie del pellegrinaggio che toccano anche la Puglia, con un altro grande santuario, il santuario di San Michele Arcangelo; che prima di arrivare a Roma toccano un altro santuario di grandissima, di straordinaria importanza, che è la cattedrale di Lucca dove è contenuto, dove è esibito, il crocifisso detto Santo Volto, una delle immagini, reliquiari, più famosi del tempo.” (http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=364).
Si racconta che alla prima crociata partecipasse anche un lucchese chiamato Bruno. Scrive Augusto Mancini in “Storia di Lucca”, già ricordato: “di grande interesse è il rapporto che della presa di Antiochia, avvenuta nel 1097, fece un tal Bruno lucchese, con ogni probabilità un commerciante, ed ad ogni modo un borghese, che sulle navi inglesi, cum navibus Anglorum, prese parte all’assedio di Antiochia.”

Di questo Bruno non si sa altro. Ma si può supporre che non fosse il solo lucchese presente alla prima crociata. Perché non immaginare, infatti, che, come accadde per le successive, anche nella prima più di un lucchese fosse attirato dall’appello del 27 novembre 1095 di Papa Urbano II e dalla predicazione di Pietro l’Eremita? Mi sono, perciò, immaginato la storia di un altro sconosciuto, che desidero raccontarvi.

Gualberto era ancora giovanissimo quando partì per la prima crociata (1095-1099).
Il padre aveva cercato di dissuaderlo, ma inutilmente. Gualberto era talmente entusiasta di andare in quelle terre lontane e di scoprire un mondo nuovo tanto diverso dal suo che alla fine riuscì a convincere i genitori.
Il giorno della partenza furono gli amici a svegliare Gualberto acclamando sotto le finestre il suo nome.
Anche i vicini si affacciarono a salutare.
Saliti a cavallo, lui e i compagni percorsero al galoppo le strette vie della città, sul cui antico selciato riecheggiarono, in quelle prime silenziose ore del mattino, i rumori degli zoccoli delle loro cavalcature.
Trascorsero i giorni.
Lungo le strade delle campagne che attraversavano, e nelle città, altri volontari si raccoglievano intorno a quel grosso esercito partito dalla Francia, e Gualberto accresceva ancora di più il suo entusiasmo per quell’impresa straordinaria.
Con le navi raggiunsero infine la Terrasanta.
Cominciarono le cruentissime battaglie contro i mori infedeli, e in quelle occasioni Gualberto sperimentò sulla sua pelle quanti dolori, quante umiliazioni, quante sofferenze reca con sé la guerra.
Erano già morti alcuni dei suoi amici.
Antiochia resisteva.
Infine cadde nel maggio del 1098.
Gli ultimi superstiti uscirono fuori dalla città assediata e si consegnarono ai cristiani osannanti.
Gualberto si era battuto eroicamente e guadagnato il rispetto dei capi, che lo vollero accanto a sé.
Passarono i mesi.
Aveva molti amici, ora, coi quali trascorreva giornate memorabili.
Quei luoghi lo affascinavano.
Aveva accolto al suo servizio un giovane musulmano caduto prigioniero in battaglia, di nome Alì.
Nella bella residenza che gli era stata assegnata, lo teneva come servitore.
Era obbediente e molto taciturno.
Raramente Alì parlava con lui.
Ciononostante, Gualberto gli si affezionò, e così, qualche volta, andarono insieme in giro per le strade di Antiochia, e da Alì poté apprendere taluni misteriosi incanti della città.
Quando arrivò il tempo che doveva rientrare in patria, nella sua Lucca, Gualberto richiese e ottenne di poter condurre con sé Alì.
Il giovane servitore lo implorò di non farlo.
Con grande dignità domandò il favore.
Infine tacque.
«Vedrai una città sorprendente. Conoscerai una civiltà diversa che ti avvincerà come io sono stato avvinto dalla tua. »
«Desidero restare nella mia città » furono le ultime parole pronunciate da Alì.
Il giorno della partenza qualcuno di nascosto venne a far visita ad Alì.
Gualberto, fuori con gli amici, non vide.
Seppe, lo interrogò, ma non ebbe alcuna risposta.
Di nuovo cercò di incoraggiarlo.
«È per il tuo bene. Mi darai ragione quando vivrai tra noi. »
Anche gli amici lucchesi di Gualberto conducevano con sé dei servitori.
Insieme fu fatto il lungo viaggio fino a Lucca.
Vi giunsero nelle prime ore dell’alba.
La città ancora dormiva.
Il rumore degli zoccoli dei cavalli di nuovo risuonò per quelle strette viuzze antiche.
Col trascorrere del tempo, Alì non fu più considerato servitore nella casa di Gualberto.
Insieme, ora, i due visitavano la città.

Gualberto stava bene con lui.
Alì rivelava una sensibilità raffinata, un gusto attento ai particolari delle cose belle.
Però del suo passato, che pure doveva essere stato felice, non parlava mai. Certi giorni immalinconiva. All’improvviso, nel bel mezzo di una conversazione, il sorriso spariva dalle sue labbra. Erano rapidi momenti, ai quali seguivano spesso ore intere di solitudine.
In questo modo, Gualberto capì che forse aveva sbagliato a condurlo con sé. Si rammaricava di quell’errore e raddoppiò i suoi sforzi per renderlo felice.
Ma ecco che un giorno bussa alla sua porta Amina.
Apre lui stesso e vede davanti a sé la giovane ragazza.
Alì è sulla porta, dietro di lui.
Amina lo chiama.
Alì le corre incontro, l’abbraccia.
Insieme piangono.
Gualberto è muto. La sorpresa ancora gli confonde la mente.
Apprende dallo stesso Alì che Amina è sua sorella.
È arrivata con gli altri due fratelli, ancora ragazzi.
Raccontano di essere venuti da Antiochia a riprendere il fratello.
È stato difficile, pieno di insidie mortali il viaggio.
Ma senza il loro Alì la vita si è spenta. La felicità se ne è andata dal loro palazzo. Alì è il loro fratello maggiore, anche il loro padre e la loro madre da quando i genitori sono morti.
Così, Amina e i suoi fratelli furono invitati a soggiornare nella casa di Gualberto.
Amina era bella.
Per le strade di Lucca non c’era sguardo di giovane che non si posasse su di lei.
Amina rivelava la stessa sensibilità, lo stesso gusto raffinato per le cose belle del fratello.
Lucca le piaceva.
Non nascondeva di nutrire una grande ammirazione per la città.
Gualberto cominciò a soffrire.
I genitori per primi intuirono il cambiamento.
Aveva, ora, frequenti momenti di solitudine e di malinconia.
Alì lo seguiva di nascosto, certe volte che Gualberto abbandonava la conversazione e si appartava.
E fu lui, infine, a capire che l’amico amava Amina.
Sorrise quando Gualberto gli confidò che non gli interessava nient’altro al mondo all’infuori di Amina, e mai avrebbe immaginato che una ragazza, venuta da tanto lontano, avrebbe potuto occupare in modo così totale la sua mente e il suo cuore.
Alì già conosceva il sentimento.
Teneramente lo abbracciò.
Allorché il tempo giunse, anche Gualberto partì con Amina e i fratelli.
Era stato invitato al loro palazzo e sarebbe restato con loro fintanto che avesse voluto.
E avrebbe sposato Amina.
Anche la ragazza lo amava. Il suo amore era così grande che insieme con Gualberto sarebbe poi ritornata a Lucca.
Per restarvi per sempre.


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