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LETTERATURA: Avvicinandosi il tramonto

29 Novembre 2020

di Bartolomeo Di Monaco

Mi sono voluto concedere una paura di riposo, che sarà sempre più lunga, dedicandomi alla sola lettura (ogni tanto, ovviamente, farò qualche eccezione). Praticamente, tutto ciò che ho desiderato scrivere, in narrativa. in saggistica, in poesia, l’ho scritto, nel bene e nel male, e senza mai farmi condizionare dalle esigenze di mercato, che mistificano e confondono l’identità spirituale di un artista. Non ho contato le mie opere, forse saranno una cinquantina e forse più, tra le quali mi sono care quelle dedicate ai ragazzi. Mio figlio Stefano sta leggendo tutto quanto ho scritto ed ha fatto già uscire due piccoli volumi (li trovate su Amazon.it); fra poco avrà pronto il terzo. Il figlio che si dedica a studiare le opere del padre, che vuol dire studiarne l’anima, è cosa rara e non facile.

Dunque, la mia pausa dallo scrivere (ma non dal leggere).

Ho preso in mano il bel libro di Carla Sodini, “Amici per sempre. Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti tra Lucca e Roma” e vi trovo indicato spesso due nomi quasi dimenticati, ma che ebbero vigore nella Lucca letteraria e artistica del Novecento: Romeo Giovannini e Giuseppe Ardinghi.

E allora mi sovviene un fatto che mi accadde e che ho già raccontato, essendomi rimasto fotografato nella mente.
Avevo da poco pubblicato con Maria Pacini Fazzi, la mia prima editrice, “Mattia e Eleonora. Una storia lucchese”. Era il 1992. A quel tempo, in via san Paolino, c’era la libreria “Il Castoro”, che frequentavo. Un giorno la titolare mi chiese se poteva fissare, nella bottega, un appuntamento tra me e Romeo Giovanni e Giuseppe Ardinghi, che avevano letto quel mio libro e desideravano conoscermi.
Ovviamente, contento, dissi di sì, e ci incontrammo. Erano due simpatici e gentili vecchiettini. Mi strinsero la mano e mi parlarono bene del libro, e mi auguravano un futuro come scrittore. Ci salutammo con molta cordialità
Non so che cosa avessero in mente su di me, ma io non ho mai avuto successo. Ho condotto, letterariamente, una vita solitaria, fuori dal chiacchiericcio e dalla confusione. Mi sono fatto le mie idee e con quelle sono andato avanti. I miei compagni, numerosi, sono stati gli autori dei libri che ho letti. In questo ho sempre tenuto la porta aperta. Quanti ne sono entrati! Tutti accolti bene, che hanno reso, insieme con la mia famiglia, lieta la mia vita.
Negli anni ho ricevuto molti attestati di stima su mie letture dagli stessi autori contemporanei, di notorietà nazionale e internazionale, interessati, che li avevano scoperti su internet, i quali mi hanno dato la forza di continuare, e quando qualcuno ha cominciato a scrivere che avevo inventato un nuovo modo di fare critica letteraria, ho avuto conferma che ero riuscito a fare quello che volevo. Proprio quello! Rendere, ossia, la critica comprensibile e affascinante con una scrittura non dissimile da quella del racconto. Se davvero ci sono riuscito, conto che qualcuno, quando si tirerà un bilancio su questi anni, se ne ricordi.

Devo molto all’incoraggiamento di alcuni autori, oltre i due illustri che ho già ricordato. Per primo il compianto Italo Rocco, direttore di una rivista che ancora dopo tanti anni sopravvive, “Silarus”, il quale venne a Lucca per conoscermi (ero ancora un giovincello, non sposato); Antonio Romiti, responsabile dell’Istituto Storico Lucchese, di cui conservo le lettere che mi scriveva; Guglielmo Lera che lodò come una delle più belle dedicate a Lucca, la mia poesia “Lucca”; il grande critico letterario, al quale si deve in gran parte la valorizzazione di Giovanni Pascoli, Giorgio Bárberi Squarotti, di cui conservo la cospicua corrispondenza intercorsa in circa vent’anni, e che ospitai a casa mia insieme con sua moglie: due figure discrete e distinte. Una parola speciale merita Vincenzo Pardini, che mi segue da anni e che mi ha fatto conoscere ai Lucchesi coi suoi cari articoli. Di lui abbiamo in famiglia un gran ricordo, quando ricevetti una sua telefonata ed io esclamai a voce alta e con gioia il suo nome e tutti l’udirono. Mi citava la frase di un racconto che gli avevo inviato e mi diceva che era una frase da grande scrittore. Se avesse potuto vedermi, diventai rosso come un peperone!

Ci sono anche altri, che ora non ricordo e che mi hanno dedicato un articolo, tra tutti Oriano De Ranieri, che mi riservò su “La Nazione” una intervista a pagina quasi intera. Così fece pure Flavia Piccinni su “Il Tirreno”.

Penso che stia per arrivare il momento non solo della pausa, ma del riposo. Scrivere una delle mie letture non è cosa semplice, e chi le segue se ne sarà accorto. Mentre leggo, mi assalgono immagini e idee di raffronto, e allora devo fermarmi e andare a verificare per avere le conferme necessarie. Quando si è giovani, non si sente la fatica, e si ha buona memoria, ma con il peso degli anni, eccome se si sente! Leggere un romanzo nel modo in cui ho deciso da tempo di leggerlo io è complicato, anche se all’apparenza lo scritto sembra semplice e scorre bene. Ma le energie devono essere sempre fresche, e la mente positiva e ricca di entusiasmo. Per il momento ce ne ho ancora un po’, ma poi?


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