LETTERATURA: A proposito di “Tre Cavalli” di Erri De Luca (1999)
6 Settembre 2008
di Francesco Improta
Ho ripreso in mano per rileggerlo uno dei libri più belli pubblicati alla fine del secolo scorso Tre cavalli di Erri De Luca. L’autore, nato a Napoli nel 1950, tra i maggiori conoscitori e traduttori delle Sacre Scritture, non ha certo bisogno di presentazioni essendosi imposto da più di un decennio sulla scena letteraria con saggi lucidissimi ed intriganti romanzi. Quel che colpisce in lui immediatamente è il rigore morale ed in tellettuale, non è un caso che l’esergo di Tre cavalli reciti te stualmente: “Guai a quelli che non praticano la propria purezza con ferocia” (Mario Trejo, Argentina 1926 ).
In un tempo malato, scandito quasi dagli orologi di Dalì appoggiati alle grucce, in cui gli ideali sono appesi agli attaccapanni come abiti smessi e sdruciti, il protagonista, un giardiniere, dalle mani terrose, trascina la propria esistenza, fatta di molte vite, tra l’osteria, un monolocale ed un giardino sulla collina. Un’esistenza logora, unta come i libri con cui cerca di riempire la propria solitudine, dalla quale ha bandito persino i ricordi. E’ un uomo che cerca di staccarsi dalla sua stessa ombra, perché – come recita un vecchio proverbio – chi non ha ombra non ha passato; finché l’incontro con Laila – un nome che ha il dolce suono di una ninnananna – riapre vecchie, sanguinanti ferite: lotte operaie, venti anni di Argentina e di battaglie contro la dittatura, un amore grande, tragicamente troncato, una fuga senza meta, un corpo di donna (Maria) frugato e goduto troppo in fretta. Anche lo spazio e non solo quello ampio dell’America Latina, ma anche quello che il protagonista percorre quotidianamente, a ben guardare, è uno spazio verticale, tutto interiorizzato, in cui alla terra, “quella ladra, capace di rubare acqua al vento e alla notte” che si protende in alto in un anelito di bellezza, la sola in grado di superare la forza di gravità, si contrappone la spinta verso il basso dell’uomo, una spinta centripeta alla ricerca di un ordine, di un equilibrio, di cui è testi monianza la rigorosa geometria delle cose e degli sguardi con cui le cose stesse sono colte.
La scrittura è scarna, essenziale, spesso ruvida come “la carta da imballaggio” di cui sembra fatta la faccia del protagonista, come il palmo delle mani, simile a carta vetrata, ma “come il sarto della notte cuce pelle, rammenda calli, rabbercia gli strappi e sgonfia la fatica” così quando entra in scena Selim, un Africano anziano che ama le olive, le mimose e la conversazione, che fa dono di sé e della sua integrale, feroce purezza perché conosce il valore antico e sacrale dell’amicizia e della gratitudine, la narrazione si fa più leggera e trasparente: “Uno spago lega la terra e il cielo e le case, impastate con l’acqua piovana sembrano fatte di nuvole“.
E’ un libro costruito più per sottrazione che per accumulo “non è il giorno a venire, è la notte a togliersi“, ed è tutto coniugato al presente (soggetto cinematografico più che romanzo, conosco un regista che farebbe follie per portarlo sul grande schermo). Si tratta, infatti, di una costruzione antifilosofica, tutta calata sulle evidenze prime, priva di un passato arioso e di un luminoso futuro. Passato e futuro sono, in questo caso, tempi mortuari ed in quanto tali costituiscono una semplice cornice fossile. Un libro, in conclusione, che dice molto di più di quel che rac conta, che parla alla coscienza di chi legge con un linguaggio semplice, ruvido ma poetico, capace di riflessioni profonde e di improvvise illu minazioni. Una vicenda per molti versi autobiografica in cui si rispecchia però un’intera generazione: giovani che hanno speso la loro giovinezza nelle piazze per manifestare l’urgenza di un cambiamento, che purtroppo non c’è stato, e che sono finiti alcuni morti ammazzati altri vittime della droga altri ancora, impenitenti, ad invecchiare in carcere.
Il titolo del libro è tratto da una filastrocca dell’Appennino emiliano, che recita così:
Tre anni una siepe,
tre siepi un cane,
tre cani un cavallo,
tre cavalli un uomo…
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