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La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Cuori scolpiti

15 Gennaio 2009

di Mario Camaiani

    L’uomo, appoggiato ad una lancia di salvataggio, sul ponte del piroscafo, scrutava l’orizzonte.  
    Fra poche ore avrebbe rivisto la sua cara Patria.
    La nave navigava con due giorni di ritardo a causa di un’avaria alle macchine avvenuta il giorno della prevista partenza da Santos, in Brasile.
    Marco Rosello, un bel giovane di ventotto anni, era emigrato cinque anni prima nella grande nazione sudamericana.
    A quel tempo, la vita nel suo caro paese, nell’interno della Campania, non era tanto bella per le famiglie di poveri contadini, come la sua. Egli era terzo ed ultimo figlio di una coppia di onesti contadini.
    Il suo fratello maggiore era già sposato e si era trasferito, con la propria famiglia, nel nord Italia, dove lavorava in uno stabilimento.
    Sua sorella Concetta era una lavoratrice della terra, così solerte da gareggiare con lui. Ma nonostante le fatiche di tutti i quattro familiari, i guadagni erano magri; e Marco, consigliato dal fratello, che a Bergamo aveva raggiunto un tenore di vita migliore, decise di emigrare in Brasile dove, si diceva, c’era molto lavoro e la retribuzione degli operaio era buona.
    Su questa sua decisione aveva però pesato soprattutto un motivo sentimentale: egli era fidanzato in segreto con una giovanissima ragazza di sedici anni, Margherita Toniolo: poco più che un bambina, ma i di lei genitori si opponevano alla relazione della quale avevano avuto sentore, data la giovane età della figlia, ma ancor più per la scarsa fiducia nelle possibilità economiche di Marco, il quale così decise di tentare la fortuna in Brasile per poter sposare la ragazza del cuore.
    Così, Marco e Margherita si ritrovarono la sera prima della partenza del giovane, come già tante altre volte, furtivamente, al pozzo dei Toniolo, situato una trentina di metri dalla casa di Margherita.
    Rinnovarono le loro promesse d’amore, si giurarono eterna fedeltà e Marco promise solennemente che non appena avesse fatto un gruzzolo sufficiente, sarebbe tornato a sposarla e avrebbero aperto un negozio di ortofrutticoli, nel centro del paese.
    Anche questo era un sogno di Marco. Poi, dopo un ultimo abbraccio, piangendo, si separarono.  

    In Brasile, Marco, dopo un duro e tormentoso tirocinio iniziale, aveva trovato un buon lavoro a San Paolo, in un cantiere, e inoltre di sera lavorava fino ad oltre la mezzanotte, come sguattero, in un grande ristorante. I facili divertimenti che gli si presentavano, gli amici che cercavano di smuoverlo, la sua vitalità di vent’anni, solo in una grande città, non avevano ragione della sua volontà e del suo forte stato d’animo di ragazzo per bene che voleva tenere fede ai propri principi ed ai propri impegni. Egli lavorava così tanto, solo per poter tornare più presto in Italia, rivedere i suoi cari e sposare Margherita.
    Prima di stabilirsi a San Paolo aveva lavorato nella costruzione di una ferrovia, molto all’interno della regione. Laggiù aveva incontrato un gruppo di Missionari italiani: essi gli avevano ricordato e rinforzato i suoi doveri di uomo e di cristiano ed egli aveva collaborato con loro, aiutando anche materialmente quei cari Padri. Anche a San Paolo aveva attinto alla forza della Fede e della preghiera, specie nei momenti difficili che non gli erano mancati e finalmente, dopo oltre cinque anni, rimpatriava con un discreto gruzzolo che gli avrebbe permesso di avviare un negozio e di sposarsi. In Brasile egli però lasciava un po’ del suo cuore: in quegli anni si era affezionato assai ai luoghi ed a molte persone.
    Di Margherita egli aveva avuto notizie saltuarie attraverso lettere dei suoi, specie da sua sorella che sapeva qualcosa del sentimento d’amore del fratello.
    L’ultima volta che Concetta gli aveva scritto di Margherita era stato 5 mesi avanti e le notizie erano buone: essa era molto sviluppata e stava bene: era una delle più belle ragazze della zona.  

