LETTERATURA GOTICA: Carolina Invernizio: “I Misteri delle Cantine”
29 Ottobre 2020
di Bartolomeo Di Monaco
Un anno dopo “I Misteri delle Soffitte”, esce nel 1902 quest’altro libro in cui le cantine, come là le soffitte, sono i luoghi del dolore e della disperazione
L’incipit è di altissima qualità: “Era la vigilia dell’Epifania del 1872. Un tiepido sole metteva una nota luminosa sul candido strato di neve che copriva i tetti delle case, e scioglieva sui rami i fiocchi candidissimi.
Torino aveva un aspetto allegro: la gente si accalcava nelle vie dinanzi alle vetrine fulgide.
Alle tre pomeridiane, da una bettola situata fra via Barbaroux e via Bertola, uscì un uomo male in arnese, con la faccia butterata dal vaiolo, la fronte depressa, gli occhi iniettati di sangue, la bocca enorme. Dietro a lui veniva un fanciullo di circa otto anni con in testa un berretto che gli copriva gli orecchi incorniciando un visino patito, smunto, dai grandi occhi neri, spauriti. Il suo abito era a brandelli e le dita dei piedi uscivano dalle scarpe sfondate. Egli tremava, non tanto di freddo, quanto per febbre, e teneva le manine rattrappite nelle tasche lacere dei calzoni.”.
Il ragazzo si chiama Carletto Rioneri e l’uomo che lo maltratta Biante. Lo ha preso con sé lo stesso giorno in cui la madre era morta di stanchezza per strada, mentre portava il figlio a Torino, dove avrebbe trovato un po’ di fortuna, così credeva.
L’ambientazione vede succedersi personaggi afflitti dalla miseria, che chiedono l’elemosina o si dedicano al furto. Carletto è al servizio di Biante, che si fa chiamare babbo. È una realtà brulicante e misera che ci ricorda autori come Dickens e Hugo.
Il ragazzo fa amicizia con Michele, detto anche Mignolino, o lo zoppino, e questa amicizia ci fa venire in mente Lucignolo, l’amico di Pinocchio.
Si rifugia in una cantina, e trova, in mezzo a due botti, una buca dove poter passare la notte. Nel mentre, sente arrivare delle voci e sono di persone che stanno seppellendo un cadavere: “Due uomini erano in piedi accanto alla fossa; in uno di essi Carletto riconobbe colui che aveva lasciato il pezzetto di candela acceso nel vano della scala; l’altro, vestito da signore, aveva un brutto ceffo, come quello di Biante; un terzo uomo, pure vestito da signore, giovane e bello, stava inginocchiato sull’orlo della fossa e piangeva, si disperava. Una donna, non bella né giovane, piangeva anch’essa, guardando la morta.
Carletto nulla comprendeva di quella scena; capiva peraltro che doveva stare immobile come se dormisse, perché se l’avessero scoperto, forse l’avrebbero ucciso, seppellendolo nella stessa fossa scavata per la morta.”.
Ci troviamo di fronte ad un romanzo gotico, dove oscurità, misteri e paure la faranno da padroni.
Si torna indietro di tre anni per raccontare la vita di Gerardo, uno degli uomini che hanno seppellito la morta. Viene da una famiglia ricchissima, e la madre, Lorenza Ostiglia, non aveva mancato di dargli una istruzione adeguata al suo censo.
Lo zio Dario, “ricchissimo industriale”, vorrebbe che sposasse sua figlia Alina.
Gerardo ha, intanto, fatto amicizia con Ugo Palmanova, studente di medicina, uno di quei tipi arditi che, senza bellezza né vero merito, riescono tuttavia a dominare gli altri.”.
Ugo riesce a farsi voler bene dalla famiglia Ostiglia, che resta affascinata dalla sua eloquenza e dal suo modo di fare: “Gerardo non tardò a subire il fascino dell’amico, ed Ugo, presentato alla signora Ostiglia, comprese in un lampo con quale donna avesse a che fare ed ebbe l’accortezza di mostrarsi umile riservato, così devoto per suo figlio, da accaparrarsi l’intiera fiducia della madre e lasciare in lei la più piacevole impressione.”.
