LETTERATURA: Al supermercato13 Marzo 2014 di Mario Camaiani Una volta a fare le spese giornaliere di norma ci andavano le donne, ed era rarissimo vederci un uomo; oggi invece si può dire che in questo caso si è raggiunta la parità fra i due sessi. E fare acquisti al supermercato, grande, spazioso, è tutt’altra cosa che farli alla piccola, modesta bottega di un tempo. Infatti, in questo luogo di compere, dove convergono moltitudini di acquirenti provenienti anche da località circostanti, fra un acquisto e l’altro si intrecciano le più disparate conversazioni dando vita ad una sorta di ritrovo sociale, riscoprendo e rinsaldando vecchie amicizie e creandone di nuove, consigliandoci reciprocamente sul costo e sulla qualità dei prodotti, aiutando chi è in difficoltà a mettere la merce acquistata sul banco alla cassa, o a toglierla. Ma soprattutto, se necessario, l’aiuto ai clienti viene dato dal personale di servizio, sempre gentilmente disponibile. Non mancano però dei fatti curiosi, quasi comici, che mettono in evidenza il recondito carattere delle persone. C’è chi ha fretta o, con carattere impaziente, è come l’avesse, che guarda di malocchio il cliente che viene servito prima di lui al banco gastronomia, perché questi non si decide su cosa comprare e poi cambia idea, magari più volte, anche con disagio della commessa che lo sta servendo. E, alle casse, chi ha poca roba e non osa chiedere di passare avanti ad un cliente che ha una carrellata di merce, cerca allora di fargli notare la sua, pochissima, che tiene nelle mani e, quasi sempre, quando questi se ne accorge, gli dà la precedenza. Ancora alle casse spesso accade che si determinino lunghe code per cui una delle cassiere, tramite altoparlante, chiama una sua collega a mettere in servizio un’altra cassa. E qui si scatena la ‘caccia’ alla nuova cassa, da parte delle persone che finora, magari brontolando per l’attesa, si comportavano gentilmente fra loro. Tutta l’attenzione è ora rivolta a sapere quale delle casse inoperose entrerà in servizio e per questo c’è chi, come un agente segreto, chiede a qualche commessa quale cassa aprirà, mentre tutti fremono in attesa di ‘scattare’. Infine, ecco che arriva la nuova cassiera; ed allora i clienti in media e fondo coda alle altre casse seguono ansiosi il suo percorso finché, individuata la cassa in apertura, si scatena la corsa, con carrelli, cestini, borse: un caos di persone che cercano di arrivare prima degli altri, quasi a gomitate. Cosicché talvolta gli ultimi arrivano per primi ed inoltre ci sono altri clienti che, terminate le compere si dirigevano tranquilli alle casse, rendendosi conto che una sta aprendo, anch’essi si precipitano verso quella, magari accennando ad una piccola corsa onde tagliare la strada ad un altro che sopraggiungeva. Poi tutto si ricompone; ma, a commento del fatto, spesso c’è anche chi, rimanendo al suo posto, stigmatizza detti comportamenti, diciamo non troppo civili. Percorrendo le corsie della merce esposta, può capitare che persone che da molto tempo non si vedevano, s’incontrino: da qui, se si tratta di persone che erano in buoni rapporti si esternano saluti, baci, abbracci, domande reciproche di parenti, di amici. Mentre se si tratta di persone che fra loro c’è stato contrasto, inimicizia, allora, in genere ambedue le comparti fingono di non conoscersi, e proseguono oltre. Ma fortunatamente può accadere che qualcuno, in quest’ultimi casi, saluti cordialmente gli altri, porgendo loro la mano; ed allora può avvenire il ‘miracolo’ della riconciliazione! Succede anche che un cliente scambi un altro cliente per un suo vecchio conoscente, salutandolo calorosamente; mentre quest’ultimo, imbarazzato, non sa che dire. Ed un caso di questi capitò pure a me che, avendo corrisposto d’istinto ai saluti dell’altro, non ebbi poi