    Napoli, finalmente, l’Italia; l’entusiasmo era sommo fra i passeggeri: Marco aveva le lacrime agli occhi: era il 10 dicembre 1924; quell’anno il S. Natale l’avrebbe trascorso con i suoi cari!
    Grandi accoglienze per lui, al paese, al suo arrivo. Gli amici (molti dei quali erano stati aiutati da Marco con pacchi e denaro) lo portarono addirittura sulle spalle fino a casa e stabilirono con lui una cena per l’indomani sera. La mamma lo abbracciò piangendo: commossi il babbo e Concetta poi, fino a tardi, a raccontarsi tutto, lui a loro ed essi a lui. Di Margherita non riuscì a sapere gran che; poi andò a letto, nella sua cara camera e riposò felice.
    L’indomani, Concetta, dopo la colazione, gli parlò bruscamente: -Sento che ti interessi ancora di Margherita; ma ho da darti una amara notizia: essa   si è fidanzata da qualche mese con il figlio del fattore, Pasquale Ferrone.
    Un fulmine a ciel sereno, una mazzata sul capo, Marco si sentì smarrito, come non gli era mai capitato.

– Mi dispiace -riprese Concetta- non credevo che tu le volessi così bene: coraggio fratello, bisogna saper reagire ai dolori della vita con una volontà superiore.

– Grazie di avermelo detto -disse Marco- è stato bene che l’abbia saputo da te.

    Mancava circa un’ora all’inizio del festino che veniva dato in suo onore, e Marco si aggirava nei pressi della casa dei Toniolo.
    Ad un tratto Margherita uscì di casa e si avviò verso il pozzo. Egli le si parò davanti.

– Margherita… E la voce gli mancò.

– Tu! -disse lei- Non dovevi cercarmi, lo sai, vero?

– Si, ma come è possibile? Perché l’hai fatto?

– Marco devi capirmi, erano già parecchi anni che eri andato via, qui in paese si diceva che stavi per sposare una ricca brasiliana, Pasquale mi faceva la corte incessantemente: infine anche i miei mi hanno spinta ad accettare.

   -No! -interruppe Marco, non è vero: è perché tu non mi volevi bene: io ti ho sempre amata, ho sofferto per te, e tu ti sei lasciata comprare; già, i tuoi hanno piacere che tu sposi il figlio del loro fattore… Miserabili!

– Non dire così; essi non c’entrano tanto, e poi tu per loro non avevi nessun diritto.

    Marco le si avvicinò: – Allora, se mi vuoi bene, io ti perdono e possiamo ricominciare il nostro amore.

– No -disse Margherita- ormai voglio bene a Pasquale ed egli se lo merita: io ti ho voluto tanto, tanto bene, Marco, ma ormai le circostanze hanno superato quello che era: ti ricorderò sempre, ma non di più

– Come? -riprese Marco tremando- Allora le promesse che ci siamo scambiati sono solo un ricordo?

 – Guarda questa pietra, e le indicò, illuminata dalla luna, una pietra del pozzo su cui erano scolpiti due cuori – ricordi? Li ho fatti io: ti dovevano ricordare me negli anni che sarei stato lontano: essi sono ancor lì e io ti voglio più bene di prima.
    Egli si avvicinò ancora alla ragazza, ma essa indietreggiò e fuggì via.
    La cena si protrasse fino alle due del mattino. Marco dette un triste spettacolo di se: si ubriacò e fece lo spavaldo, irritò un po’ tutti.
    Quando rientrò a casa, la mamma l’attendeva.

–   Mamma, come mai ancora alzata?

–   Figlio mio, so della tua delusione, Concetta mi ha detto tutto, e volevo parlarti. E gli parlò con tenerezza e bontà come solo una madre può fare.
  Marco si commosse: – Madre cara, poco fa avevo deciso di tornare in Brasile!

– Mi avresti ucciso, Marco; non abbandonare più i tuoi genitori: abbiamo tanto bisogno di te.