Grazie a Ugo conosce una bella ma povera ragazza, Fosca, figlia di Giacinto, uomo violento, e di Maddalena, che cercava di sopportarlo, e sorella di Mignolino, lo zoppo: “Il penultimo le rimase zoppo per un calcio che essa aveva avuto dal marito durante la gravidanza.”.
La prende come amante e mette a sua disposizione un quartierino ammobiliato. Ma noi sappiamo che Gerardo è stato destinato a sposare la cugina Alina, figlia di Dario Ostiglia, della quale è invece, non corrisposto, innamorato Ugo.
Giacinto, il padre di Fosca, la quale è ancora minorenne avendo diciassette anni, ne approfitta per ricattare Gerardo e spremere soldi da lui.
Ci riesce, ma intanto Alina, la fidanzata ufficiale di Gerardo riceve una lettera anonima che la informa del tradimento, e subito si reca, accompagnata dalla propria madre, a lamentarsi con la futura suocera, la quale ottiene dal figlio la promessa di non più vedere Fosca.
Come vedete, l’intreccio forma un grumo che sarà dissolto con abilità. La Invernizio ha questa forza, di non accontentarsi di una semplice trama, e preferisce dare al lettore la dimostrazione di quanto i rapporti umani possano complicarsi, e allo stesso tempo sciogliersi come neve al sole.
Non ce niente, dunque, che non si possa risolvere con l’ausilio della mente, quando essa va a interagire con le regole della natura umana.
Il libro resta segnato dalla storia di un grande e sofferto amore, quello tra la sartina Fosca Molinaro e il ricco Gerardo Ostiglia, amore che farà sempre da sottofondo agli intrecci che seguiranno.
Fosca, delusa da Gerardo, il quale le ha preferito, costretto dalla madre, Alina, una cugina di lui, si è data alla prostituzione e un giorno, aggredita da dei malfattori (dei “barabba”) si rifugia nell’androne di un palazzo. Non sa che è il palazzo che Gerardo sta costruendo per andarvi ad abitare una volta sposata Alina.
In quel momento, nel palazzo, c’è Gerardo, che sta controllando i lavori in corso. Si incontrano, si riconoscono e si parlano, ma, ad un certo punto, Fosca sviene e, accorso Ugo, che intanto è diventato medico, questi dichiara che la donna è morta.
Occorre provvedere con urgenza affinché nessuno sappia e non scoppi uno scandalo credendo che Gerardo e Fosca si siano lì incontrati quali amanti. Quel cadavere deve sparire e affinché ciò avvenga non vi è altra soluzione: è “tagliato a pezzi” da Ugo, onde disfarsene più agevolmente, “meno la testa. Quella, volli serbarla: guardala!”.
Ugo è anche un collezionista di teschi umani (“mostrava una predilezione speciale per l’antropologia”) e ne riempie il suo studio. A Gerardo dice: “Quella testa che tu hai guardata con orrore è per me un soggetto interessantissimo di studio: il cranio è un modello del genere: ha la protuberanza dell’affetto, quella del sacrificio. Guardando quel teschio, mi sembra che la povera Fosca mi ringrazi: ‘essa’, almeno, può vederti ancora qualche volta, udirti. Con un mio speciale processo ridussi quel bel teschio così pulito, dopo averne distrutte le carni e tolta la splendida capigliatura che ho lavorata io stesso per conservarla ed ho chiusa in questo astuccio.”. Viene in mente il terribile Henri Landru (1869 – 1922).
Di Fosca si perderanno le tracce e si crederà che si sia rifugiata in America. Nessuno immagina che il suo teschio adorni, insieme con altri, il terribile ambulatorio di Ugo.
Sono trascorsi quindici anni, e ora il personaggio del dottor Ugo Palmanova diviene centrale: “era allora in tutta la pienezza della sua virilità, perché aveva quarant’anni.”; “Ugo spendeva molti dei suoi denari in beneficenze occulte, ma pochi lo sapevano. Talvolta si travestiva per recarsi nei sobborghi, nei centri popolari, onde studiarne le miserie, i vizi, i bisogni.”. Si prende cura della famiglia di Fosca, in cui Tea, la sorellina più piccola, nel crescere assomiglia sempre di più a Fosca, divenendo “una ragazza meravigliosa per bellezza.”.