il coraggio di chiedergli chi fosse! Ma da allora mi proposi, in simili casi, di chiedere espressamente all’interlocutore chi sia e dove ci siamo conosciuti e praticati; e più volte ciò è avvenuto chiarendo così la cosa, sia se l’altro mi avesse scambiato per un’altra persona, sia se io non mi ricordavo chi egli fosse. Una volta, uscendo dal supermercato, incontrai un amico che mi volle offrire una bevuta al bar: capii che mi voleva dire qualcosa. Infatti, nervosamente, mi raccontò ciò che poco prima gli era accaduto: “Mentre facevo la spesa, ecco che mi incontro col mio caporeparto, il quale al lavoro spesso mi fa soffrire perché mi tratta duramente, non tralasciando occasione per rimproverarmi. Comunque ho fatto ‘buon viso a cattivo gioco’, come si suol dire, l’ho salutato con rispetto, gli ho dato alcune spiegazioni su qualcosa che mi ha chiesto inerente alla spesa, mentre lui mi guardava con aria di superiorità. Passano pochi minuti ed ecco che, mentre uscivo da una corsia e ne imboccavo un’ altra, urto con il mio carrello contro quello di un cliente…Era ancora lui! Imbarazzatissimo, gli ho chiesto scusa e, a mo’ di battuta, ho detto: ‘Qui è come alle giostre: si gira e rigira e ci si ritrova sempre!’ Ma egli, anziché dire: ‘non è niente’, come normalmente si fa, severamente mi ha redarguito: ‘Lei è sempre troppo frettoloso, in modo che rasenta l’imprudenza; e questo lo dico anche perché so come si comporta al lavoro!’…Capito? – mi concluse l’amico, scoraggiato – Mi ha umiliato anche qui!”. Giorni fa c’era un tiepido sole che, dopo giorni di pioggia, permetteva ad un gruppetto di persone di sostare all’esterno del bar del supermercato: mi unii a loro e subito uno esclamò: “Ecco un altro pensionato…Penso che ormai noi siamo quasi nel ‘regno dei più’, ché la nostra categoria è numerosa come quella dei lavoratori in attività!”. Al che un altro commentò: “Quando eravamo giovani si diceva che eravamo ‘un popolo di eroi, di santi, di navigatori’: a questa definizione al giorno d’oggi bisognerebbe aggiungere: ‘e di pensionati!’”. In quel mentre si avvicinò un anziano medico della zona, che ci chiese: “Cercavo il ‘Centro di salute mentale’, potete dirmi dove si trova?”. Ci guardammo sorpresi, mentre uno di noi, Aristide, gli rispose: “E’ qui a due passi, dottore, in questo edificio”, e glielo indicò. Poi si rivolse a tutti gli altri : “Purtroppo sono a conoscenza di questa struttura sanitaria, dato che una mia parente, squilibrata psicologicamente, è in cura da quei medici”. “Insomma, in definitiva si tratta di una specie di manicomio – fece una donna -, e perché chiamarlo ‘centro di salute mentale’? Forse che cambia qualcosa a parlare chiaro?”. “Certamente non cambia alcunché – intervenne un altro -, solo che usare termini eufemistici, cioè bugie pietose, fa parte della cultura vigente oggigiorno”. “Ma tutto ciò è un’ipocrisia – ribatté l’altra -, perché a me, che faccio la donna di servizio, mi viene dato il titolo di ‘collaboratrice domestica’, come fossi alla pari dei signori che servo; ma loro sono pieni di quattrini, mentre io invece sono povera!”. E, su questo tema, allegramente ognuno volle dire la sua: “Sul camioncino del comune che viene utilizzato per lavori di pulizia e simili vi è scritto, pomposamente: ‘servizi tecnici’, per cui si può dedurre che serva non per lavori manuali, ma di concetto, e che gli operatori siano dei laureati!”. E poi: “Cosicché il sordo è ‘non udente’, il muto ‘non parlante’, il cieco ‘non vedente’, e così via, fino al paradosso, per chi ha una data menomazione, del quale si dice che è ‘diversamente abile’, il che, letteralmente, significa: ‘disabile’!”