FAVOLE: Storie del Piccolo Oro: Il viaggio #6/8
30 Luglio 2008
di Bartolomeo Di Monaco
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Passando di nuovo per la città di Lucca, Oro si trovò di fronte ad una vecchia scuola elementare. Provenivano dall’interno le voci argentine dei bimbi. Un forte desiderio lo prese di intrattenersi con loro. Decise così di visitarli. Entrò in una delle classi e non perse tempo in convenevoli. Con stupore del maestro, si sedette in cattedra e, ottenuto il silenzio, prese a narrare questa storia.
Viveva molti anni fa, in un paesino non lontano da Lucca, un modesto operaio che aveva moglie e tre figli: Michelino, il più piccolo, Roberto e Caterina, la più grande.
Quanti sacrifici, però, doveva sopportare per mantenere la famigliola!
I soldi non bastavano mai… le scarpe, le medicine…
Tornava dal lavoro stanco morto, la moglie lo attendeva sull’uscio e non faceva che aggiungere altri pensieri ai suoi già pesanti.
Non ne poteva proprio più.
Cominciò così a lamentarsi; ogni giorno brontolava, sgridava la moglie, i figli; litigava coi compagni.
La sua vita era diventata un inferno, diceva; e anche l’amore per i suoi cari scemava a poco a poco.
Ma ecco che una sera, rimasto solo, vide presentarsi davanti a lui – eppure nessuno aveva bussato all’uscio! – un omettino magro magro come uno spillo, gli occhi penetranti.
Balzò dalla sedia per lo spavento.
«Chi siete? » gridò «Che fate nella mia casa? »
«Non agitarti, » rispose con molta calma l’intruso «sono qui per aiutarti. »
«Mi farete ricco? » domandò allora l’uomo, che aveva capito di trovarsi in presenza di un personaggio straordinario.
«Dipenderà da te. »
«E come? »
«Ecco cosa devi fare. »
Un viaggio. Quella sera stessa doveva partire per un viaggio. Subito, senza attendere i suoi. Andare secondo un itinerario che lo sconosciuto si sforzò di far capire.
«Alla fine del viaggio, troverai il premio che ho riservato per te. »
«Ma non voglio andare! » esclamò l’uomo, che non aveva affatto l’intenzione di piantare così su due piedi i suoi cari per un viaggio tanto lontano. Ma subito s’accorse che ciò non era più possibile; l’omettino aveva potere su di lui come lo avesse ammaliato, stregato.
Radunò così le poche cose necessarie, dette un ultimo sguardo malinconico alla casa, pensò ai familiari che non lo avrebbero ritrovato, al loro spavento, alla loro angoscia, alla loro trepidazione, chiuse l’uscio e si mise in viaggio, ormai vicina la notte.
Camminò a lungo.
Percorse strade, eppoi sentieri, e strade ancora, salì perfino una montagna, finché giunse l’alba.
Si sentiva stordito, aveva vagato come un sonnambulo, non aveva la benché minima idea del luogo ove si trovasse.
Finché vide spuntare il giorno; poi lentamente il sole, e quella vallata riempirsi di animali di ogni razza, quieti al pascolo e al gioco.
Se li trovò a poco a poco vicino a sé: cavalli dalle belle criniere; gazzelle, aquile posate sui bassi rami – qualcuna apriva le ali immense e subito le richiudeva, scuotendo l’aria; bufali dalle corna aguzze, lepri, leoni, ed ancora animali di ogni specie a perdita d’occhio.
Sembrava che gli animali avessero atteso proprio lui e lo considerassero come il loro padrone. Il leone strusciò sulle sue gambe tremanti la bella criniera, il cavallo venne a sbuffare sul suo viso; intorno a lui si mise a correre la gazzella, e tutti parevano volergli dire qualcosa, chiamarlo.
Sentì d’improvviso la voglia di restare.
Entrò nella casa che stava in mezzo alla valle, posò le sue cose e trascorse giorni e giorni nella pace più assoluta, avendo per soli compagni la natura, lì verde e rigogliosa, il silenzio e tutti quegli animali selvaggi, però docili ai suoi comandi.
Non poteva capitargli paradiso migliore, pensò. Si sentiva fortunato. Al mattino si lavava il viso nel vicino ruscello dalle acque chiare, e durante il giorno trascorreva molte ore camminando lungo sentieri ove unici rumori erano il fruscio del vento e il trotterellare dei suoi nuovi amici, che spuntavano da ogni parte a tenergli compagnia.