La famiglia non sa della morte di Fosca e spera che un giorno ritorni a casa.
Vi ricordate Carletto, il fanciullo che chiedeva l’elemosina e subiva le percosse da parte di Biante, quando non riusciva a portare a casa nemmeno un soldo? Lo ritroviamo, ora, dopo questi quindici anni. Egli è direttore di un magazzino, il cui proprietario è Dario Ostiglia, e in cui lavora Tea. I due si sono riconosciuti, e si amano.
Ugo e Alina, la moglie di Gerardo e figlia del padrone della fabbrica Dario, cercano di mettere i bastoni tra le ruote a tale relazione. Ricordiamo che Ugo è innamorata di Alina e non ha visto di buon occhio il suo matrimonio con Gerardo: “La gracile Alina si era fatta una donna incantevole.”. E Alina è innamorata di Carletto.
Come si vede, la Invernizio ama gli intrecci complicati; il suo piacere è manifesto: più l’intreccio è complesso, più il sollievo dell’autrice si acuisce e si esplica ogni qualvolta i nodi vengono al pettine.
La scrittura resta neutra, la storia procede a freddo, coi fili intessuti da una narratrice che, ciò nonostante, riesce a non farsi coinvolgere.
La trama, seppure complessa, è disegnata a caratteri chiari e risoluti.
La verità sulla terribile morte di Fosca, rimasta per tanti anni un segreto, è rivelata dalla portinaia Agnese, in punto di morte a Lorenza Ostiglia, la madre di Gerardo. La donna non ci crede e quando giunge il medico Ugo Palmanova, per visitare Agnese, gli confida ciò che ha saputo dalla moribonda: “È vero ciò che mi ha detto colei? Mio figlio ha ricevuto in questo palazzo Fosca, che il Signore ha punito per non avere tenuto il suo giuramento di non rivedere più Gerardo? È vero che è morta di sincope, e che voi e mio figlio la seppelliste in cantina mentre più tardi voi faceste scempio di quella povera morta, trasportandone i pezzi altrove?”. Ugo nega: “Costei ha delirato!”.
Morta Agnese, Ugo minaccerà il figlio di lei, Giona affinché non sveli il segreto e questi, in presenza anche di Gerardo, giura di non rivelarlo a nessuno.
Il romanzo ha più fuochi centrali che si contendono la scena.
Tocca ora a Biante (lo ricordate? Lo sfruttatore violento di Carletto) di avere risalto quando ci viene narrato come è diventato straricco, grazie all’omicidio di una facoltosa signora nonché del suo complice con il quale era andato a combinare il furto presso di lei di titoli di credito e gioielli. Emigrato in Argentina, si era addirittura appropriato del titolo di barone Scarpa, con il quale aveva fatto ritorno in Italia. Appena l’ha veduta, nota la rassomiglianza con Fosca e vuole conquistare la bella Tea.
Fosca e Tea non soltanto sono due sorelle, ma nel romanzo rappresentano una linea continua, come se tra le due protagoniste non ci fosse uno iato, una distinzione, ma appartenessero allo stesso filo della trama.
La storia diviene complessa per i numerosi fili che vengono aggiunti a mano a mano, ed è difficile raccontarli tutti, ma non si può non sottolineare il lato macabro che rimane sempre da sottofondo. Ricordate la fine di Fosca? Ebbene, per una serie di circostanze, Ugo invierà il suo teschio ad Alina, la moglie di Gerardo, che era sempre stata gelosa di Fosca. Riceve il pacco: “Vi trovò una cassettina d’ebano, ermeticamente chiusa che essa aprì colla chiavicina consegnatale da Ugo.
Appena sollevato il coperchio, il teschio della povera Fosca apparve col suo eterno sogghigno.
Alina fu incapace di sopportare quella vista: ella lasciò cadere il coperchio e rotolò sul tappeto priva di sensi.”.
Nonostante questi lugubri passaggi, il romanzo si scioglierà in un inno al bene che sconfigge il male, offrendoci una visione della vita quale bene da cui far emergere quel po’ di felicità, sparagnina, a cui ciascuno di noi ha diritto in questo mondo.
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