. “Quando da giovane frequentavo la scuola – intervenne Aristide -, a cavallo fra gli anni trenta e quaranta, le persone menomate venivano definite con termini propri ad ogni infermità e non in modi eufemistici come avviene oggi. Ma, si diceva, ognuno nel proprio stato deve vivere con dignità, perché le ferite piagano il corpo, ma lo spirito resta indomito e incrollabile. E ci veniva proposto, a conferma di detto concetto, l’esempio di Carlo Delcroix che, rimasto orrendamente ferito e mutilato durante la prima guerra mondiale, con la perdita degli occhi e delle mani, riuscì ad inserirsi attivamente nella vita, fondando l’ANMIG (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra) e divenendone presidente e, nel secondo dopo guerra mondiale, ad essere eletto deputato”. A questo punto, ritornando in argomento in modo spassoso, volli dire qualcosa pure io: “A quelli di età avanzata, come la mia, nessuno c’interpella come ‘vecchi’, bensì come ‘anziani’; ma nonostante questo il peso dell’età lo sentiamo ugualmente…”. “No – mi si rivolse l’amico Annibale -, tu Mario non sei né vecchio, né anziano…Sei ‘diversamente giovane!’”. “E’ vero – gli risposi e, con una battuta che mi venne in mente in quel momento, aggiunsi -: come è vero che i ‘delinquenti sono diversamente onesti!’”. Tutti si fece una bella risata e, per ultimo, Aristide volle concludere: “Certamente meglio sarebbe dire ‘pane al pane e vino al vino’, come si usava una volta…Ma, a proposito di diversità, ho pensato che allora i morti, presenti nell’al di là…’sono diversamente vivi!’”. E tutti rimanemmo seriamente colpiti da detta definizione, questa volta vera, senza eufemismi. Letto 2283 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Mario Camaiani — 14 Marzo 2014 @ 18:10
Dall’amico Gian Gabriele Benedetti, ho ricevuto un bellissimo commento a questa mia narrazione, che qui trascrivo:
“Il lavoro si muove con l’immediatezza di un narrare arguto e, talvolta, scanzonato. Ma rappresenta una realtà che, tutto sommato, fa meditare. Ne emerge, nella prima parte, l’ansia di una vita moderna che va troppo di fretta, anche se ancora qualcuno, raro purtroppo, cerca lo sguardo e la mano dell’altro. Non è più tempo del piccolo negozio sotto casa, dove gli scambi di saluti e di parole fiorivano e gli incontri abbellivano ed arricchivano un’esistenza di sane relazioni. Oggi non palpita più questo mondo ormai pressoché perduto e ne risentono i veri rapporti, quasi a farci divenire estranei tra noi e a renderci spasmodicamente frenetici, nonché un tantino dissociati.
Poi lo svolgimento si sofferma intelligentemente sul gruppo degli anziani, che ama ancora l’incontro e la sana chiacchierata. E qui, appunto, l’aspetto amicale e solidale riemerge, l’umano sentire riaffiora, la meditazione si fa fitta, ma non greve. Quasi in una sottile gara goliardica e assai divertente. I convenuti si soffermano su una certa ipocrisia di termini in uso che giocano sulle parole, come a nascondere certe situazioni e verità. Si tratta, è vero, di un linguaggio che tende a mostrare maggior rispetto (almeno esteriormente) specie nei confronti delle diversità. Ma qui spesso si esagera, attraverso un buonismo di maniera, usando ardite scelte e strutture di termini. Ed ecco allora emergere, proprio nella verve degli anziani, quell’ironia che riesce ad ammorbidire anche la pesantezza degli anni. Il racconto, a questo punto, si fa saggezza meditativa, voce brillante, respiro sostanziale e soprattutto appare mordace, burlesco e oltremodo divertente. Il tutto poggiato sulla cultura, che si attesta come conoscenza dell’animo umano e dei problemi relativi all’oggi. E ci offre, oltre alla vivacità narrativa, una briosa originalità in relazione ad un humus di motivazioni di organica compiutezza, sottolineando, pure attraverso il sorriso, la vena espressiva e brillante dell’autore. Gian Gabriele Benedetti”
Gian Gabriele, ti ringrazio immensamente mentre, con tanta amicizia, ti saluto. Mario