Ci sono tante brave ragazze qui e tu sei così giovane: ne troverai una meglio di Margherita!  

    Molti anni erano trascorsi da quel giorno: Margherita e Pasquale Ferrone avevano tre figli; due maschi ed una femmina: Elvira, di diciotto anni.
    Marco Rosello aveva un avviato negozio di generi alimentari, i suoi vecchi genitori stavano bene, Concetta era ormai una zitella, ed egli era sposato ad una non tanto bella, ma buona e simpatica sua paesana. Essi avevano due figli maschi: il maggiore, Giuseppe, aveva vent’anni.
    Da poco era passata la bufera della guerra, ma il loro paese ne era stato risparmiato.
    Elvira e Giuseppe si erano conosciuti fin da bambini, ma da quella sera di carnevale, al veglione della pentolaccia, qualcosa di molto importante era cambiato fra loro: si erano accorti che si amavano.
    Giuseppe parlò al proprio padre:

– Papà -disse- ho deciso di fidanzarmi!

– E chi è la ragazza, figlio mio?

– Elvira Ferrone: è una brava ragazza, spero che ne sarai contento.

    Marco trasalì e si appoggiò ad una sedia.
    Elvira era bionda, bella: sembrava di rivedere Margherita da giovane, come quando egli se   ne era innamorato.

– Che hai papà? Non sei forse contento?

– Si, Giuseppe: ti dò la mia approvazione, ma ti dò un consiglio: non lasciarla mai. E sposala presto.

– Grazie, papà: è quel che desidero.

 

    Giuseppe e Elvira camminavano, al chiaro   di luna, nell’orto dei nonni materni di lei: i vecchi Toniolo. I   fidanzati si fermarono al pozzo.

– Guarda – disse lui- su questa pietra ci sono incisi due cuori: certamente li avranno fatti due innamorati come noi, chissà chi, chissà quando…

– Poi avranno coronato il loro sogno di amore -disse lei- e saranno stati felici.

– Ma non come noi! -E Giuseppe abbracciò la ragazza.

      Le nozze furono un avvenimento per il paese: ambedue le famiglie Rosello e Ferrone erano molto stimate e abbastanza danarose.
    Gli sposi erano raggianti di felicità: al ritorno dalla chiesa, il corteo nuziale, a piedi, che nell’andata aveva transitato nella via principale del paese, prese una stradina corta, e passò davanti al pozzo dei Toniolo.
    Margherita e Marco, istintivamente, guardarono una pietra del pozzo: i due cuori erano ben visibili.
    Essi andarono indietro nel tempo di un quarto di secolo: una lacrima spuntò ai loro occhi, e i loro sguardi s’incontrarono.
    Fu un istante: poi si ripresero e si strinsero maggiormente al braccio dei loro rispettivi marito e moglie.


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 15 Gennaio 2009 @ 16:32

    Ha ben conosciuto, la nostra terra, il dramma dell’emigrazione. E qui è riportato nei suoi termini, intrisi di timori ed anche di speranze. Ma quando, dopo immensi sacrifici e prepotenti nostalgie, c’è il sospirato ritorno, che potrebbe portare a realizzare il grande sogno della vita, la realtà si fa amara. Potrebbe essere la fine per il giovane emigrato, ma gli affetti familiari, la fede, la bontà e la semplicità interiore, portano lentamente a risorgere ed a ritrovare la forza dell’esistenza, pur tra un comprensibile rimpianto ed un’intima delusione.
    Emergono dal racconto il candore dell’animo, la cristiana rassegnazione, la non dissacrazione degli ideali, la costante dignità, nonostante i cambiamenti assai duri e difficili nelle pagine ingannevoli del tempo.
    Stile piano, quasi colloquiale, che si accende di sospirata levità di fronte ai due cuori incisi
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Mario Camaiani — 15 Gennaio 2009 @ 22:31

    Caro amico Gian Gabriele,
    il tuo commento, così benevolo e così profondo, al mio modesto lavoro, eleva il livello del messaggio umano e cristiano che ho cercato di far trasparire dal racconto medesimo.
    Grazie.
    Ti saluto fraternamente
    Mario.

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