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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Bivio a Vecoli

19 Dicembre 2007

racconto di Nicola Dal Falco

Il nonno e suo fratello cacciavano qui, in questi boschi che pur non essendo sconfinati ed echeggiando ancora le mura e i sobborghi di Lucca, hanno un’ asprezza, una verticalità che taglia le gambe.

Il lato selvaggio non si nasconde, sta dentro il vasto podere delle colline come succede per gli angoli, prossimi e dimenticati, dei grandi giardini: confine di cose e abbandoni, di voci, richiami.Sembra ciurlare con il pittoresco, la mise en place gotica, invece sa di cenere e pane, freddo abbraccio di cantina, odore d’ ortiche, di bisce…

Colline abitate qua e là in isole di pietra e mattoni, a portata di sguardo, fino a che una fucilata non ghiacci il silenzio maggiore, verrucato, dei lecci.

Il possesso di posti del genere non è facile; non c’è prezzo o eredità che ne fissi, una volta per tutte, il godimento.

Bisogna allargare il fosso ostruito, piantare pali e levigarli di verderame, dare un verso al glicine e alla vite che ombreggiano la doppia porta ad arco. Oppure, avere un senso smodatodell’ a capo: allegro-adagio-allegro.

                                                         

***

Un cane dionisiaco, gettato e trovato sulla spiaggia. Salvato, a festa finita, con il tornare della risacca, del suo martello, mentre si svuotano i bicchieri.

È stato un po’ di vino scuro e di pallida birra a svegliare il cucciolo, a dargli un guizzo come di pesce che morda l’aria.

                                                                 

***

Ville nascoste allo stesso padrone che le tratta come farebbe con la favorita reale, tenendo celati itinerari e orari, dove s’ invera il piacere, si dà fuoco alla contemplazione del segreto bene.

                                                                   

***

La luna a metà, scesa in basso fino a sfiorare la cornice dentata delle pinete sembra tirata a calce, senza più macchie e meandri… luna fantasmagorica? bidimensionale, occhio socchiuso, spettrale bocca all’ insù.

Con lei galleggia il cuore, la malia sospesa delle ore fuori dal sonno e dai discorsi.
Non le volti le spalle né puoi chiamarla a testimone d’ogni uscita di senno.
Una luna così predica il passaggio, l’ oltre di chi è andato lontano, senza rinvii.
Luna insegna, luna di strada tra colline e cacce trascorse, bianco fantasma di gesso.

                                                                 

***

Così è e parve già chiaro, quando in cima alla salita si fece avanti il bivio, non un   bivio qualsiasi, ma un muro con intagliato dentro il vuoto di una porta: arco solitario d’acquedotto,dietro cui si ricama il verde giallo e nero della macchia.

Un bivio, insomma, travestito da trivio, essendo il varco nel muro di villa Forci aperto, libero, eppure, in qualche modo inviolabile, custodito dalla stessa curiosità di chi passa.

                                                             

***

Forse le feste, qualsiasi festa, per bambini o nottambuli, non cedono solo al presente, ma hanno il potere di mettere insieme, evocando, i giorni trascorsi da altri: saranno le grida, i dolci o il semplice fatto di scegliere un’ ora, tra girandole di minuti.
Altri che non sono e tuttavia guardano con stupore di spettri i piaceri e gli imbrogli di chi prosegue la vita.
Quale ingiustizia immaginare che la presenza improvvisa nasca da un desiderio di notorietà, dall’urgenza di rimettere in discussione cose già state.
No, i morti non recriminano, non tormentano, semmai si sentono spinti, urtati dal brusio delle repliche inconsce.
Per questo, i cani girarono il muso di scatto, insieme, verso un punto a mezz’aria.
Perciò, la notte, segnata di nuvole, volse il cielo in temporale, in tagli d’acqua obliqui.
E, per lo stesso motivo, forse, la bella che offriva minuscoli grappoli d’uva, mi spinse a ingrandire l’offerta, a prenderne due, con chicchi gialli topazio, e a infilare in tasca i rispettivi rametti.

Gli stessi che conservo sul tavolo, orme d’ombre che per le stesse colline andavano a caccia.


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Bart