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LETTERATURA: Al mercato

5 Ottobre 2009

di Felice Muolo  

        La mattina mi buttavano giù dal letto alle quattro meno un quarto, mi lavavo e vestivo in fretta. Uscito di casa, attraversavo a piedi mezzo paese semibuio. Se udivo l’eco di passi nella notte oltre i miei, rabbrividivo. Arrivato alla piazza grande, mi consideravo in salvo e raggiungevo la rimessa poco distante. Quando ero in anticipo, mi sedevo davanti a essa, sul bordo del marciapiede, e attendevo che comparissero l’autista e il suo assistente. Scarafaggi neri e lucidi circolavano presso i miei piedi, incuranti della mia presenza. L’aria fresca di primo mattino dava la corda al mio cervello. Sviluppavo concetti filosofici che consideravo di notevole importanza che presto dimenticavo.
        Nel retro della cabina del camion sedevano appaiati tre-quattro proprietari delle merci trasportate, tra cui a volte io, invece di mio padre. La strada per Bari era stretta e a saliscendi, con ai lati due file di alberi. Attaccava sempre l’autista. Informava che anche quella notte l’aveva messo a mollo. Si arricchiva l’argomento. Si raccontavano storie di donne insaziabili che mandavano al Creatore i loro amanti. Seguivano le lamentele dei passeggeri, sulla difficoltà di riuscire a campare esercitando la professione del coltivatore diretto. Io dovevo stare zitto e ascoltare. Avevo i pantaloni corti ed ero studente. Avrei capito qualcosa della vita se avessi zappato la terra sotto il sole, invece di starmene seduto al fresco tra i banchi di scuola.
        Arrivati al mercato, il camion girava per i posteggi di vendita, distribuendo casse di verdure con i rispettivi proprietari. Poi iniziavano le contrattazioni tra i posteggiatori e gli acquirenti.
        A mano a mano che il tempo passava, i prodotti calavano di prezzo. Se rimanevano invenduti, andavano al macero nella stessa mattinata.
        Quando non riuscivo a reggere, me ne andavo al bar del mercato. Acquistavo un pezzo di focaccia infarcita di tonno, una bibita e mi sedevo a un tavolino. Mangiando e bevendo in silenzio, scrutavo le facce degli avventori con i miei stessi problemi. E speravo, quando fossi ritornato indietro, di trovare venduta la mia partita di merci, a qualsiasi prezzo. Se il miracolo si compiva, tiravo un grosso sospiro di sollievo.
        Raggiungevo poi la stazione ferroviaria per tornare a casa in treno, con poco o niente denaro in tasca. Attraversando da un capo all’altro la città a piedi, per risparmiare i soldi dell’autobus, spesso entravo in un albergo che incontravo sul mio cammino. Nella hall si tenevano mostre di quadri di pittori contemporanei famosi e li contemplavo incantato.


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 5 Ottobre 2009 @ 16:53

    Uno spaccato di vita che riconduce ad un passato dal sapore aspro di sacrifici e di profonda difficoltà, anche se sottende sempre un’intesa con l’emozione. La memoria rivive intensa e ritrova una propria identità non solo formale. L’essenzialità e la nitidezza delle immagini, la durezza di una realtà, l’intimo sentire tracciano un percorso, che il tempo non può arrestare. E divengono pure testimonianza, privilegio meditativo, monito per molti di noi e soprattutto per i nostri giovani.
    Gian Gabriele

  2. Commento by Felice Muolo — 5 Ottobre 2009 @ 19:26

    Grazie, G.G.

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Bart