La sera, affacciandosi alla finestra, li vedeva sdraiarsi sull’erba, o volare sui rami, e lì a poco a poco chinare il capo, prendere sonno.
Durò questa gioia per molto tempo.
Credeva l’uomo d’aver trovato il premio, finché avvertì pena, insoddisfazione.
Così una mattina di buon’ora, avanti il levar del sole, salutò i suoi amici e s’incamminò oltre la valle.
«Dove sarà a quest’ora Lisa? » cominciò a domandarsi, pensando alla moglie abbandonata.
«Che dolore avrà provato! E Michelino, Roberto, Caterina? »
La nostalgia lo prendeva, pareva vincerlo, obbligarlo al ritorno, ma l’intruso gli aveva promesso un gran premio se avesse terminato il viaggio, e questa curiosità lo dominava, spazzava via il sentimento.
Percorse strade sconosciute, sentieri impervi; si aprivano dirupi spaventosi sotto di lui, ma non ebbe alcun segno di cedimento: andava avanti in attesa di scoprire d’essere finalmente arrivato alla meta.
Giunse così ad una pianura davvero smisurata, e vide, proprio là nel mezzo, una piccola città chiusa dentro mura di pietra altissime.
Lo raggiunsero suoni di corno, dolci, suggestivi, che parevano emessi apposta per lui.
Si avvicinò.
La porta era spalancata, e nessuna guardia stava all’ingresso.
Quando l’uomo la osservò, vide che era intarsiata in oro massiccio, imponente, alta come le mura.
«Sono arrivato, finalmente! » esclamò, pregustando le meraviglie che avrebbe certamente incontrate.
E infatti la città era singolare.
Case, strade, erano ricoperte d’oro, le finestre e le porte orlate di gemme rare, splendenti.
Gli uomini che incontrò indossavano abiti di raso, sete, stoffe che non aveva mai visto, certamente pregiate, uniche; grandi anelli alle dita, bracciali e collane, adornavano le donne, che risplendevano soprattutto per la loro bellezza.
L’uomo le guardava incantato; i suoi occhi non reggevano più a tanto splendore; la testa girava, la mente correva da sola.
«Vieni, » disse qualcuno «è anche la tua città . » E per mano lo condusse dentro un palazzo enorme; argento e oro, rubini e smeraldi, topazi, brillanti e gemme sconosciute in gran quantità brillavano sui pavimenti, intorno alle belle colonne, sulle volte dei soffitti decorati.
«Per tutto il tempo che vorrai, resta qui. »
L’uomo si lasciava guidare, stordito.
Furono aperte decine di forzieri colmi di preziosi e di vesti.
«Scegli ciò che vuoi, indossali e andremo in giro per la città . Sarai uno di noi. »
In quel luogo non mancava proprio niente: svaghi, lauti banchetti, conversazioni interessanti, passeggiate in compagnia di personaggi affabili, donne sempre allegre, consapevoli e gaudenti della loro rara bellezza.
Ma anche questa volta giunse il giorno della pena, della insoddisfazione.
Qualcosa mancava, lo sentiva nel profondo dell’animo. Eppure cosa poteva desiderare di meglio?
Insistevano gli amici perché ritornasse ai giorni migliori, ma l’uomo si appartò nel palazzo e divenne scontroso; preferì la solitudine, la riflessione.
Così arrivò il momento che decise di andar via; non era quello il premio sperato, lo sentiva bene dentro di sé.
Arraffò quanto più oro poté, gemme e collane (una sola di quelle avrebbe fatto straricco l’uomo); riempì le tasche della sua veste e una mattina molto presto s’incamminò per fuggire.
Giunse alla porta dorata, si guardò indietro e pensò che in fondo in fondo quel viaggio non era stato inutile se gli procurava intanto ricchezza per sé e per i suoi; sarebbero stati bene per il resto dei giorni.
«Lisa sarà contenta, non avrà più da lamentarsi. Compreremo tanti giochi per i ragazzi! »
Metteva le mani nelle tasche e toccava con cupidigia tutto quel ben di Dio.
Uscì, varcò la soglia.
