Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario #4/11

14 Luglio 2008

di Carlo Cassola
[dal “Corriere della Sera”, giovedì 12 marzo 1970]

Katherine Mansfield è una scrittrice che non si è realiz ­zata quanto avrebbe potuto, anche a causa della malattia e della morte prematura. I racconti risentono dell’ in ­fluenza di Cechov. Di gran ­de interesse sono sia il diario sia l’epistolario. Comunque l’autenticità, la serietà, l’in ­telligenza della scrittrice ba ­stano a farne una delle mag ­giori personalità del Novecen ­to.’ Logico che una cultura letteraria caduta in basso co ­me l’attuale, nemmeno la ri ­cordi.
Vale quindi la pena di ri ­portare un elogio di Emilio Cecchi: «…tutti gli scritti della Mansfield insegnano qualcosa: come creazioni artistiche, come opinioni criti ­che, come desiderio morale.
E il loro è un insegnamento sano, che non ci riporta ver ­so effimeri ideali di mode estetiche, ma verso costanti e vitali verità. La Mansfield aspirava ad una comprensio ­ne e ad una pietà profonde.
Si effettuava in lei una sorta di purgazione dall’ironia; da quell’ironia che è stata tra i morbi più deleteri nella letteratura europea degli ultimi decenni ».
Lo scritto di Cecchi è del 1932. Non riesco a capire chi accusasse precisamente: negli « ultimi decenni », cioè, nei primi decenni del Nove ­cento, gli scrittori erano an ­cora in prevalenza persone serie. In ogni modo, la de ­nuncia dell’ironia come di uno dei « morbi più deleteri della letteratura » è sacro ­santa.
Una volta in un pubblico dibattito Jean Francois Revel mi chiese se in un certo ro ­manzo avessi inteso fare del ­l’ironia. La sua, era una do ­manda accattivante. Fu sor ­preso che rispondessi di no, che non avevo inteso fare nessuna ironia; che avevo preso assolutamente sul serio i personaggi, l’ambiente e i  fatti; che se mi fossi compor ­tato altrimenti, mi sarebbe addirittura parso d’imbroglia ­ re me stesso e il lettore. Sup ­pongo, con questa risposta, d’essermi giocato la stima di Revel, e di quanti mettono « l’esprit » al di sopra di ogni cosa. Per conto mio, considero « l’esprit » il peggiore di ­fetto dei francesi.
Ma sentiamo il seguito dello scritto di Cecchi: «…tutti gli scrittori deboli e viziosi finiscono col dannarsi nell’i ­ronia; perché l’ironia (non quella di Swift o di Baudelaire): 1) offre una cifra stilistica, un poncif brillante e accessibile; 2) conferisce una aria di superiorità che i più son disposti a prender per buona; 3) sostituisce pensieri e sentimenti poetici che sarebbe ben più difficile tirarsi fuori dal capo o dal ventre; 4) con la pretesa aristocraticità e preziosità, lusinga espressioni demagogiche, con la rettorica più abbietta ». Non ci sarebbe da aggiun ­gere una parola, perché Cecchi ha detto l’essenziale. Di ­spiace semmai che abbia trat ­tato   l’argomento   in   fretta   e di passaggio.
Immagino che nel 1932 la sua affermazione non desse scandalo: allora, ripeto, la letteratura era una cosa seria, ci se ne occupava con serietà, se ne parlava seriamente. Ma oggi? Oggi che la sola forma letteraria apprezzata, diciamo meglio: oggi che la sola forma letteraria autoriz ­zata è la parodia? Oggi che il solo termine elogiativo am ­messo è « divertente »? Oggi che il tono leggero, semise ­rio, è d’obbligo quando si parla di letteratura?
(Al lettore che per sua fortuna non sa nulla di que ­sti usi e costumi, spiego che « divertente » è usato in una accezione tutta particolare. Per gli snob, non è che sia divertente una comica di Ridolini: no, è divertente un brano musicale, un quadro, un mobile, una pietanza. Insomma, l’aggettivo non è mai usato in senso proprio. In che senso sia usato, non glielo so spiegare: a me un quadro non m’ha mai divertito E l’abbacchio alla romana, nemmeno).
