LETTERATURA: Carlo Sgorlon: “La poltrona” – Mondadori18 Maggio 2014 di Bartolomeo Di Monaco La curiosità di questo libro, uscito nel 1968 ma finito di scrivere nel 1965, è che non ha capitoli né paragrafi, ossia nessuna interruzione se non quella rappresentata dalla punteggiatura. Qualche anno più tardi un ulteriore passo in avanti sarà compiuto da Giovanni Mariotti, con la bellissima “Storia di Matilde”, pubblicata da Adelphi nel 2003, ma che già circolava in una edizione ridotta dieci anni prima, la quale non solo non ha capitoli né paragrafi, ma nemmeno la punteggiatura, eppure si legge come se l’avesse, tanto la scrittura è solidamente intrecciata. Il libro di Sgorlon è la storia di una nevrastenia. Sin dalle prime pagine il lettore ne viene angosciato e la tentazione è quella di abbandonare la lettura, ma sarebbe un errore gravissimo, giacché ci troviamo in presenza di un’adesione perfetta tra la scrittura e il personaggio, un insegnante che vive solo in un modesto appartamento i cui vicini sono una famiglia scombiccherata, le cui bizzarrie non fanno altro che acuire il suo malessere. È impegnato a scrivere un libro, ma molte sono le cause che lo ostacolano. Non solo gli impicci dei vicini, in specie il dispettoso Sandro, figlio di uno di loro, le liti di due vecchiette che bisticciano per tenere o chiuso o aperto il portone del cortile, ma le sue molte indecisioni e le sue insofferenze. In soffitta ha dei pezzi da montare di una poltrona che vuole costruirsi per stare più comodo mentre scrive il suo romanzo la “Torre di Babele”, visto che non riesce a stare sulla sedia, troppo rigida. Questo lavoro, alternato a quello della poltrona di cui poco s’intende, lo manda continuamente in bestia. Il periodo è quello delle vacanze di Natale, ed è tanto mai perso nella sua nevrastenia che nemmeno sa se la festa di Natale sia o meno trascorsa. Vive come un orso e lui stesso riconosce la sua selvatichezza al punto di convincersi che: “Finirò qui l’inverno, ci starò anche quest’estate, e chi sa quando me ne andrò. Forse non cambierò neanche casa. Qualcosa di questa casa mi aderisce addosso, tra me e lei c’è un legame più forte di quello che credo, un legame che forse non riuscirò a rompere mai.” La descrizione, verso il finale, di un delirio che lo assale, a causa della febbre, dà il segno, se ce ne fosse stato ancora bisogno, del valore di questo scrittore. Letto 1740 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||