Ma ahimè! Che cosa mai accadeva? Non era possibile! Si ribellò, si attaccò alle vesti, strinse i pugni nelle tasche, ma tutto fu inutile.
Fuori dalla città , l’uomo si ritrovò povero come quando era entrato; ogni cosa svanita come per magia.
Mentre raccontava, Oro si beava dell’attenzione davvero straordinaria prestata alla sua storia.
«Che cosa cercherà mai l’uomo? » domandò. «Quale sarà il premio alla fine del viaggio? Pensate, cercate d’indovinare… Provi qualcuno a rispondere. »
«Continua, continua » esortarono invece i ragazzi, e di nuovo i gomiti furono sui banchi, le teste tra le mani, gli occhi dentro quelli di Oro.
Il maestro teneva gli occhiali calati sulla punta del naso, attento anche lui alle fantasticherie del bimbo; ogni tanto però svagava con la mente per conto suo, e forse se ne andava per quei luoghi certamente inventati e vi si muoveva al posto di quel fortunato protagonista: pascoli soavi, ricchezze traboccanti… oh, come avrebbero risolto i suoi crucci!
Oro ogni tanto gli dava qualche gomitata, sorrideva.
L’uomo – riprese il bimbo – viaggiò per tutta la notte; lo sorprese un temporale, si rifugiò dentro grotte buie, ripercorse strade, eppoi sentieri, finché incontrò un’altra città , questa volta aperta, senza mura.
Entrato, lo colse una nuova sorprendente meraviglia.
Tutto dava un’impressione di modestia: disadorne le poche case, quasi deserti i viali; eppure le rare persone che incontrava parevano felici.
Si accorse ben presto dove stava la straordinarietà del luogo, appena si provò a pensare (tanta era la fame che sentiva) ad un lauto banchetto e… tac!, che cosa videro i suoi occhi?
Non era più nella strada! bensì davanti ad una bella tavola imbandita con le calde, fumanti, succulente pietanze sognate, ed aveva attorno camerieri che portavano ancora vassoi, vini, dolci, gelati.
La città gli piacque. La sua mente poté srotolarsi su tutte le voglie e i capricci umani; ogni cosa desiderata gli fu servita.
«Questo è davvero il paradiso, qui mi fermerò per sempre! » e ringraziava tutti i giorni l’omettino a cui doveva tanta fortuna.
«Dove sarà mai finito? » pensava. «Come vorrei che fosse con me a gustare queste delizie! »
Perfino la barba si faceva aiutandosi col solo pensiero.
Ma ahimè: passarono i giorni e di nuovo lo prese la noia, la malinconia.
Non era nemmeno quella la meta agognata; ma dov’era mai?
Cominciò a dubitare, a sentirsi sempre più solo; infine trovò la forza di andarsene, abbandonare tutto, riprendere ancora una volta il viaggio.
Camminò a lungo, vide tante volte il sole spuntare dietro i monti; oh, come era atteso! Come sentiva riaccendersi la speranza quando i primi chiarori, i primi raggi lo liberavano dal buio della notte!
Fu proprio in uno di questi momenti, gli occhi di nuovo aperti alla luce, che vide, lì proprio davanti a sé, a pochi metri di distanza… indovinate che cosa?, domandò Oro.
«Casse piene di smeraldi e rubini! » esclamò un ragazzo.
«No, una bella principessa » disse un altro, che aveva gli occhi dolci smarriti nella fantasia.
«I suoi bambini! » gridarono ad un tratto tutti insieme.
Oro si aprì ad un sorriso di soddisfazione.
Sì – continuò – davanti a lui stava proprio la sua modesta casetta, l’uscio era spalancato in attesa del suo ritorno.
Non appena l’ebbe riconosciuta, un tuffo al cuore, quale non aveva mai sentito, gli fece capire che questa volta era davvero arrivato.
Uscirono i suoi figli; belli, allegri, gli corsero incontro.
«Babbo, babbo » disse Michelino, con gli occhi pieni di lacrime.
E Lisa, la paziente Lisa, restò sull’uscio a gustare col cuore quell’incontro.
«Raccontacene un’altra! Raccontacene un’altra! » cominciarono a gridare i ragazzi, dopo un primo momento di silenzio, allorché si accorsero che la storia era finita. Ma non videro più Oro! Dietro la cattedra stava invece il maestro, che ora teneva le lenti sopra i capelli, e gli occhi strabuzzati uno di qua e uno di là ; la bocca era aperta; farfugliava.