Oggi, chi oserebbe più mo ­strare entusiasmo per un libro o per un autore? Chi avrebbe più il coraggio di dire che la lettura gli ha procurato una emozione? Chi sarebbe tanto temerario da confessare che si è commosso leggendo un romanzo?
A dispetto degli snob, l’affermazione di Cecchi è giusta e le ragioni che porta incon ­futabili. Chiunque si sia pro ­vato a scrivere, sa che la difficoltà principale è quella di trovare un giusto rapporto con le cose che si vogliono dire: una cifra stilistica, appunto, che non sia innaturale, che non suoni falso. Chiunque ab ­bia un po’ d’orecchio nel leg ­gere, sente subito se il tono è affettato, cioè, se quello scrit ­tore non è autentico. Ma an ­che chi non s’è mai provato a scrivere, anche chi non ha l’abitudine di leggere, sa come sia difficile essere naturali quando si parla. La timidezza, l’incapacità di esprimerci, il desiderio di apparire diversi da come siamo, ci fanno esse ­re insinceri. Cadiamo nell’af ­fettazione; parliamo in falset ­to. E il falsetto più facile, il falsetto che è subito a portata di mano, è l’ironia. Parlare ironicamente, è facile; parla ­re seriamente, è difficile. Un tono leggero, scherzoso, riu ­sciamo sempre ad assumerlo. Lo stesso è nello scrivere, la deformazione ironica o, peg ­gio, parodistica, è la più facile di tutte. Gl’incapaci, ci ricor ­rono in massa.
Il parlato goliardico mi è insopportabile, lo odio dai tempi del liceo. Mai avrei cre ­duto che un giorno sarebbe venuta di moda la scrittura goliardica, e che eminenti cri ­tici l’avrebbero presa sul serio.
Come dice Cecchi al punto 3, difficile è tirar fuori pen ­sieri e sentimenti. Nella let ­teratura di fantasia, contano soprattutto questi ultimi. Esprimere un sentimento, tirarlo fuori dalla profondità in cui si annida, la si chiami cuore o ventre, quello è il difficile. Far vivere un sentimento si ­gnifica suscitare un’emozione, una commozione: chi ci rie ­sce, è uno scrittore, chi non ci riesce, non lo è.
La letteratura parodistica esiste si può dire da sempre; ed è sempre stata una lettera ­tura minore. Andassero perdu ­ti, che so, il Satyricon di Petronio e Ulysses di Joyce, non andrebbe perduto niente. Men ­tre se andassero perduti, non dico la Divina Commedia e Tolstoj, ma le poesie di Ca ­valcanti e gli scritti della Mansfield, andrebbe perduto qualcosa.
La terza ragione di Cec ­chi, articolata nei punti 2 e 4, riguarda il carattere snobisti ­co della manipolazione ironi ­ca. Snobistico, e prevaricato ­re: « Ogni lettore diventa compartecipe della sicurezza intellettuale sfoggiata dall’iro ­nista. Lettore e scrittore si danno d’intesa. Ma è spesso un’intesa sopra una base inesistente. La maggior parte de ­gli scrittori ironici, perché so ­no ironici? Non aspettate che vi rispondano. Non lo sanno, e neanche s’immaginano d’es ­sere obbligati a saperlo ».
Nella cerchia delle nostre conoscenze, abbiamo tutti qualche buffone. Ci fa rabbia; ci fa anche pena. Non gli abbiamo mai chiesto perché si sia dannato a fare il buffone: sappiamo che scoprirem ­mo una vuotaggine desolante, o una piaga ripugnante e pie ­tosa.

P.S. – II precedente foglio di     diario, in cui tra l’altro stroncavo un romanzo di Phi ­lip Roth intitolato « II la ­mento di Portnoy », mi ha procurato attacchi anche su giornali. Io ho visto un tra ­filetto su Paese Sera, natural ­mente anonimo, e un articolo di Paolo Milano su L’Espresso. Mi si accusa, tra l’altro, di non aver capito il carat ­tere parodistico del romanzo di Roth. Ma io la deformazio ­ne parodistica la fiuto da lon ­tano: basta a farmi perdere interesse alla lettura.

 

 


Letto 1971 volte.


1 commento

  1. Pingback by Fontan Blog » LETTERATURA: I MAESTRI: Fogli di diario #4/11 - Il blog degli studenti. — 14 Luglio 2008 @ 13:20

    […] Read more Posted by | […]

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart