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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LEGGENDE: Sulle orme di Giacomo Puccini

7 Luglio 2014

di Bartolomeo Di Monaco
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Nei primi anni del secolo scorso capitò a Lucca un ricco straniero che andava visitando in Europa   tutti i luoghi natali dei grandi musicisti che lui amava.
Appassionato di musica sin da ragazzo, solo ora che era avanti con gli anni si trovava nella possibilità di coronare il suo vecchio sogno.
Giungeva da Salisburgo, ma prima ancora era stato ad Amburgo, Bonn, Vienna, Parigi e finanche in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria; a Lucca arrivava dopo aver fatto tappa a Venezia, la città di Vivaldi.

Aveva preso alloggio in una piccola locanda proprio vicino alla casa natale di Puccini.
Quasi ogni giorno vi si recava in visita come a un luogo santo, e poi se ne andava in giro per la città, contento di respirare anche lui la stessa aria del grande compositore lucchese e di posare gli occhi sulle stesse incantevoli vedute.
Pochi lucchesi sapevano chi fosse quel signore che al mattino molto presto se ne usciva dalla locanda e puntualmente, dopo aver fatto il giro della bella piazza San Michele, si dirigeva verso le Mura, vi saliva, e passeggiava gustando da una parte la vecchia città turrita e dall’altra la bella campagna.

Ma quel forestiero minuto e mingherlino era uno degli uomini più ricchi della Terra.
Nato da famiglia poverissima, era stato dotato dalla fortuna di una intelligenza pronta e vivace che egli, compiuti gli studi universitari, aveva messo al servizio degli affari, rivelandovi un’attitudine davvero eccezionale.
Dopo i primi successi, si era trasferito a Parigi, quindi a Londra, infine a New York e, raggiunta l’età matura, nemmeno lui era più in grado di valutare esattamente l’ammontare delle sue enormi ricchezze.
Aveva fabbriche in tutto il mondo, alberghi, ristoranti, catene commerciali di ogni specie, banche, compagnie aeree e navali, pozzi di petrolio, miniere. Possedeva interi paesi e buona parte delle città più belle del mondo.
Si trattenne a Lucca una decina di giorni e infine una mattina di buon’ora, dopo aver dato un ultimo sguardo alla casa di Puccini e alla bella piazza San Michele, salì sulla sua lunga auto nera e uscì dalla città.

Ma quell’uomo, ahimè, contrariamente alle apparenze, non era affatto felice. Quei suoi viaggi, ora che forse la sua vita volgeva al termine, erano l’ultimo tentativo disperato di conquistare finalmente la felicità.
Egli si augurava che la suggestione di quei luoghi amati l’aiutasse a risvegliare qualcosa che se ne stava nascosta in lui, in attesa di essere sollecitata.
Pochi anni prima, infatti, quell’uomo straricco aveva fatto un incontro che gli aveva aperto gli occhi su di una realtà assai diversa da quella che conosceva.
Aveva ritrovato in una strada di Londra un vecchio amico che non vedeva da tempo, e questi gli aveva rivelato di essersi sposato con una giovane molto povera, la quale aveva illuminato per sempre la sua vita.
Senza svelare la sua condizione di uomo agiato, corteggiando la donna, si era potuto rendere conto della sorprendente serenità che occupava il cuore e la mente di lei.
Ne fu conquistato, se ne innamorò, sicuro d’aver trovato la cosa più preziosa che c’era al mondo.

Si sentì fortunato.
Mantenne ancora il segreto su di sé, e il matrimonio fu celebrato con grande riservatezza nella piccola chiesa del paese di lei.
Furono davvero pochi gli invitati.
Quando al termine della cerimonia dovettero recarsi a casa, al bel palazzo che lui abitava, la giovane capì, domandò e infine rimproverò l’uomo per averle tenuta nascosta la verità.
Per farsi perdonare, il marito le mostrò i bei gioielli che aveva comperati apposta per lei e la donna, forse per non rattristarlo, sembrò tornare contenta. Li indossò e davvero fu gemma splendente in quella casa.

Ma con il passare dei mesi, il marito si accorse che la sua adorata sposa non era più quella di prima.
La frequentazione ormai continua delle altre famiglie, gli svaghi mondani, le feste sfarzose nei palazzi più belli della città, le gite di piacere, la stavano cambiando, e l’amico vedeva scomparire piano piano dai suoi occhi la gaiezza e la serenità che tanto lo avevano colpito.
Ne ebbe paura; presagì giorni terribili, che avrebbero turbato l’anima della sua sposa.

E infatti così accadde.
A poco a poco sua moglie divenne scontenta, nervosa, irascibile, malinconica; non ebbe più per lui momenti di tenerezza, e l’uomo rammentava sempre più spesso quei primi giorni che l’aveva incontrata, quando la ragazza gli aveva svelato il suo ricco mondo interiore pieno di slanci, di allegria, di spensieratezza.

«Stava forse dentro l’uomo la chiave della sua felicità? » cominciò a domandarsi.

E la ricchezza, il clamore della mondanità erano forse il velo che fasciava l’anima, la comprimeva, la rendeva prigioniera?
Quando fu sicuro di questa conclusione, ne parlò con lei.
E la donna davvero tornò ad illuminarsi, confermò la sua tristezza e si aggrappò a lui che prometteva di restituirle la sua felicità.
Decisero di vivere in modo totalmente diverso.
L’uomo lasciò ad altri la cura della sua fortuna, e insieme si ritirarono in una piccola casetta nei dintorni di Londra.

Con sua grande gioia, presto la sposa tornò ad essere quella di un tempo. Di nuovo, nelle loro passeggiate lungo il Tamigi, la sentì raccontare le sue storie fantastiche, inventare i suoi giochi, le sue bizzarrie, e ridere e ridere del mondo interiore così affascinante che ella scopriva dentro di sé e manifestava a lui, che ne veniva attratto.
Confessò infine all’amico che nella vita non aveva mai ricevuto un dono così grande.
Allorché i due si salutarono, il ricco visitatore di Lucca capì che quell’incontro sconvolgeva la sua esistenza.

Quando mai, in mezzo a quelle enormi ricchezze che possedeva, aveva mai avuto un momento di felicità?
La sua mente lo aveva sempre trascinato per sentieri aspri, mai gli aveva concesso un momento di respiro, un istante in cui potesse riflettere sulla sua vita.
Si rimproverò di essere vissuto così.
Tornò a ricordare gli anni poveri della sua infanzia e gli parve di scorgervi i segni di una moneta, di un talento nascosto che anche lui possedeva.
Era la sua fantasia.

Al pari di quella ragazza anche per lui, ora ne era certo, era la fantasia il dono più bello che aveva ricevuto.
Essa avvicina l’uomo a Dio!
La sentiva premere, incalzare, manifestarsi dentro di sé.
Quale strada doveva percorrere allora per riconquistarla, riconciliarsi con lei?
Si sentiva vecchio, stanco, ma sapeva anche che non era finita la sua vita, e che valeva la pena di tentare.

E così nel suo cuore aveva scavato, ricercato i palpiti di quella antica passione e s’era messo in giro per il mondo, cominciando da lì, dall’amore che nutriva per la musica.
Sperava che quell’inizio avrebbe provocato dentro di sé un piccolo sommovimento, stimolato la fantasia a credere in lui, ad amarlo.
Alla fine egli l’avrebbe spuntata; avrebbe dovuto soffrire, mettere alla prova la sua volontà, ma ce l’avrebbe fatta. Sarebbe riuscito a correggere la sua mente avara, a illeggiadrirla, a prepararla al cambiamento.
E la fantasia, allora, sarebbe salita a lui dal profondo, si sarebbe distesa, manifestata qual era: bella, superba, incantatrice, e gli avrebbe portato in dono una grande, desiderata felicità.


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Bart