Quando tornò in sé, si raddrizzò gli occhiali.
«Su su, a posto » disse. «Riprendiamo la lezione. Dove eravamo rimasti? »
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 31 Luglio 2008 @ 20:36
Ammiro la tua fervida fantasia nel narrare storie piacevoli, che racchiudono saggi insegnamenti. C’è bisogno di dar ali alla fantasia, alla creatività , in un’epoca dove la fa da padrona l’esasperata tecnologia. C’è bisogno di ritrovare un po’ della nostra saggia umanità . C’è bisogno di sentimenti buoni, di spinte generose. Grazie, Bartolomeo!
Gian Gabriele Benedetti
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 31 Luglio 2008 @ 21:09
Le storie del Piccolo Oro sono nate al tempo in cui i miei figli erano piccoli. Mi sedevo sul letto e si mettevano intorno a me. Cominciavo a scrivere una storia e chiedevo loro come preferivano che andassi avanti, poi decidevamo insieme. Momenti splendidi, Gian Gabriele. Grazie.
Commento by lucetta frisa — 5 Agosto 2008 @ 11:30
caro Bartolomeo,
quanta delicatezza e leggerezza nelle tue sagge lezioncine che leggo con piacere quando ce le proponi!
Hai raccolto queste storie del Piccolo Oro in un libro?
Certo che è anche bello ascoltarle e sarei molto curiosa di sentirle leggere proprio dal suo autore….
La lettura a voce alta è il medium migliore per avvicinare il potenziale lettore( in particolare quello giovane)al testo scritto.
Mi auguro con tutto il cuore che i lettori- adulti o meno-non siano una razza in estinzione.
Ma tu combatti questa battaglia proprio perché ciò non avvenga…
GRAZIE e a presto leggerci
lucetta frisa
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 5 Agosto 2008 @ 12:57
Ciao, Lucetta.
Con l’apertura di questo sito e della Rivista Parliamone, mi sono proposto alcuni obiettivi che forse vanno oltre le mie forze. Il primo è quello di ospitare scritti di persone valide e capaci che desiderano arricchire di contenuti le varie sezioni della rivista, dimodoché il lettore vi possa trovare, nei vari campi in cui è suddivisa, qualcosa di utile.
Il secondo è quello di depositarvi alcuni scritti importanti che hanno presieduto alla mia formazione, nonché i libri che io ho scritto, così che un po’ di ciò che sono stato resti anche quando non ci sarò più.
Questo secondo obiettivo costituisce un lavoro molto impegnativo. Sto rileggendo, infatti, il materiale conservato nel mio piccolo archivio e sto pubblicando e pubblicherò sulla rivista nella sezione I MAESTRI quello che suppongo possa servire ancora ai lettori di oggi.
Mi ci vorrà qualche anno, prima di finire (2, 3?) Mi deve assistere la fortuna, e ciò significa una famiglia serena e una salute che mi dia la forza necessaria all’impresa. Per ora tutto va secondo i piani.
Mi chiedi de Il piccolo Oro. Mi dai così l’occasione di dire che in alto a sinistra della Home trovi 2 voci: Libri gratis e Libri in vendita. Nei libri gratis ci sono miei scritti che si scaricano con il download. Fra questi il libro che mi è molto caro e che mi richiese un impegno notevole: Cencio Ognissanti e la rivoluzione impossibile (più di 400 pagine in A/4).
Nei libri in vendita (costo massimo 3 euro, con pagamento anche con PayPal) ho messo alcuni miei libri in formato pdf e e-book. Naturalmente se sono stati anche stampati da un editore, c’è il link che consente di farne l’ordinazione diretta. Anche Il piccolo Oro si trova tra i libri in vendita nel formato pdf (e non in quello cartaceo). Altri libri li metterò a mano a mano che ne avrò tempo.
Queste cose, tuttavia, verranno pubblicate sulla rivista, nella sezione Romanzi e testi a puntate, in modo che se uno non vuol spendere niente, basterà che segua le puntate e le prelevi ogni volta per farne un libro.
Alcuni miei scritti sul Piccolo Oro e a riguardo di leggende e di favole, li ho letti agli alunni di scuole elementari e medie inferiori, trovandone un riscontro molto piacevole.